Introduzione
In una relazione in cui l’Uomo si mette al centro del vivere collettivo (comprese le proprie emozioni) ciò che “immette” nella comunicazione attraverso il linguaggio può produrre veri e propri gap cognitivi che – se attivati nell’ambito digitale e/o a distanza – debbono essere disambiguati.
Le emozioni, infatti, fungono da regolatore nella relazione tra reale e immaginifico, concreto e virtuale. Queste problematiche si amplificano se immesse in circuiti di comunicazione digitali e – in vari modi – virtuali.
Vedremo insieme come e perché e cercheremo possibili modi ed esempi concreti per approcciare in maniera più competente e adeguata tali sistemi di interazione, così da “migliorare” il nostro approccio con il mondo e gli esistenti, sia reali che virtuali o immaginari.
Il linguaggio nella nostra società: cosa impatta di più nella “realtà”?
Il linguaggio è non solo una delle funzioni cognitive superiori del nostro cervello deputata alle aree della corteccia cerebrale, ma molto di più, tant’è che stato oggetto di studio da molte discipline tra cui la psicologia e la filosofia.
Restringere il campo d’azione del linguaggio all’attivazione di una specifica area cerebrale, per quanto essa importante, porta dunque a perdere di vista le molteplici implicazioni che il linguaggio assume all’interno della nostra vita individuale, relazionale e sociale.
Ma da dove occorre partire per capire, nella concretezza, come si svolge questo processo all’interno delle nostre società? Il linguaggio, ad esempio, si sviluppa indipendentemente dal contesto oppure è il contesto stesso che ne stimola lo sviluppo?
Questo è solo uno dei tanti quesiti cui Piaget e Vygotskij, tra gli altri, hanno cercato di dare risposta. Mentre il primo, infatti, è maggiormente legato a uno sviluppo individuale, il secondo ne dà un’interpretazione più relazionale e contestuale: Il linguaggio si costruisce relazionandosi col mondo esterno.
Tuttavia, come tutti gli scambi, anche questo non è un flusso unidirezionale, anzi. Se il linguaggio si struttura interagendo con l’esterno, fa sì che il linguaggio abbia un impatto sull’ambiente che ci circonda. Il linguaggio – si arriva così ad affermare e a dimostrare – contribuisce in maniera sostanziale e CONCRETA a costruire il mondo.
Vediamo insieme COME seguendo alcuni passaggi teorici per approdare infine a esempi concreti e immanenti. Partiamo dal ricordare che due scopi principali del linguaggio, innanzitutto, sono la conoscenza e la comunicazione, che sono due diverse realtà immateriali specie-specifiche:
- la conoscenza: nominando le cose, distinguendole nominalmente dalle altre do loro forma e me ne approprio concettualmente. Nominando le cose attribuisco loro non solo un significato concettuale asettico ma trasferisco su di esse emozioni e significati personali che fanno sì che alla stessa parola ed allo stesso oggetto corrispondano individuali sfumature del sentire.
- la comunicazione: la funzione comunicativa (che viene dopo dopo quella conoscitiva, non solo per una sorta di diagramma di flusso in cui devo conoscere una cosa per poterne parlare, ma soprattutto perché, la comunicazione spesso è influenzata dai processi conoscitivi) ha il compito di disambiguare e fare chiarezza sui temi di comunicazione, così da rendere possibile il fatto (del tutto culturale) che si riesca a parlare della stessa cosa, seppure attraverso le sfumature proprie di ciascun individuo e relativo punto di vista. E’ quindi necessario darsi la possibilità di vederne le diverse sfumature. Diversamente, se così non fosse, rischieremmo di attivare un confronto su oggetti o fenomeni percepiti in maniera non univoca.
Ma esiste un’altra componente che entra in modo massivo nel linguaggio, ed è quella emotiva.
Il linguaggio delle emozioni: sentimenti immateriali che modellano la realtà proprio come le mani fanno con la creta…
Se possiamo essere tutti sufficientemente d’accordo che una mela è quel frutto tondo di diversi colori tanto che – quando ne parliamo – immediatamente si forma nella mente dell’interlocutore la sua immagine, diversa cosa avviene quando parliamo di concetti astratti (difficilmente rappresentabili in una univoca immagine) o di fenomeni sociali.
Le emozioni, a differenza delle funzioni cognitive superiori, sono regolate da un’area del nostro cervello diversa dalla corteccia. Si tratta di un’area più primitiva, subcorticale, che ci accomuna alle specie animali. Un’area situata accanto a quella che regola le funzioni primitive di sopravvivenza e che è legata più ad una immediatezza e impulsività che a un ragionamento o una ponderazione. L’associazione tra linguaggio ed emozioni può essere dunque metaforicamente paragonato ai fenomeni metereologici: se l’incontro avviene tra due aree di medesima pressione atmosferica o temperatura, allora le stesse si uniscono e si rafforzano. Se invece si tratta di fenomeni diversi, allora avviene uno scontro più o meno impetuoso. E se sulla componente corticale abbiamo in linea di massima una qualche possibilità di controllo, ben poco possiamo invece fare sulla pura espressione emotiva.
Il ruolo delle aree corticali è infatti quello di contenere e mediare l’espressione delle emozioni e degli istinti di sopravvivenza: se avverto lo stimolo della fame non rubo il piatto del mio vicino solo perché il mio non è ancora arrivato, ma attendo pazientemente il mio turno. Il linguaggio, da parte sua, veicola le emozioni in modo consapevole (nomino, e dunque riconosco, le emozioni) o inconsapevole (le parole che uso sono connotate di un’emozione di cui non sono consapevole). Per questo motivo l’elemento conoscitivo deve essere prioritario rispetto a quello comunicativo: il fine è quello di non inficiare la correttezza e la comprensibilità della comunicazione.
Facciamo un esempio concreto. I nomi dati alle cose sono arbitrari: e su questo siamo tutti d’accordo. Ma, spesso, nella routine comunicativa, dimentichiamo questa arbitrarietà e facciamo coincidere l’essenza del nominato con il nome che diventa, ai nostri occhi, quello ESATTO, prioritario, definitivo e soprattutto diventa immutabile. Il che non è propriamente esatto, e genera spesso fraintendimenti e incomprensioni se non vere e proprie “devianze comunicative”. Un esempio calzante può essere quello della diatriba sul linguaggio di genere, dove ci si scontra spesso con rigidità legate al “si è sempre detto così” e non si riesce a tornare all’analisi del fenomeno e né mettere in discussione il modo di nominarlo.
L’uso frequente e condiviso di un termine, in questo modo, crea un’abitudine, sociale e fonetica, che da culturale diventa percepita come NATURALE. Queste rigidità, una volta instaurate, impediscono un ulteriore processo conoscitivo del fenomeno, impedendo così nei fatti la sua possibile evoluzione.
Un altro esempio, molto calzante, a questo punto, è proprio quello relativo al cosiddetto “mondo digitale”. Cerchiamo di capire insieme il perché.
Digitale o analogico, virtuale o reale? Il confine, se c’è, è nei nostri occhi e nelle nostre MANI. E, oggi, si chiama PHYGITAL
Ripartiamo, come sempre, dalle parole, dai sostantivi. Le vicende (tragiche) della pandemia ci hanno sbalzato di colpo in quello che si chiama ecosistema digitale. Come descriviamo – oggi – questo mondo? Che nomi gli attribuiamo? A quali rappresentazioni mentali (immagini) e a quali emozioni è legata questa descrizione? I termini che utilizziamo influenzano prepotentemente il sentire emotivo. Parlare di guerra, coprifuoco induce un senso di paura e di allarme, ad esempio.
Un altro esempio emblematico è la differenza terminologica tra offline e online. Questa dicotomia aveva forse senso di esistere anni fa, all’inizio della connettività in remoto 1.0, dove l’online era un luogo dove trovare informazioni e scambiarsele con messaggi testuali (email, chat). Ma nell’ultimo decennio, con la comparsa dei social network e dell’amplificazione delle possibilità di connettività, i due “mondi” hanno cominciato ad intersecarsi sempre di più fino a diventare difficile la discriminazione del loro confine se non facendo riferimento al luogo in cui le interazioni avvengono.
Pensare che esistano due mondi distinti non è più possibile. Pensare di approcciarsi ad essi con le stesse modalità comunicative ancor meno. Avere presente il medium attraverso il quale veicoliamo la nostra comunicazione deve essere parte fondamentale e propedeutica allo stile della nostra comunicazione.
Pensiamo ad esempio alla difficoltà di trasmettere in un messaggio scritto le emozioni che si provano o il tone of voice, l’ironia o la serietà. Se la comunicazione è tra conoscenti ci affidiamo appunto alla relazione, alle consuetudini che ci consentono di leggere il messaggio con il tono dell’altro. Ma quando parliamo con chi non ci conosce è fondamentale trovare modalità comunicative che possano veicolare, insieme alle parole, le emozioni.
Un esempio a suo tempo dirompente e irreversibile è stato l’introduzione delle emoticons nei messaggi di testo che aiutano in modo immediato ed agile a dare un senso e un tono al messaggio scritto e con questo scopo sono nate.
ESEMPI:
- Sono arrivata
- Sono arrivata
- Sono arrivata
- Sono arrivata
E potrei continuare a lungo. La stessa comunicazione, con l’aggiunta di una emoticon cambia il tono in cui la si legge e i significato da attribuirle. Posso colorare il significato con la relazione e quindi con la conoscenza dell’interlocutore, oppure porre delle domande (perché sei triste, felice ecc.). Il gap tra reale e virtuale deve mettere al centro l’uomo come parte di entrambi i mondi con la propria unicità.
Relegare, ad esempio, l’uso delle emoticon ad un mero linguaggio amicale o colloquiale deriva dal fatto che il disegno, di per sé, viene collocato in basso rispetto alla scala della serietà che discrimina tra comunicazione formale ed informale. E questo è un altro elemento che entra a far parte della comunicazione di cui tenere conto in maniera molto più sistematica con la capacità di discriminare quando usare queste scorciatoie comunicative oppure no.
Un testo scritto, soprattutto se breve, risulterebbe appesantito da spiegazioni sul sentire. Va bene nei libri, in cui è richiesto. Ma se in una comunicazione dovessimo ogni volta inserire specificazioni sulle nostre intenzioni comunicative, sul nostro stato d’animo, appesantiremmo in maniera ridondante il testo.
Il mondo digitale, fatta eccezione per l’innovazione dei messaggi vocali, vive sui messaggi testuali e diventa imprescindibile essere a conoscenza del fatto che quando scriviamo qualcosa non stiamo comunicando fatti oggettivi ma la nostra lettura emotiva degli stessi. Esserne consapevoli ci permette di uscire con una comunicazione più pulita e meno fraintendibile. Non esserne consapevoli ci espone al fatto che gli altri diano una loro interpretazione emotiva che si sostituisce (rifiuto) e non si accompagna (scambio) alla nostra.
Ci sono molti progetti che mirano alla cura del linguaggio e della comunicazione online. Vediamone insieme alcuni che ci danno, oltre a una nuova visione ideale e d’insieme, anche esempi, suggerimenti, format e ausili per METTERE MANO CONCRETAMENTE in nuove pratiche relazionali tra analogico e digitale, umano e tecnologico.
Parole ostili
Questo progetto che ha per oggetto la comunicazione sul web si chiama Parole O_Stili. Questo progetto nasce nel 2016 a Trieste e la sua mission è:
“Parole O_Stili ha l’obiettivo di responsabilizzare ed educare gli utenti della Rete a scegliere forme di comunicazione non ostile. Promuove i valori espressi nel “Manifesto della comunicazione non ostile”. Organizza iniziative di sensibilizzazione e formazione.
Parole O_Stili si rivolge a tutti i cittadini consapevoli del fatto che “virtuale è reale”, e che l’ostilità in Rete ha conseguenze concrete, gravi e permanenti nella vita delle persone.
Parole O_Stili lavora con le scuole, le università, le imprese, le associazioni e le istituzioni nazionali e territoriali per diffondere le pratiche virtuose della comunicazione in Rete, e per promuovere una consapevolezza diffusa delle responsabilità individuali.” (dal sito)
Il progetto ha prodotto un Manifesto della comunicazione non ostile. Un manifesto di buone prassi che può essere sottoscritto e utilizzato sia dai singoli individui sia dalla Pubblica Amministrazione o dalle Aziende.
Gli scopi principali sono:
- considerare il web uno spazio di interazione pari a quello nella realtà offline
- l’utilizzo di un linguaggio che tenga conto del rispetto dell’Altro
- la creazione di una community legata dall’adesione al Manifesto
Rendere insomma materiale l’immateriale, concreto l’astratto e manipolabile l’intangibile.
Generazioni connesse
Un altro progetto che da sempre monitora e accompagna gli adolescenti, e chi sta a contatto con loro, nell’uso corretto del web, è il progetto Generazioni Connesse del MIUR. I suoi interlocutori infatti sono anche, oltre ai ragazzi, i genitori e gli insegnanti. Quel mondo adulto che deve rimanere sempre al passo con i cambiamenti che devono affrontare gli adolescenti se vogliono continuare a mantenere il loro ruolo di guida.
Da sempre attenti alla comunicazione sul web e alla necessità di una buona conoscenza del territorio virtuale, Generazioni Connesse ha declinato immediatamente l’esperienza al momento che stiamo vivendo, la pandemia, con una serie di progetti autonomi, in partnership o esterni che si sono occupati di garantire il prosieguo dell’attività didattica.
Il passaggio alla Didattica a Distanza ha prepotentemente portato il digitale nella scuola come strumento utile per mantenere una continuità.
In questo progetto di Save The Children si sono creati spazi di discussione e confronto social sulla tematica della DAD. Spazi in cui si cambia l’assetto frontale con cui viene spesso vista la didattica in presenza ma che tiene conto dei bisogni dei fruitori del servizio, i ragazzi.
Dal punto di vista del benessere psicosociale, la pandemia in cui siamo immersi ha obbligato un viraggio verso l’uso della tecnologia per avvicinare le persone. È parzialmente scomparso il mondo offline a favore del mondo online dalla formazione alla cura.
Un viraggio accelerato dalla necessità ma su cui si sta cominciando a fare una profonda riflessione sull’impatto di queste modalità di comunicazione, sugli effetti dati dal cambio di registro cancellando molti pregiudizi che la tecnologia si porta da sempre dietro.
Prestazioni sanitarie online
Nel campo della salute, ad esempio, sia in ambito privato, sia in ambito pubblico ci si è dovuti attrezzare di software dedicati ma soprattutto di una impostazione mentale che ribaltasse l’abitudine e la tipologia della comunicazione.
La consulenza psicologica e la psicoterapia online possiamo dire che sia stata sdoganata anche in italia, seppur con tutte le resistenze. Tali resistenze riguardavano il concetto di privacy ma in primis il tema del nostro articolo, il linguaggio, in particolare per la sua componente non verbale che è quella che spesso veicola maggiormente la componente emotiva. Online posso vedere le espressioni facciali ma non ho una visione del corpo e non ho un’interazione fisica (la stretta di mano, la postura).
Si è visto in questi mesi come, se venivano a mancare alcuni elementi abituali, dati dalla vicinanza fisica, ne emergevano altri parimenti importanti che spesso agevolavano l’interazione e la comunicazione (ad esempio il fatto che le persone a casa loro fossero più rilassate che in uno studio professionale, la comodità di accesso senza dipendere dagli spostamenti).
L’Ordine Nazionale degli Psicologi ha aggiornato le linee guida per la consulenza online in linea con quelle della comunità internazionale.
Molti colleghi in Italia da tempo si impegnano per dare piena dignità alla consulenza online e finalmente sembra si sia riusciti a sdoganarla. Per farlo, però si deve prestare molta attenzione, non solo alle linee guida ma anche al considerare come la variazione di setting implichi variazioni tecniche e di senso. Pensare che la consulenza online consista solo nello spostarsi dalla stanza dello studio alla piattaforma di videochiamata rischia non solo di far perdere pezzi importanti di significato ma di commettere errori.
Qui possiamo trovare il lavoro di una psicologa, Ada Moscarella, che da tempo si occupa di consulenza online ed affronta questi temi. Per offrire un servizio ottimale secondo la dott.ssa Moscarella, bisogna prendere in considerazione tre pilastri: deontologia, tecnologia e pratica clinica. L’attenzione alla persona che chiede aiuto passa anche attraverso questo.
Informazione online corretta
Mai come in questo periodo l’informazione online si è intrisa di fake news, notizie sensazionalistiche, superficiali, non rispettose delle persone.
Il progetto Constructive Network ha stilato un manifesto volto a riportare la comunicazione informativa e giornalistica ad un’etica da cui non può prescindere nel rispetto del giornalismo ma soprattutto delle persone che usufruiscono di tale comunicazione o che ne sono oggetto.
Questa la loro presentazione:
“Siamo il primo network italiano di professionisti dell’informazione dedicato alla comunicazione costruttiva e al giornalismo delle soluzioni.
La nostra mission: offrire una nuova opportunità ai media.
Rintracciamo i contenuti costruttivi in rete e li condividiamo, ci incontriamo e teniamo corsi di formazione sulle tecniche di giornalismo costruttivo.
Ci rivolgiamo a giornalisti, blogger, comunicatori e consumatori di notizie.”
Il manifesto prevede quattro punti principali:
- Informa secondo etica e rispetto: evita morbosità, conflitti, sensazionalismi che non portano valore alla notizia
- Trova soluzioni alternative: esplora ogni prospettiva di una storia per cogliere le potenzialità costruttive
- Racconta la complessità: contestualizza storie e dati per favorire la narrazione costruttiva
- Ispira fiducia nei lettori: non inquina l’opinione pubblica con titoli o dettagli inutilmente sconfortanti.
Conclusioni
Rimettere al centro della comunicazione l’essere umano nelle interazioni digitali diventa imprescindibile in questo momento di trasformazione così estensiva e intensiva delle nostre società e dell’uso che la stessa fa dei vari media. Utilizzare come veicolo il linguaggio e la connessione emotiva è la via principe per ottenere questo.
Dal punto di personale, ma anche vista aziendale e istituzionale, curare la comunicazione e il linguaggio usato sulle proprie piattaforme online (e offline) è oggi fondamentale per curare le relazioni all’interno dell’organizzazione e con i clienti o utenti. Ciò riguarda ad esempio sì il sito dell’organizzazione o le pagine social che servono da tramite con l’esterno, ma soprattutto la comunicazione interna tra il personale che deve colorarsi e far sì che una mail con un’approvazione dia il sentore di una stretta di mano.
Riuscire a trovare una modalità di comunicazione che ingaggi, solleciti le emozioni può servire da un lato a mutare la percezione del fruitore da passivo ad attivo. Dall’altro serve a chi eroga servizi di avere il polso del tenore emotivo con cui i propri prodotti ingaggiano i consumatori. Ciò che, inoltre, attiva di più il coinvolgimento è il sentire di essere visti, ad esempio:
- l’azienda che risponde direttamente ad un nostro commento;
- un messaggio personalizzato che tenga conto delle nostre necessità;
- la richiesta di feedback dopo l’utilizzo di un prodotto o servizio.
Pensiamo a quei siti online che hanno posto, alla fine dei loro articoli, la possibilità di comunicare quali emozioni ha suscitato in noi la lettura di un testo o di un servizio o all’introduzione delle reaction al posto del solo Like su Facebook… Questo perché, per poter comunicare al meglio con i propri interlocutori, è necessario conoscere la loro posizione rispetto ai nostri servizi o prodotti. Questo ovviamente è anche lo scopo della profilazione che spesso viene additata negativamente in nome della privacy. Ma forse, in alcuni casi, può far sì che l’offerta si incontri con una reale domanda. Quello di cui però voglio sottolineare l’importanza è la disponibilità di chi fornisce un servizio a interessarsi del consumatore finale, coinvolgerlo, renderlo parte attiva nel processo di acquisizione/vendita.
Prendersi cura di questi aspetti rende i servizi offerti non solo più etici ma anche più umani e usufruibili, maneggiabili. Vedremo insieme nei prossimi articoli come questo tema, traslato in altri ambiti dell’Umano, sia declinato che messo in potenza.
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