Mondo Digitale: educare gli uomini a coglierne le opportunità e ridurre i rischi. Di Giulio Destri.

Giulio Destri

Giulio Destri

Digital Transformation Advisor & Innovation Manager ● Business Coach & Trainer ● Business Analyst & ICT Project Manager.

Nell’articolo precedente è stato trattato il tema della complessità del mondo digitale, cui si è arrivati nel corso degli ultimi decenni e che rappresenta una debolezza per un pilastro fondamentale della nostra società. In questo articolo, riprendendo il tema della formazione necessaria per gli umani nel mondo digitale, esamineremo la situazione attuale, con i suoi aspetti positivi ed i suoi limiti, sia per gli addetti ai lavori, sia, soprattutto, per i “cittadini digitali”.

Ancora una volta è necessario partire dal passato.

 

L’eredità di un “lontano” passato e la contrapposizione umanista-tecnico

Nel periodo dell’antica Grecia e dell’Impero Romano di sviluppano e vengono codificate le arti liberali, ossia le discipline accademiche, i mestieri e le professioni coltivate da persone libere (e “degne” delle persone libere), in contrapposizione alle arti servili (mestieri vili e meccanici), destinate agli schiavi o, comunque, alle classi “inferiori” della società.

Nel periodo finale dell’Impero vengono poi raggruppate nel trivio (grammatica, retorica, filosofia), e quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica) quelle orientate allo studio del mondo, lasciando a parte la teologia, orientata oltre il mondo. Questa suddivisione continuerà per tutto il periodo medievale, anche Dante Alighieri, negli ultimi decenni del 1200, studia sia trivio sia quadrivio.

Nel rinascimento un genio come Leonardo è, allo stesso tempo letterato, artista e scienziato. Sperimenta, costruisce anche con le proprie mani i suoi strumenti.

Il metodo scientifico poi pone gli scienziati nella necessità di fare esperimenti per provare le teorie. Esperimenti che spesso devono essere compiuti con strumenti autocostruiti. Quindi lo scienziato è, in molti casi, anche un artigiano, non è ritenuto “indegno” il costruire qualcosa con le mani.

Lo sviluppo della società industriale riporta una frattura fra chi inventa e progetta le macchine e chi, invece, tali macchine deve solo saper usare. Oltre che “ribadire” la frattura fra classi dirigenti e classi lavoratrici. Ecco quindi l’avvento di percorsi di formazione separati, che vengono poi codificati in Italia con la riforma Gentile nel 1923. In essa viene posto l’accento sulla separazione dei percorsi per la classe dirigente, fondato soprattutto sulla formazione classica attraverso quello che poi sarebbe diventato il Liceo Classico, e per le classi lavoratrici, fondato sulla formazione pratica orientata al lavoro fin dagli 11 anni, con la cosiddetta Scuola di Avviamento.

La diffusione esplosiva dei prodotti di scienza e tecnologia avvenuta in seguito, nel corso del 1900, ha prodotto uno scollamento tra i contenuti scolastici e la realtà della vita. Hanno preso forma diversi difetti, come per esempio la “paura della matematica” (che spesso sfocia nel “vantarsi” di non sapere nulla di matematica).

Infine, la diffusione di massa dei PC, nel lavoro e nelle case, e di Internet, e la necessità di apprendere almeno l’uso lavorativo di tali strumenti (spesso svolta in modo autodidatta) ha prodotto un ulteriore scollamento fra

Addetti ai lavori dell’informatica

quindi programmatori, amministratori di sistema ecc…, spesso molto specializzati sul proprio ruolo e non abituati ad una visione di insieme. Molti di loro ritengono che basta conoscere molto bene il proprio ruolo, ad esempio sapere scrivere del buon codice sorgente, per essere ottimi informatici.

Giovani, ritenuti “nativi digitali”

e in grado “di fare tutto con il computer o lo smartphone” che però, nella maggior parte dei casi sono solo buoni utilizzatori di strumenti senza padroneggiarne la complessità. E che spesso hanno anche difficoltà ad andare oltre la mera interfaccia utente dei sistemi.

Parte rimanente della popolazione

che usa gli strumenti, a volte con difficoltà, e spesso sviluppa un rapporto di amore-odio per gli strumenti stessi. Spesso questi seguono stereotipi nella concezione della tecnologia e del rapporto con essa.

 

Nell’ultimo anno abbiamo poi visto ampliarsi un rapporto di amore-odio nei confronti della scienza (in particolare della medicina), con molte persone sviluppare un rapporto di sfiducia nei confronti degli addetti ai lavori. E con addetti ai lavori che hanno rilasciato dichiarazioni quanto meno inappropriate e generanti panico.

Ma allora, esiste qualcosa che gli addetti ai lavori devono comunque saper fare? E, dall’altro lato, ci sono conoscenze che tutti dovrebbero avere? Partiamo da una analisi interna al mondo del lavoro dell’IT.

 

Soft Skill o Hard Skill: entrambi!

Negli ultimi anni si è sviluppata una contrapposizione fra i sostenitori della maggiore importanza di SoftSkill e HardSkill nel mondo del lavoro, con ognuna delle parti in sostegno pieno del proprio punto di vista. In realtà entrambi i mondi servono, come analizzato in questo articolo.

Infatti esistono capacità come:

  • parlare in pubblico (o durante una riunione) mantenendo calma, espressività e chiarezza;
  • porsi in relazione costruttiva con gli altri, sia entro un gruppo di lavoro, sia rappresentando un gruppo verso clienti e fornitori;
  • risolvere problemi ed avere la visione di insieme (o almeno una parte di essa);

che sono preziose e necessarie nella maggior parte dei lavori, non soltanto nel mondo digitale. In particolare, per coloro che fanno divulgazione, o che devono spiegare fenomeni del mondo, rivolgendosi al grande pubblico, è fondamentale tenere presente la chiarezza espressiva anche nei confronti di chi non ha la loro cultura.

Esistono ovviamente anche conoscenze e know-how specifici, ad esempio, nel mondo digitale:

  • saper scrivere codici sorgenti e, in generale, saper programmare;
  • saper configurare e gestire un sistema informatico per garantirne il funzionamento ottimale nel tempo;
  • saper usare strumenti e software specifici;

che sono altrettanto preziosi e che, soprattutto, richiedono di solito molto tempo (e molte energie) per essere acquisite.

In questo articolo era stato presentato lo standard dell’Unione Europea delle competenze necessarie per il mondo digitale, l’European E-Competence Framework (ECF). L’ECF, giunto alla versione 3.0, definisce le abilità composite ritenute necessarie (da parte di esperti provenienti da aziende, centri studi e mondo accademico) per i professionisti e i manager dell’informatica. Per ciascuna di tali abilità, è definito anche quali sono competenze e skill “basici” che la compongono. E tra questi troviamo competenze e skill di tipi soft (comunicativi, relazionali), analitici, operativi.

[bctt tweet=”l’European E-Competence Framework definisce le abilità composite ritenute necessarie per i professionisti e i manager dell’informatica. Per ciascuna di tali abilità, è definito anche quali sono competenze e skill “basici”” username=”MapsGroup”]

In altri termini, per molti dei ruoli dell’informatica, è ritenuto necessario da uno standard europeo (e anche dagli standard equivalenti USA) che vi siano appropriate combinazioni di hard e soft skill per poter affrontare un ambito professionale sempre più complesso. E, basandomi sulla mia esperienza professionale, avendo rivestito direttamente o avendo dovuto collaborare con molti ruoli distinti, non posso che essere d’accordo.

Nello standard italiano definito dalle norme UNI11506 e UNI11621 sono stati costruiti, “aggregando” ulteriormente le abilità composite dell’ECF, i profili professionali “canonici” dell’informatica. Nella nuova edizione 2021, attualmente in fase di approvazione, i profili sono 30, come riportato nella figura sotto.

 

Educare i professionisti digitali di oggi e di domani

Per arrivare ad acquisire tutte le competenze che gli standard (e la realtà che essi recepiscono), quali sono i percorsi formativi da seguire?

Se consideriamo ruoli tecnici “verticali”, come il “developer puro” (ossia la persona che scrive codice sorgente dei programmi in base alle specifiche scritte da altri) o il “sysadmin puro” (ossia la persona che configura i programmi ed i sistemi operativi in base alle direttive di altri) un percorso di formazione tecnica specialistica (ad esempio, una scuola superiore tematica ben organizzata, seguito da corsi di qualche mese specifici su tecnologie e metodologie operative). 

[bctt tweet=”Tutte le professioni dell’IT della codifica UNI richiedono una preparazione multidisciplinare per arrivare a una competenza T-shaped (competenza verticale specifica + competenza orizzontale di soft skill e cultura generale)” username=”MapsGroup”]

Ma queste figure sono necessarie solo in grandi aziende, e vengono inseriti in ambienti fortemente strutturati. In aziende piccole e medie sono necessari ruoli più versatili ed ibridi e lo stesso vale per le figure più “trasversali” ed “orizzontali”. In particolare per le figure più nuove, come il data scientist, o quelle che fanno da collante come il business analyst, che era stato trattato in questo articolo.

Negli anni’90 nasce un modello: la competenza T-shaped (a forma di T), per indicare la caratteristica di persone che accompagnano alla competenza verticale specifica in un settore un’ampia competenza orizzontale di soft skill e cultura generale. Le persone con questo profilo sono ritenute le migliori da grandi società di consulenza e sono le più adatte per le posizioni manageriali e decisionali (non solo nel mondo digitale). Molte persone con questo profilo tendono anche a espandere ulteriormente le proprie conoscenze attraverso la formazione continua, raggiungendo in alcuni casi competenza “a multipla T” ossia con competenze verticali in più di un settore. Possiamo concludere quindi che, ad esclusione dei ruoli “verticali puri” sopra citati, tutte le altre professioni dell’IT della codifica UNI richiedono una preparazione multidisciplinare per arrivare ad una competenza T-shaped.

E invece, dall’altra parte della interfaccia utente, cosa devono conoscere gli utenti dei servizi digitali?

 

Il cittadino digitale consapevole

I servizi digitali sono diventati talmente parte integrante della nostra vita che, non solo le capacità operative, ma anche la consapevolezza del significato del digitale, delle sue opportunità e dei suoi rischi, devono diventare parte integrante della cultura dei cittadini.

Nel nostro blog 6MEMES il tema è stato spesso affrontato. Qui aggiungo alcune considerazioni.

AFFRONTARE L’OCEANO DI INTERNET
  • Il parziale fallimento della Didattica a Distanza nelle scuole ha dimostrato che, al di là dell’eroismo vero e proprio di molti docenti, il sistema scuola ha fallito, principalmente per due motivi:
    1. Mancanza di infrastrutture e di coordinamento, di azioni centrali per l’uso delle tecnologie in situazione di emergenza; se durante il primo lockdown la situazione venutasi a creare era il meno peggio possibile, durante il nuovo anno scolastico l’insuccesso è stato dovuto alle azioni non svolte nel corso dei mesi precedenti;
    2. Mancanza di competenze digitali da parte degli insegnanti, soprattutto mancanza di consapevolezza del mondo digitale, che ha impedito in molti casi sia l’uso cosciente delle tecnologie, sia (già dagli anni precedenti) il trasferimento di competenze necessarie agli allievi.
  • I giovani, i cosiddetti “nativi digitali”, sono in molti casi abbandonati a sé stessi nell’apprendimento degli strumenti;
  • Se è vero che apprendere ad usare uno smartphone o un tablet è facile, ci riesce anche un bambino di pochi anni (così come era facile per la generazione precedente imparare ad usare il telecomando di un televisore), non altrettanto vero è imparare da soli cosa c’è al di là della interfaccia utente;
  • Soprattutto, quando si pensa all’oceano di Internet con tutti i suoi contenuti (positivi e non), con le persone (mosse da intenzioni positive o negative) che agiscono al suo interno, con la sua sempre più stretta interconnessione con la vita reale, un bambino può imparare ad affrontarlo da solo?

 

Fenomeni come il cyberbullismo, la diffusione (anche virale) di contenuti “personali”, la criminalità informatica ed i cyber ricatti, la pedofilia on line… ci mostrano che bambini, ragazzi (e, in realtà, anche buona parte degli adulti) hanno bisogno di questa formazione. Molti degli incidenti che portano a vivere situazioni spiacevoli sono dovuti ad imprudenza, ignoranza o semplice non consapevolezza.

[bctt tweet=”Il mondo digitale è, ormai, qualcosa di indispensabile per la nostra vita, ma è necessario usarlo in modo consapevole, per coglierne le straordinarie opportunità ed ridurre i rischi legati al suo uso” username=”MapsGroup”]

Uno smartphone o un tablet (come del resto un computer) non è un “elettrodomestico normale”, così come non lo era la televisione qualche decennio fa. È una porta sul mondo. E, in più rispetto alla televisione, consente anche una interazione bidirezionale con “chi” o “ciò” che sta al di là della interfaccia utente…

È necessario che i cittadini di oggi e di domani siano consapevoli di tutto questo. Il mondo digitale è, ormai, qualcosa di indispensabile per la nostra vita, ma è necessario che lo usiamo in modo consapevole, per coglierne le straordinarie opportunità ed allo stesso tempo ridurre i rischi legati al suo uso.


CREDITS IMMAGINI

Immagine di copertina (rielaborata):
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