Visionarietà e lavoro: vedere il futuro ed essere innovativi
Tra i Valori derivati dai tag di Calvino, il presente articolo prende spunto dal Valore della Visionarietà. Chiediamo aiuto ad un dizionario per l’insieme dei significati di questo termine. E troviamo, tra i significati “positivi e costruttivi” (in quanto sono presenti anche significati legati a problemi psicologici):
- Disposizione a inoltrarsi in mondi utopistici e fantastici.
- Capacità di cogliere immagini al di là del presente.
Collegando fra loro queste varie definizioni, possiamo indicare con visionarietà la qualità di vedere oltre il presente, di cogliere trend nascenti, ma anche di creare soluzioni (ad esempio, prodotti o situazioni) completamente nuove rispetto a quanto prima esistente. Il che significa tre capacità distinte ma strettamente collegate:
- trovare soluzioni nuove e innovative ad esigenze preesistenti,
- predire l’andamento di evoluzioni in corso,
- inventare qualcosa di completamente nuovo, che magari rende possibili nuovi mercati.
La Visionarietà è una qualità riconosciuta in molti personaggi del passato o dell’epoca contemporanea. Solo per citare alcuni nomi, Steve Jobs, che, pur non essendo stato il primo a costruirli, ha creato il mondo degli smartphone ed i connessi ecosistemi di contenuti e tecnologie, ed Elon Musk, che, fra le tante cose, ha contribuito a fare dell’auto elettrica, pur con tutti i suoi limiti, un prodotto industriale. O, in tempi più lontani, Adriano Olivetti, precursore della responsabilità sociale di impresa.
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In particolare ci occuperemo in questo articolo della visionarietà nel mondo del lavoro, intesa sia come capacità di trovare soluzioni innovative a esigenze esistenti, sia capacità di creare nuovi mercati (ricordando la metafora dell’oceano blu [1]), oggi sempre più connessa con la capacità di estrapolare informazioni dai dati raccolti.
Analisi dei dati e analisi predittiva.
La data science, le cui tematiche sono state tante volte oggetto del presente blog, è sicuramente una delle conquiste più importanti che scienza e tecnologia ci hanno messo a disposizione. La data science ha lo scopo di estrarre informazione e conoscenza dai dati (seguendo il percorso della Piramide DIKW rappresentata in figura) permettendo, ad esempio, di prendere decisioni con consapevolezza e saggezza, basandosi sulla conoscenza acquisita.
Sono state codificati diversi tipi di analisi dei dati entro la data science, distinte e collegate fra loro, ognuna delle quali ha obiettivi diversi, come riportato in figura:
Dalla figura notiamo in particolare l’obiettivo della analisi predittiva che, mentre l’analisi descrittiva e le sue collegate tendono a descrivere la realtà corrente, come dice il nome, fa previsioni sul futuro su base statistica. Quindi futuri possibili, non certi.
[bctt tweet=”La data science ha lo scopo di estrarre informazione e conoscenza dai dati permettendo, ad esempio, di prendere decisioni con consapevolezza e saggezza” username=”MapsGroup”]
L’uso dell’intelligenza artificiale per l’analisi predittiva ne ha enormemente migliorato le performance, rendendo possibile, ad esempio, previsioni meteo sempre più accurate. In particolare, le applicazioni di intelligenza artificiale sembrano in grado di prevedere con ottima approssimazione il comportamento futuro di sistemi più o meno complessi, estrapolando tendenze presenti entro moli di dati impossibili da analizzare per un essere umano.
Ma allora, possiamo definire l’intelligenza artificiale come dotata della visionarietà? Anzi, di una visionarietà “analitica”? Prima esaminiamo l’approccio “predittivo” in un essere umano.
La capacità umana di analizzare ed estrarre risultati in modo “istintivo”.
L’essere umano possiede, normalmente, la capacità di prevedere il futuro sia in modo “completamente razionale” sia in modo “istintivo”. Vediamo un esempio per entrambi i modi.
Supponiamo di essere in auto e di accelerare la nostra velocità. Conoscendo numericamente la nostra velocità istantanea, la nostra accelerazione e la velocità dell’auto che ci precede, se applichiamo le formule numeriche, come si fa negli esercizi di fisica classica, siamo in grado di sapere esattamente fra quanto tempo raggiungeremo l’auto che ci precede.
D’altro canto, anche osservando visivamente l’evolvere della situazione, pur non in modo numericamente esatto, siamo in grado di capire approssimativamente entro quando possiamo raggiungere l’auto che ci precede e, soprattutto, siamo in grado di capire se, non potendo sorpassare tale auto, dobbiamo rallentare (evitando così un tamponamento e “cambiando” il futuro, a nostro favore).
Salendo di livello nella complessità delle “previsioni” di tipo intuitivo e, in particolare, arrivando alla comprensione di leggi della natura che permette di usarle per predire comportamenti futuri nella realtà, è opportuno ricordare due frasi attribuite ad Albert Einstein:
“Una nuova idea arriva all’improvviso e in maniera piuttosto intuitiva”,
“Non ci sono vie logiche che conducono a quelle leggi naturali, Solo L’Intuito che si basa sulla comprensione può raggiungerle”
che ricordano che lui stesso ha più volte dichiarato di essere giunto in modo “intuitivo” alla espressione delle leggi della relatività ristretta e generale. Il che significa essere arrivato alla “intuizione” che porta al risultato attraverso uno stato mentale di flusso, orientato all’obiettivo della comprensione.
Gli stati di flusso tipicamente usano più funzionalità della mente, combinate insieme per il raggiungimento dello scopo, in modo olistico.
L’approccio olistico alla analisi del mondo.
La scienza olistica stabilisce che le proprietà di un sistema non possono essere spiegate esclusivamente tramite le sue singole componenti, poiché la sommatoria funzionale delle parti è sempre maggiore, o comunque differente, delle medesime parti prese singolarmente. E questo implica che, sebbene sia possibile studiare una singola parte, per comprendere l’insieme delle parti occorre studiarlo nel suo insieme. Questo è vero anche per quanto riguarda l’azienda, come spiegato in questo articolo. E, in questi ultimi anni, le circostanze ci hanno ricordato ancora una volta quanto ormai l’intera civiltà umana globalizzata sia interdipendente, oltre che esistente entro l’ecosistema globale e interconnesso del pianeta Terra. E per questo è necessario usare una visione di insieme nell’affrontare i problemi.
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Le reti neurali, su cui si fonda sia il comportamento del nostro cervello sia il funzionamento della maggior parte delle intelligenze artificiali (che dovremmo più correttamente chiamare capacità artificiali, come spiegato in questo articolo) oggi in uso, sono sistemi olistici. La singola unità costitutiva, il neurone, è abbastanza semplice da spiegare (o da costruire), nel suo comportamento “individuale”, mentre a tutt’oggi non riusciamo ancora a spiegare completamente il funzionamento interno di reti neurali complesse, né naturali né artificiali, che realizzano compiti come la comprensione del linguaggio parlato o l’analisi predittiva.
Con queste premesse, come “stimolare” e sviluppare la visionarietà nel contesto lavorativo?
Occorre, olisticamente, mettere insieme i due estremi, quello ad approccio razionale e quello “istintivo”.
Cacciatori di tendenze vs. data scientist.
Con una metafora, possiamo definire “istintivo” l’approccio dei cacciatori di tendenze “tradizionali” che, dall’osservazione all’interno di una città che spesso anticipa tendenze che si diffonderanno (ad esempio, Londra), sono in grado di cogliere tali tendenze e capire se si svilupperanno anche su larga scala a livello mondiale. E, dall’altra parte, “razionale” l’approccio dei data scientist che, usando metodi scientifici ed “analitici”, analizzano i dati alla ricerca di correlazioni, dimostrazioni e verifiche, trend e quanto serve per sviluppare un’analisi predittiva.
I due metodi, apparentemente in contrapposizione, in realtà non lo sono. Oggi possono (e devono) essere usati entrambi per predire evoluzioni il prima possibile.
E anche per trovare soluzioni innovative e inventare qualcosa di completamente nuovo occorre un approccio sia razionale sia creativo, integrato. Il diffondersi a livello aziendale di strumenti come il Design Thinking, metodologia di ricerca di soluzioni in gruppo che combina empatia e comprensione dei bisogni del cliente finale, creatività e collaborazione, ragionare con l’azione e la prototipazione delle soluzioni, con strumenti e verifiche oggettive dei risultati raggiunti, prova che questi approcci che combinano aspetti istintivi e razionali, sono oggi vincenti nel nostro mondo VUCAniano.
Per cui ora possiamo rispondere alla domanda del paragrafo precedente. Per “allenare” verso la visionarietà servono diversi elementi:
- Curiosità e intuizione;
- Collaborazione (anche se la soluzione o il nuovo prodotto possono essere pensati/ideati da una sola persona, la sua valutazione di fattibilità e l’implementazione richiedono senz’altro l’intervento di più professionalità);
- Empatia e capacità di vedere le cose da più punti di vista (soprattutto per capire l’esigenza originale nel caso di problemi o di intuire le esigenze “latenti” nel caso di nuovi prodotti); a questo proposito ricordiamo che anche in Business Analysis esiste l’analisi dei “segnali deboli” proprio per questo [2];
- Capacità analitiche e logiche;
- Conoscenza e abilità nell’uso degli strumenti di analisi dati;
- Conoscenza di metodologie di comprovata efficacia;
- Un ambiente aperto alle novità e che non giudica le proposte, ma da semplicemente feedback;
- Studio di esempi e case history del passato.
Rimane un dubbio: il visionario “vero” deve prevedere il futuro o crearlo? Ricordiamo una frase attribuita a Henry Ford: “Se avessi chiesto ai miei clienti cosa volevano, mi avrebbero risposto: un cavallo più veloce”.
Prevedere il futuro o crearlo?
La nostra realtà è complessa, ossia, secondo il senso generale dell’aggettivo, composta da più parti, interdipendenti. Nell’ambito della meccanica quantistica, operando quindi alle dimensioni delle particelle subatomiche, l’attività di osservare la realtà modifica la realtà stessa. Ma anche nel mondo macroscopico della economia, un’attività di osservazione può modificare la realtà. Ad esempio, una grande azienda fa alcune analisi di mercato molto specifiche, la notizia si diffonde generando interpretazioni della notizia stessa che possono influire sulla evoluzione del mercato.
In modo ancora più semplice, pensiamo a cosa succede tutte le volte che si diffonde la notizia di una offerta pubblica di acquisto di azioni da parte di un grande attore del mercato… Oppure quando qualche personaggio fa osservazioni od esprime giudizi, magari con lo scopo preciso di influenzare il mercato azionario.
Se poi pensiamo alla creazione di nuovi mercati, da quello automobilistico sopra citato, a quello degli smartphone o dei servizi digitali, oggi viviamo in un’ambiente dove vengono creati continuamente prodotti e servizi nuovi, talvolta rispondenti a bisogni effettivi o latenti del pubblico, talvolta invece accompagnati dalla creazione di bisogni indotti. E spesso con la creazione di veri e propri nuovi mercati, che magari durano poche stagioni, per poi essere sostituiti da qualcosa d’altro.
[bctt tweet=”Previsione ed azione sul futuro spesso sono strettamente collegate e che il “grande visionario” (ossia il personaggio pubblico cui è riconosciuta la qualità della visionarietà) è anche un influencer.” username=”MapsGroup”]
Possiamo quindi concludere che previsione ed azione sul futuro spesso sono strettamente collegate e che il “grande visionario” (ossia il personaggio pubblico cui è “universalmente” riconosciuta la qualità della visionarietà) è anche un influencer, come nel caso di Elon Musk.
Giulio Destri
Bibliografia
[1] Renée Mauborgne e W. Chan Kim – Strategia oceano blu: Vincere senza competere, 2005.
[2] Stefano Berti – Business analysis ed analisi per i sistemi informativi, 2017 – scaricabile da https://www.academia.edu/28787532/Business_analysis_ed_analisi_per_i_sistemi_informativi
CREDITS IMMAGINI
Immagine di copertina (rielaborata):
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