Sensibilità e lavoro: le relazioni interpersonali come leva partecipativa agli obiettivi comuni anche in ambito lavorativo. Di Giulio Destri.

Giulio Destri

Giulio Destri

Digital Transformation Advisor & Innovation Manager ● Business Coach & Trainer ● Business Analyst & ICT Project Manager.

Tra i Valori derivati dai tag di Calvino, il presente articolo prende spunto dal Valore della Sensibilità. Ancora una volta, chiediamo aiuto al dizionario Treccani per l’insieme dei significati di questo termine. E troviamo:

  1. In psicologia, la facoltà di un essere vivente di conoscere per mezzo dei sensi e di provare il piacere o il dolore accompagnanti le sensazioni.
  2. L’insieme delle operazioni sensitive, in contrapposizione alle operazioni intellettive.
  3. Sensitività, particolare attitudine a risentire gli affetti, i sentimenti, le emozioni.
  4. In senso più ampio, considerando non solo le disposizioni affettive ma anche le tendenze attive dell’animo, si parla di sensibilità morale, di sensibilità sociale, di sensibilità politica, e simili, per indicare la capacità a comprendere, sentire, elaborare i fatti morali, sociali, politici, ecc.
  5. Delicatezza di sentimento e finezza di giudizio estetico.

 

Collegando fra loro queste varie definizioni, possiamo indicare con sensibilità la qualità di osservare le cose, con partecipazione emotiva oltre che intellettuale e, in particolare, di partecipare emotivamente alle relazioni, con attenzione alle emozioni delle altre persone coinvolte, e quindi anche di provare empatia verso le altre persone.

In questo articolo ci occuperemo della sensibilità nel mondo del lavoro e delle aziende in generale, proseguendo il tema degli articoli precedenti.

 

Le relazioni interpersonali nel lavoro.

Come già descritto in diversi articoli passati, le relazioni fra le persone sono molto importanti per condurre al successo iniziative che coinvolgano più di una persona. Apparentemente questo potrebbe essere in contraddizione con quanto si osserva nel mondo del lavoro, dove in molti casi, nonostante le persone non vadano particolarmente d’accordo fra loro, “comunque le cose vengono fatte”. Vero, ma con che sforzo in più, da parte dei partecipanti, rispetto a quello che ci sarebbe se le persone andassero d’accordo?

A completamento con l’analisi delle attività svolta nell’articolo precedente sulla flessibilità, le attività lavorative possono anche essere divise fra:

 

  1. Attività puramente individuali, che possono essere svolte da una sola persona dal loro inizio sino alla loro fine; la persona deve quindi disporre di tutte le risorse e le informazioni necessarie per il completamento delle attività stesse;
  2. Attività individuali con contributo “piccolo” da parte di altre persone, che possono essere svolte dalla persona con una sequenza di azioni individuali, richiedendo solo in momenti specifici (ad esempio, all’inizio ed a metà) il risultato di azioni di altre persone (ad esempio, approvazione, fornitura di un dato, consegna di semilavorati all’inizio, passaggio di consegne);
  3. Attività individuali inquadrate entro flussi di processo o di progetto, in cui sono frequenti azioni di confronto/coordinamento/scambio di risorse ecc… con altre persone, ma che comunque sono portate avanti principalmente da una sola persona;
  4. Attività individuali ben delimitate facenti parte di un insieme da svolgere, magari assegnate da un coordinatore o “scelte” da una coda (ad esempio, lavoro sulla prima pratica non ancora evasa presente in una coda), che richiedono coordinamento e passaggio di consegne con altri, anche se svolte principalmente da una sola persona;
  5. Attività che richiedono il lavoro simultaneo di almeno due-tre persone, ad esempio, il trasportare un mobile durante un trasloco;
  6. Attività collettive, come riunioni, presentazioni, cui devono partecipare un numero anche ampio di persone.

 

Accanto alle comunicazioni necessarie per lo svolgimento delle attività, vi sono comunque comunicazioni più o meno “informali” che le persone possono avere fra loro semplicemente perché si trovano in uno stesso spazio (ad esempio, ufficio, reparto…), fisico o logico. Che impressione vi farebbe un luogo in cui le comunicazioni fra tutte le persone presenti sono, solo ed esclusivamente, quelle minime necessarie per lo svolgimento delle attività, come sopra descritto?

Il fatto che in molte aziende, con l’isolamento forzato legato ai primi tempi della pandemia, siano stati inseriti momenti “informali” di collegamento remoto che corrispondessero alla pausa caffè forse ci dà una risposta…

Ed è opportuno citare in questo caso anche il primo valore agile:

Le persone e le loro interazioni sono più importanti dei processi e degli strumenti, e quindi le persone e le loro interazioni sono il primo fattore che permette di ottenere i risultati.

 

La “buona colleganza”: vedere la persona oltre il/la collega.

In ogni ambiente (di lavoro e non) possiamo trovare:

 

  • persone con cui, magari fin dal primo incontro, ci si trova bene, e spesso si hanno rapporti anche oltre il lavoro (“amici”)
  • persone con cui comunque si va d’accordo e si ha rispetto reciproco, pur non avendo rapporti “approfonditi” (“buoni colleghi”)
  • persone con cui si dialoga, ma senza particolare trasporto emotivo (“indifferenti”/”semplici colleghi”)
  • persone con cui non si hanno rapporti costruttivi, e che magari ci ispirano, probabilmente da subito, una profonda antipatia, molto spesso reciproca.

 

Le relazioni tra colleghi quindi, a maggior ragione se operanti nel contesto di rapporti gerarchici (ad esempio, coordinatore di area con suoi sottoposti) possono influire grandemente sulla produttività del team entro cui avvengono. Oltre che rendere poco felice la vita di coloro che le vivono in modo conflittuale: pensiamo a tutti quei casi in cui lo stress originato da un ambiente di lavoro conflittuale rovina la salute delle persone coinvolte, a cominciare da quanti sono più in basso nella scala gerarchica dell’azienda.

Accanto a problemi originati da relazioni “approfondite”, è utile citare il caso di relazioni legate al fatto di operare nella stessa stanza, il famigerato Open space. Se, da un lato, è innegabile che questo ambiente favorisca il passaggio delle informazioni e, talvolta, anche la trasmissione di concetti “per osmosi”, dall’altro forza la maggioranza delle persone ad isolarsi dall’ambiente stesso (ad esempio, per esperienza diretta, indossando auricolari e/o cuffie con musica tale da coprire il rumore dell’ambiente stesso, permettendo di concentrarsi sul proprio lavoro).

Questa necessità di isolarsi è stata addirittura esaltata dal fatto che in molte aziende, il passaggio forzato al lavoro remoto ha prodotto un incremento di produttività anche a causa della eliminazione delle fonti di disturbo ambientale legati agli open space. E questo fatto può dare, a sua volta, un contributo alla decisione di dimissioni della persona nelle situazioni in cui l’ azienda decide di tornare completamente al modo di lavorare pre pandemia e le persone, abituate ai vantaggi del lavoro da remoto, non riescono più a tornare alla situazione precedente.

In molte aziende, il passaggio forzato al lavoro remoto ha prodotto un incremento di produttività anche a causa della eliminazione delle fonti di disturbo ambientale legati agli open space. Condividi il Tweet

In sostanza, per potersi concentrare sul proprio lavoro, le persone tendono a isolarsi e a comunicare meno e, generalizzando, a porre meno attenzione gli uni agli altri. Se poi alcune persone, per il tipo di lavoro che fanno, tendono a produrre rumore (ad esempio, telefonate) allora ecco che si possono attivare emozioni negative come fastidio, irritazione o addirittura rabbia nei loro confronti.

E in generale, dovendo sottostare a ritmi frenetici, diventa difficile ricordare che il collega è anche una persona, con tutte le sue sfaccettature, problematiche, debolezze, fragilità… e magari basta un minimo screzio perché lo si investa di male parole…

 

Sensibilità ed efficacia dei team e delle aziende.

Tornando al primo valore agile sopra citato, pensiamo ad un gruppo di lavoro coeso, dove le persone hanno rispetto e stima reciproca, dove vedono, gli uni negli altri, persone oltre il/la collega. Dove le persone con problemi personali possono avere supporto dai colleghi invece di essere attaccate. Dove le persone si aiutano l’un l’altra a raggiungere gli obiettivi svolgendo le attività legate al lavoro. Dove le persone sono trattate come tali, e non semplicemente come “risorse” dai propri superiori [1] e dove atti di prevaricazione non sono favoriti e nemmeno tollerati, ma immediatamente fermati.

Le statistiche dimostrano che, entro un ambente di lavoro dotato di queste qualità, la produttività è più elevata, lo stress minore, e quindi anche le malattie ad esso legate. In sostanza quindi le persone vivono positivamente il proprio lavoro [1]. In un contesto di questo tipo, un team con un buon livello di coesione fra i suoi membri è una buona “macchina da guerra”, in grado di affrontare collettivamente compiti complessi in ambienti complessi e di portarli a termine [3]. Le persone possono esprimere al meglio le proprie risorse e raggiungere risultati importanti.

Un team con un buon livello di coesione fra i suoi membri è in grado di affrontare collettivamente compiti complessi in ambienti complessi e di portarli a termine. Le persone possono esprimere al meglio le proprie risorse. Condividi il Tweet

E allora, perché in molti ambienti tutto questo non accade e invece esistono difetti cronici, sia nella organizzazione, sia nelle relazioni tra le persone?

Non esiste una risposta semplice a questa domanda.

In alcuni casi, specialmente in contesti fortemente basati sul controllo e su una cultura manageriale fortemente gerarchica, il “divide et impera” viene considerato uno strumento necessario per mantenere il controllo sulle persone e quindi, quantomeno, non viene favorito il crearsi di team coesi “che potrebbero un giorno rivoltarsi, o comunque minare il potere del capo”.

In altri ambienti, totalmente orientati sul fatturato nel breve-medio termine, viene premiato, e fatto salire nella scala gerarchica, chi ottiene risultati in fretta, indipendentemente dai modi e dalle conseguenze. In altri casi ancora il management è poco presente ed orientato solo al mantenimento della propria posizione e quindi non prende posizione in caso di conflitti fra propri sottoposti (“mantenimento del quieto vivere”)… in effetti, impegnarsi nel seguire veramente le persone e trattarle come tali, richiede tempo ed energie.

Il fenomeno delle cosiddette “grandi dimissioni”, successivo alla pandemia, ha spesso come causa principale ambienti di lavoro non proprio salutari come questi sopra descritti. E gli ambienti da cui la gente (le persone con capacità migliori, che possono più facilmente trovare collocazione altrove) scappa, tendono sempre più a diventare invivibili per coloro che rimangono. Se la tendenza non viene affrontata intervenendo sulle cause, gli effetti potrebbero essere molto gravi anche per la sopravvivenza stessa delle aziende in cui questo avviene.

 

Sensibilità verso clienti e fornitori.

La sensibilità è necessaria anche nelle relazioni con persone esterne all’azienda.

Pensiamo, ad esempio, che i bravi agenti commerciali tendono anche a stabilire un rapporto personale con i propri clienti, almeno se vogliono mantenere e consolidare il rapporto nel tempo. E non sono invece orientati alla cultura del “fatturato tutto e subito” già sopra citata.

Purtroppo, soprattutto nel caso della vendita verso i clienti finali di prodotti come servizi telefonici o luce e gas, questa cultura ha prodotto risultati nefasti. La volontà di vendere tutto e subito ha prodotto i call center propositivi che ci bombardano ad ogni ora del giorno con le loro “offerte da non perdere” o i venditori porta a porta addestrati per applicare in modo aggressivo i meccanismi di persuasione studiati dagli psicologi [4].

Nel commercio elettronico invece, la cura nella relazione mostrata da alcuni grandi attori del mercato, almeno nei limiti legati al rapporto di vendita, ha prodotto una evoluzione delle aspettative da parte dei clienti. La crisi conseguente di molti negozi tradizionali non è dovuta solo ai prezzi, ma al fatto che non sono in grado di dare valore in più alla relazione con il cliente. Invece, durante la pandemia, molti negozi che hanno puntato sulla relazione col cliente fornendogli valore (ad esempio accettando ordini via whatsapp e pagamenti elettronici, facendo consegne a domicilio ecc…, quindi sfruttando il cosiddetto e-commerce di prossimità) ne sono usciti rafforzati nella relazione (e quindi nel business) col cliente stesso.

Il settore dove la relazione col cliente, se non si tiene in conto la sensibilità, diventa potenzialmente devastante per chi la gestisce in prima linea, è la assistenza post vendita, o meglio l’intero settore della customer care. Condividi il Tweet

Il settore dove la relazione col cliente, se non si tiene in conto la sensibilità, diventa potenzialmente devastante per chi la gestisce in prima linea, è la assistenza post vendita, o meglio l’intero settore della customer care. Anche in questo caso spesso questo settore è stato visto come un fastidio da gestire con il minore costo possibile, creando mostruosi “muri di gomma” in cui il cliente bisognoso di assistenza viene rimbalzato da Erode a Pilato più volte, attraverso menu vocali, caselle email che non rispondono… e ingenerando in questo modo una totale non fidelizzazione dei clienti che, nella convinzione che “tanto tutti gli operatori sono ladri e non funzionano”, passano da un fornitore di servizi ad un altro solo sulla base del costo, garantendo in tal modo profitti per chi ha percentuali in base alle vendite.

E questo genera anche un lavoro massacrante per gli operatori di help desk che si trovano in prima linea ad affrontare rabbia e frustrazione dei clienti quando questi riescono a prendere la linea.

Aziende più oculate ed orientate al rapporto duraturo invece mettono in pratica nella formazione del proprio personale di supporto una attenzione per il cliente in quanto persona e non solo “limone da spremere”. Una interessante serie di casi, descritta in [2], dimostra che questa politica paga nel lungo termine, sia dal punto di vista della soddisfazione e quindi della fidelizzazione del cliente, sia nel miglioramento delle condizioni di lavoro del personale di help desk, con minore stress e malattie conseguenti.

Aziende più oculate ed orientate al rapporto duraturo invece mettono in pratica nella formazione del proprio personale di supporto una attenzione per il cliente in quanto persona e non solo “limone da spremere”. Condividi il Tweet

In conclusione quindi possiamo affermare che nel lavoro la sensibilità verso gli altri, sia interni, sia esterni all’azienda, ripaga sul lungo termine gli investimenti in energia e tempo che richiede. Formare le proprie persone anche verso la sensibilità nei rapporti interpersonali è un investimento necessario per l’azienda orientata alla durabilità nel tempo.

Al prossimo articolo,

Giulio Destri


 

Bibliografia

[1] Stefano Greco – Da risorse umane a persone – Ed. FrancoAngeli, 2009
[2] Shelle Rose Charvet – Non ci sono più i clienti di una volta – Ed. FrancoAngeli, 2016
[3] Jeff Sutherland – Fare il doppio in metà tempo – Ed. RCS Libri, 2015
[4] Robert Cialdini – Le armi della persuasione – Ed. Giunti, 2010

 


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