La città della trasparenza. Di Michele Vianello.

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Michele Vianello

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Il diritto di partecipare alla vita della Pubblica Amministrazione

 

Nel mio precedente articolo ho argomentato su come una forte e incisiva riforma della Pubblica Amministrazione possa avvenire a condizione che i cittadini siano consapevoli della possibilità di esercizio di una serie di diritti che la nuova legislazione, CAD (Codice dell’amministrazione digitale) e FOIA (Freedom of Information Act) in primis, mette a loro disposizione.

La legislazione più recente, infatti, si limita – ed è un eufemismo, ovviamente – a sancire i diritti per il cittadino, affidando poi all’AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) o all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) il compito di indicare le forme regolamentari che rendono esercitabili tali diritti.

Viene così sancito, per il cittadino, il diritto di partecipare a ogni procedimento che lo riguarda attraverso strumenti digitali, con l’attestazione ad esempio del diritto di avere una propria e univoca identità digitale, di poter eleggere un domicilio digitale, di effettuare i pagamenti alla P.A. attraverso strumenti digitali e così via.

SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) e PAGO PA (il sistema nazionale per i pagamenti a favore della Pubblica Amministrazione) sono due esempi specifici attraverso i quali il cittadino esercita propri diritti. A ogni diritto, infatti, deve corrispondere un servizio di cui usufruire attraverso specifiche piattaforme web e grazie a una “buona digitalizzazione” dell’Ente inreressato.

Tutto ciò premesso, tuttavia, fino a quando l’AgID  non varerà le norme e i regolamenti applicativi, queste innovazioni rimarranno teoria anziché divenire pratica, e tali aspettative resteranno, in larga parte, inespresse.
Di più ancora: non essendo a tuttoggi il cittadino a conoscenza dei propri nuovi diritti, non li eserciterà, ritardando così a sua volta – e suo malgrado – il processo di innovazione della Pubblica Amministrazione.

D’altronde, al di là delle previsioni legislative, la velocità dei processi di cambiamento si basa sui principi della domanda e dell’offerta, e accelerarne il processo non è semplice. Quanto più i cittadini (ovvero la domanda) chiederanno di fruire dei servizi utilizzando strumenti digitali, tanto più la Pubblica Amministrazione (ovvero l’offerta) sarà tenuta ad adeguarsi.

Questo vale anche per la legislazione in materia di trasparenza.
Mi riferisco in larga parte a ciò che è previsto – ormai da tempo – dal D.Lgs. n. 33 del 2013. A causa della storia recente del nostro Paese, infatti, il principio di trasparenza, sul piano normativo, è legato indissolubilmente alla lotta alla corruzione.

Non è un caso che ogni anno le Pubbliche Amministrazioni debbano varare un unico Piano sia per le azioni anticorruzione che per la trasparenza. Così non dovrebbe essere, perché la trasparenza costituisce in sé il valore fondante su cui si consolida l’attività della Pubblica Amministrazione.

I modelli organizzativi, ad esempio, dovrebbero essere pensati, realizzati, finalizzati e traguardati alla trasparenza sia nell’azione amministrativa che nell’accesso alla produzione di dati, atti, documenti etc. di una P.A..

Alcuni esempi concreti: un sito Istituzionale costruito “correttamente” è una condizione sine qua non per esercitare il diritto all’accesso e alla trasparenza. Allo stesso modo, un ciclo documentale interamente digitalizzato è la condizione ottimale sia per reperire le relative informazioni che per poterne fruire. Anche in questi casi, è utile ricordarlo, il cittadino – così come le imprese, i professionisti e le organizzazioni in genere – potranno esercitare un ruolo decisivo.

Cittadini consapevoli e informati

 

È opportuno, a questo punto, ricordare a tutti noi quanto previsto all’art. 1 (comma 1) del D.Lgs. n. 33/2013:

“La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.”

Ancora, all’art 3 (comma 1), la legge recita:

“Tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di accesso civico, ivi compresi quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’articolo 7.”.

Come si capisce, anche in questo caso, il legislatore ha messo nelle mani dei cittadini importanti opportunità.

I dati e i documenti detenuti dalla P.A. sono resi accessibili al cittadino nella loro totalità (con un unico limite posto negli “interessi giuridicamente tutelabili”, come ad esempio vale per i dati sensibili, giudiziari, a tutela della proprietà intellettuale ecc.), affinché quest’ ultimo possa partecipare in maniera “consapevole” e “informata” alla vita pubblica.

Il cittadino, con tali informazioni, sarà infatti messo in condizioni di vigilare sulle finalità di una P.A. a partire da conoscenze reali e dettagliate.

A tutto questo si deve aggiungere l’obbligo per una P.A. di mettere a disposizione della collettività anche per fini commerciali (Art. 1, comma ter del CAD) dati e documenti per poter essere trasformati e riutilizzati. L’articolo 6, inoltre, verte sulla “Qualità delle informazioni”, riportando che

Le pubbliche amministrazioni garantiscono la qualità delle informazioni riportate nei sitiistituzionali nel rispetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge, assicurandone l’integrità, il costante aggiornamento, la completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la comprensibilità, l’omogeneità, la facile accessibilità, nonché la conformità ai documenti originali in possesso dell’amministrazione, l’indicazione della loro provenienza e la riutilizzabilità secondo quanto previsto dall’articolo 7.”

A questo punto la sfida é davvero rilevante, perché può cambiare il rapporto stesso tra la Pubblica Amministrazione e il cittadino.

Se la P.A. deve essere trasparente come regola generale, e inoltre ha l’obbligo dimettere a disposizione dati e documenti, il cittadino, dal canto suo, ha il dovere (e la convenienza) di partecipare alla vita pubblica in modo informato riutilizzando a sua volta, anche per fini commerciali, tali dati e documenti, partecipando così alla loro ulteriore valorizzazione.

Conoscenza diffusa per esercitare meglio
i diritti di cittadinanza attiva

 

Se potessi utilizzare una definizione “importante”, direi che il D.Lgs. n. 33 crea le condizioni per l’esercizio di una cittadinanza attiva. Quello che non deve sfuggirci, infatti, é che l’ambito applicativo di queste disposizioni non riguarda solo la P.A. in quanto tale, ma anche tutto il mondo di chi gestisce servizi pubblici, compresi i soggetti imprenditoriali di diritto privato.

Ma anche il mondo dei servizi pubblici locali e della sanità é pienamente interessato da queste disposizioni, e dunque la gestione dell’acqua, della salute, dell’aria, dei rifiuti e del trasporto pubblico locale sono servizi anch’essi soggetti a obblighi di trasparenza nei confronti del cittadino.

Ne deriva che il perimetro delle conoscenze potenzialmente a disposizione dei cittadini e delle imprese, così come il confine dell’esercizio del controllo e della partecipazione in questi stessi ambiti, si possono estendere di gran lunga. Anzi: se ci pensiamo bene, a questo punto, é l’intero ambito urbano a poter essere indagato e “partecipato”.

Potremmo ad esempio avvalerci di tali diritti – nel caso venissero esercitati dai cittadini in modo organizzato – non solo individualmente, ma anche attraverso corpi intermedi, cambiando così le basi della convivenza e dell’esercizio della partecipazione democratica anche in ambito urbano.

Grazie a queste normative – di fattto – la stessa idea di smart city potrebbe essere rivista e resa maggiormente attuale. Si potrebbe ad esempio passare dall’idea di smartness (basata sull’uso intensivo delle tecnologie digitali) alla rivisitazione del concetto di egovernment (non più ridotto alla diffusione dell’uso di servizi on line).

I principi di partecipazione e inclusione avrebbero basi più solide in quanto fondati su conoscenze reali; lo stesso varrebbe per la tutela dell’ambiente e così via.

Eppure, la partecipazione fondata sulla conoscenza e il civismo consapevole non paiono essere “di moda”, tanto che a volte penso che queste mie riflessioni si riducano a mera utopia. Il digitale sembra essere diventato una ideologia e i social network un’arena dove disputare al di fuori della conoscenza dei fatti (e spesso contro la stessa) in maniera meramente ideologica, così che il mondo della condivisione digitale sembra essere diventato lo scenario privilegiato di una disputa tra “tribù confliggenti”.

In questo contesto è ovvio che le Pubbliche Amministrazioni che non vogliono innovare possono arroccarsi agevolnente sull’esistente e difendere gli “antichi mondi”.  E tuttavia, una volta tanto, il quadro normativo e di principio sono chiari, e quella della trasparenza é una opportunità che non possiamo lasciarci sfuggire.

È di fatto iniziata – e di questo sono convinto – una lunga traversata in “terrae incognite”. L’esito non sarà certo, ma questa é un’altra battaglia che vale la pena di combattere.

Michele Vianello

Smart city