Internet of Things: un esercito di oggetti smart rivoluzionerà la nostra vita quotidiana.

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Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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C’è un’idea del futuro che ciascuno di noi ha interiorizzato nella propria giovinezza in immagini vivide, frutto di libri e film predittivi, di solito appartenenti al genere della fantascienza. Oggi quel passato, non poi così lontano cronologicamente, ci sembra non più prossimo, come è in verità, ma piuttosto già remoto, quasi appartenesse al secolo scorso.
Oggetti, case, indumenti sembrano infatti sempre più vicini a quelle immagini un tempo “fantastiche” che il mondo occidentale diffondeva con la sua cultura pop, mentre la nostra quotidianità di allora ci appare quasi preistorica.
In mezzo c’è stata la rivoluzione di Internet, la cui onda lunga ci spinge sempre più rapidamente verso nuovi sorprendenti approdi. È l’Internet of Things, il mondo della Rete e delle nuove tecnologie estese agli oggetti, che si connettono con noi e fra di loro, con un potenziale di impatto sulle nostre vite di tutti i giorni destinato a risolvere molti problemi, ma forse a sollevarne tanti altri.

Il fenomeno è in forte espansione. L’ultimo report dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano riferisce per l’Italia di dati in crescita nell’anno 2014: 8 milioni di oggetti connessi tramite rete cellulare, in crescita del 33% rispetto al 2013, per 1,15 miliardi di euro di valore che arrivano a 1,55 miliardi di euro se si aggiungono le connessioni di altro tipo. Su scala mondiale invece gli oggetti connessi sono 7 miliardi e si stimano cifre nell’ordine delle decine di miliardi entro il 2020.

Gli ambiti di applicazione sono i più vasti, dal faceto al serio, si potrebbe dire. Nel giugno scorso si è svolta Computex 2015, la fiera più importante del settore del mondo asiatico, dove molti erano gli oggetti smart prodotti o in attesa di sviluppo. Non solo gli ormai noti smartwatch, ma tanti semplici oggetti che lasciano presagire la futura capillare diffusione di questo tipo di nuove “cose”. Dalla borraccia che informa sulla quantità e la purezza dell’acqua bevuta, all’anello che comunica allo smartphone dati sulla nostra salute, e serve anche per aprire porte, pagare, ricordare le password.
Se pensiamo agli sviluppi in settori come la domotica, i trasporti, l’ambiente, l’organizzazione delle città, l’agricoltura, i beni culturali – solo per fare qualche esempio – comprendiamo la reale portata innovativa per la nostra vita di tutti giorni, in termini di semplificazione, crescita economica, risparmio energetico e sicurezza.

Gli scenari più promettenti, proprio per quanto possono concretamente cambiare la vita di ciascuno, sono quelli che si prospettano per la salute e l’autonomia della persona. IoT e wearables a sostegno di anziani e disabili ad esempio. I wearables, accessori e abiti high tech, sono un particolare segmento degli smart object che ha già un promettente futuro in molti settori, come quello sportivo. Abiti, orologi e relative APP – veri e propri coach digitali – che raccolgono i parametri biometrici degli atleti sono già una realtà.
I medesimi sistemi promettono di essere di grande utilità sociale per categorie di persone malate o non autosufficienti. A partire dai dispositivi indossabili che possono rilevare lo stato di salute degli anziani, prevedere possibili emergenze e contattare sanitari e familiari, con una ricaduta potenzialmente positiva per una società che sta sempre più invecchiando.
Ma anche la tecnologia a sostegno della disabilità è al centro di molti progetti di ricerca, come caschi ed esoscheletri connessi al cervello, arti bionici, sensori per il tatto e chip che ricostruiscono tessuti danneggiati, software a sostegno di ipovedenti. È di qualche tempo fa una notizia riguardante un caso celebre, quello di Stephen Hawkins. Per il noto astrofisico, che comunica con il mondo esterno tramite un sintetizzatore e un sensore a infrarossi ad esso collegato, è stata sviluppata una tastiera che permette allo scienziato di digitare solo una piccola parte di ciò che intende esprimere: al resto pensa la tastiera stessa, “sintonizzata” sulle consuetudini linguistiche e culturali di Hawkins perché istruita attraverso i suoi scritti.
Le nuove frontiere della tecnologia applicate alla medicina sembrano poter travalicare i confini stessi del corpo: ricercatori dell’Università del Texas ad Austin hanno divulgato la realizzazione di un micro robot di DNA che può muoversi e potrà in futuro farlo nel corpo umano alla ricerca di eventuali tumori o per “consegnare” i farmaci per così dire in loco.

Il mondo dell’Internet of Things presenta tuttavia anche risvolti di possibile criticità. Se da un lato – guardando la questione dal punto di vista produttivo, in termini cioè di futuri scenari di business – la cosiddetta Industria 4.0 rappresenta un’opportunità, si tratta comunque di una sfida da vincere con investimenti consistenti sul piano delle infrastrutture tecnologiche e del sostegno alla ricerca e alle startup, senza i quali il tema del digital divide rischia di farsi sempre più sensibile.
Occorre inoltre tenere presente che una tecnologia così interconnessa alle nostre vite solleva inevitabili quesiti legati all’utilizzo della mole di dati e di flussi di informazioni trasferiti da questi oggetti dialoganti che riempiranno le nostre case e le nostre città.
Un’attività legislativa regolatrice a vari livelli si renderà probabilmente indispensabile, non solo per le ovvie ragioni di tutela della privacy e dell’intimità di ciascuno, ma anche per motivi di sicurezza individuale e collettiva.

Occorre insomma che l’Internet delle “cose” continui ad avere il focus sulle “persone”.
Ci riusciremo? Non è detto. E non è nemmeno certo che questo sia un bene: se le macchine, invece, si rivelassero più umane di noi???

approfondimenti

Per saperne di più

www.sentieridigitali.it
www.techeconomy.it
www.wired.it
www.repubblica.it
www.ilfattoquotidiano.it