L’importanza della competenza nel lavoro. Di Giulio Destri.

Giulio Destri

Giulio Destri

Digital Transformation Advisor & Innovation Manager ● Business Coach & Trainer ● Business Analyst & ICT Project Manager.

Tra i Valori derivati dai tag di Calvino, il presente articolo prende spunto da quello della Competenza. Questo termine, secondo il dizionario Treccani, ha diversi significati, tra cui sottolineiamo quelli riferiti

 

  1. alle persone: colui/colei che è competente, e che quindi ha capacità o autorità di esercitare un determinato compito, ruolo, ufficio;
  2. alle capacità in generale – per cultura o esperienza – di parlare, discutere, esprimere giudizi su determinati argomenti;
  3. alla competizione (dal latino antico): questo significato in particolare ci ricorda quanto la competenza professionale e le capacità che ne derivano siano estremamente importanti in questo mondo competitivo, sia nei rapporti fra le persone (ad esempio, nel concorrere per una determinata posizione), sia nei rapporti fra le aziende e anche fra gli stati, dove la supremazia tecnologica sta diventando un pilastro fondamentale nei rapporti di forza.

 

In questo articolo ci occuperemo della competenza nel mondo del lavoro e, con esempi tratti dallo specifico mondo delle professioni ICT ed automazione industriale, esamineremo la situazione riferibile a tutti quei lavori soggetti a rapidissima evoluzione, riprendendo e aggiornando un tema che è stato oggetto di alcuni articoli di questo blog nel 2017.

 

La competenza professionale

Gli standard sulla formazione, ad esempio l’E-Compence Framework sulla competenza IT, definiscono le competenze in relazione a specifici ambiti, sia relativamente alle conoscenze (ossia la conoscenza della materia o delle materie), sia relativamente alle abilità (ossia al saper fare, cioè al saper mettere in opera le proprie conoscenze per realizzare compiti, progetti ecc…).

In ogni ambito possiamo poi identificare alcune altre specifiche categorie di competenze:

  • Le conoscenze, comuni a più ambiti; sono quelle che potremmo definire formanti la cultura di base, comunque molto utile (quando non indispensabile) anche negli ambiti specifici. Ad esempio, per chi si occupa di reti informatiche wireless, conoscere le nozioni di base della fisica delle onde elettromagnetiche è fondamentale per fare progettazioni ed installazioni corrette.
  • Abilità trasversali, comuni a più ambiti; sono quelle che potremmo definire abilità di base, fra cui sono i cosiddetti soft skill. Tali abilità sono ad esempio necessarie per il lavoro di gruppo, ma non sufficienti per la maggior parte dei compiti, se non accompagnate da adeguate competenze specifiche.
  • Conoscenze ed abilità di base specifiche del settore, ad esempio, nel settore IT sono i concetti di file, sistema operativo ecc… ed i comandi di base (ad esempio, il doppio click per aprire un file) che servono per l’utilizzo comune degli strumenti; tali competenze sono quindi necessarie, ma si devono accompagnare a competenze molto più specifiche su elementi ristretti del settore, che devono essere possedute ad un buon livello di dettaglio.
  • Conoscenze ed abilità “verticali” su un sottoinsieme specifico del settore e che identificano la specializzazione specifica associata ad un determinato ruolo professionale. Ad esempio, in un contesto manifatturiero possiamo avere l’operaio generico, l’operaio specializzato nell’uso di macchine a controllo numerico, il saldatore ecc…

 

Nei settori tecnologici, e in particolare nell’IT, oggi alla base del nostro mondo, si sono creati tantissimi ruoli specializzati, ognuno dei quali richiede conoscenze ed abilità “verticali” specifiche. La normativa italiana UNI11621-2 sulle professioni ICT, basata sull’E-Competence Framework europeo, che è stata oggetto di un articolo nel 2017, quando comprendeva ancora 23 profili professionali.

Aggiornata nel maggio 2021, oggi definisce ben 30 diversi profili professionali, ognuno dei quali richiede conoscenze ed abilità di tutti i tipi sopra descritti, come mostrato in figura. E’ importante osservare che alcuni dei profili professionali aggiunti con la nuova edizione non esistevano ancora nel 2012, anno della prima definizione della norma.

Questi profili professionali specializzati sono specifici di una o più aree di azione, rappresentate con le frecce colorate con gestione (manage), pianificazione e progettazione dei sistemi IT (plan), realizzazione dei sistemi IT (build), esercizio dei sistemi IT (run) e fornitura di azioni di abilitazione (enable); allo stesso tempo ciascuno fa riferimento ad una categoria specifica come il design o il development, rappresentati dai rettangoli trasparenti a bordo nero.

Queste specializzazioni, in molti casi, si suddividono in ulteriori sotto-specializzazioni, come definito ad esempio dalla norma UNI11621-3 per le professioni specifiche del mondo web, e sono necessarie per gestire e padroneggiare con l’adeguato livello di competenze specifiche degli strumenti la cui complessità è aumentata continuamente nel tempo.

Questa iperspecializzazione, comune a molti settori, pur necessaria, spesso tende a creare problemi di comunicazione fra le persone.

Problemi che non sono dovuti soltanto a linguaggi specifici, per cui chi riceve la comunicazione può non essere a conoscenza dei concetti presenti dietro alle parole, ma anche alla percezione “deformata” dal ruolo professionale specialistico che le persone tendono ad avere.

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In sostanza, dato un problema, una questione, un obiettivo ecc… nel contesto lavorativo è frequente che le persone tendano a valutarlo principalmente per ciò che riguarda la loro competenza, talvolta
sottovalutando aspetti molto importanti ma estranei alla propria competenza specifica.

 

La competenza in un mondo complesso

Il nostro mondo tende sempre più ad essere VUCAniano, ossia Volatile, Incerto, Complesso ed Ambiguo.

Uno degli ambiti dove questo si è manifestato maggiormente è stato l’evoluzione dei lavori. Molti dei ruoli lavorativi che oggi sono comuni nel mercato del lavoro semplicemente non esistevano 30 o
40 anni, così come molti bambini di oggi, da adulti, svolgeranno lavori che oggi ancora semplicemente non esistono. Questa rapidissima evoluzione può produrre anche ampi effetti di instabilità.

A titolo di esempio, consideriamo una professione con una storia di decenni, il programmatore informatico.

  • Nello specifico del mondo Web, se vi sono specializzazioni in cui il “tempo di vita” delle competenze è piuttosto lungo (come per esempio il programmatore di back-end Java o .NET), ve ne sono altre, come nel caso del programmatore di interfaccia utente o front-end, dove il tempo di vita è di pochi anni e dove le scelte di evoluzione di strumenti da parte delle aziende che li hanno creati, possono in un attimo rendere obsoleta ed inutile dal punto di vista del curriculum vitae una seniority di 4 o 5 anni di lavoro su una data tecnologia.
  • Un esempio di questo fenomeno è stato il passaggio dal framework AngularJS (supportato tra 2010 e 2016) al nuovo Angular, con esso incompatibile, che ha portato la necessità di riconvertire completamente la professionalità accumulata negli anni.

 

L’evoluzione delle carriere professionali delle persone, inoltre, spesso porta al cambiamento di ruolo. Ma una persona che passa da un ruolo tecnico-operativo ad uno di coordinamento-dirigenziale, ha tutte le competenze necessarie per il nuovo ruolo? Il fatto che spesso le competenze non ci siano, né vengano previsti adeguati piani per aiutare le persone ad acquisirle, porta al paradosso del Principio di Peter: le persone salgono di livello fino a che non risultano inadeguate all’ultimo ruolo raggiunto.

E’ questo uno dei motivi per cui negli ultimi anni le aziende più attente alla efficienza ed efficacia delle proprie persone hanno iniziato a privilegiare il cosiddetto profilo T-Shaped (a forma di T), dove il tratto orizzontale rappresenta l’insieme delle conoscenze ed abilità di base e trasversali, mentre il tratto verticale rappresenta la profondità delle competenze specifiche. In alcuni casi si parla anche di profilo a Pi-greco quando le competenze verticali sono relative a più ambiti diversi.

 

Crescita professionale, formazione continua e ruolo della scuola

Quanto visto sopra ci dice che, anche se vi sono alcune abilità e conoscenze di base la cui validità è perenne, moltissime invece “invecchiano” e devono essere sostituite con nuove. Quindi, nel corso della propria vita, lavorativa e non, è indispensabile continuare ad imparare, concetto espresso con il termine inglese lifelong learning tradotto di solito in italiano come apprendimento permanente. E, purtroppo, per la maggior parte delle persone, apprendere non è una dote “naturale”, ma qualcosa che, a sua volta, deve essere acquisito, preferibilmente durante i primi anni di vita.

[bctt tweet=”Nel corso della propria vita, lavorativa e non, è indispensabile continuare ad imparare, concetto espresso con il termine inglese lifelong learning.” username=”MapsGroup”]

A questo punto però sorge una domanda: scuola e università preparano le persone, sia al mondo delle nuove competenze (ad esempio quelle digitali), sia, soprattutto, all’apprendimento permanente?

La risposta è, purtroppo, non a sufficienza, almeno nella maggior parte dei casi. Per quanto riguarda le scuole superiori a carattere professionalizzante (che quindi dovrebbero consentire di trovare un lavoro anche senza l’università), l’alternanza scuola-lavoro, ha, io credo, esaurito nei fatti la sua validità. Nei settori a forte evoluzione, infatti, gli studenti spesso acquisiscono nozioni in parte obsolete, che non consentono loro di essere produttivi in azienda durante i brevi periodi di permanenza e anche di non apprendere sul campo come potrebbero. Perciò in azienda tali studenti sono visti quasi come un fastidio, non essendoci nemmeno il tempo di addestrarli ed ottenere da essi un valore, e si trovano relegati a ruoli marginali come il fare fotocopie o scansioni, generando quindi negli studenti frustrazione ed ulteriore avversione per la scuola. Quel tempo, invece, potrebbe essere usato molto meglio per costruire un solido insieme di competenze di base, fra cui l’abitudine ad imparare continuamente.

Per quanto riguarda invece l’università, esistono sì corsi di laurea che, indirettamente, mostrano (e quindi fanno acquisire) la cosiddetta abilità all’apprendimento permanente, ma in molti casi università (e, prima di essa, la scuola superiore) sono ancora concepiti come una parte della vita in cui si studia per poter poi “vivere di rendita” nel resto della propria esistenza. Concezione, questa, che è completamente superata dalla situazione che abbiamo sopra descritto.

A livello universitario inoltre in moltissimi corsi di laurea non vengono date (e dovrebbero invece essere fornite) nozioni (almeno di base) di project management, team management e lavoro di gruppo, analisi delle situazioni e problem solving, che invece quasi sempre le persone devono acquisire con fatica in seguito nel mondo del lavoro.

Questa evoluzione del sistema formativo è necessaria se vogliamo mantenere la competitività del nostro sistema produttivo nei prossimi anni. Insieme a tale evoluzione, per evitare pericolose tensioni sociali, dovrà anche essere organizzata la riqualificazione di migliaia di persone le cui competenze tendono a diventare obsolete e che rischiano o rischieranno in un futuro non lontano di perdere il proprio lavoro.

Al prossimo articolo,

Giulio Destri


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