Rivoluzione digitale: ci aiuta a risolvere problemi complessi, ma non le complessità dell’epoca moderna.

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Michele Vianello

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Tutto ciò che attiene all’innovazione digitale è profondamente intriso di complessità.
Le piattaforme digitali, i device digitali, pervadono in modo orizzontale ogni ambito della nostra vita nel suo divenire. Proprio per questo le piattaforme digitali si imbevono delle contraddizioni che tutti noi produciamo nel nostro modo di vivere.
Anzi, le diverse piattaforme diffondono e divulgano le nostre complessità.

Un algoritmo facilita molte nostre attività nei svariati campi della vita, ma un algoritmo non risolve i problemi.
Le diverse forme di intelligenza artificiale possono facilitare e ottimizzare la predittività, ma esse sono alimentate dagli impulsi dei cervelli di milioni di persone. Gli algoritmi sono scritti da esseri umani, secondo indirizzi umani; le diverse risposte sono “commissionate” da altri esseri umani secondo le loro necessità.

Ecco perché le piattaforme e i device digitali ci possono aiutare a risolvere “problemi complessi”, ma non risolvono le diverse complessità dell’epoca moderna. Facciamo alcuni esempi:

1) Le piattaforme digitali maggiormente utilizzate dall’umanità in modo pervasivo (grazie alla diffusione dei cellulari e dei tablet) sono i social network.

Anzi, un’infinita quantità di persone è convinta che il digitale e internet siano i social network, o, ancora meglio, sono convinti che il digitale sia Facebook. Non sto scherzando, purtroppo.
Per molto tempo siamo stati tutti certi  che i social network fossero uno strumento che, in modo incomprimibile, avrebbero aiutato il diffondersi della democrazia nel mondo.

Abbiamo sostenuto che le “primavere arabe” (e movimenti similari in tutto il mondo) avessero trovato in Twitter e in Facebook lo strumento per diffondere il messaggio di libertà e di democrazia.

Questa convinzione aveva un suo fondamento. Ovviamente, come ha poi dimostrato la storia, dopo la caduta dei regimi più o meno totalitari, purtroppo non si è affermata una nuova stagione di democrazia.

Oggi, anzi, le piattaforme di social networking sono spesso lo strumento principale di disinformazione di massa, che consente di minare le fondamenta del processo democratico.

Ancora una volta ciò che fa la differenza è il genere umano. È un essere umano a diffondere le fake news, è un essere umano che è sollecitato nei peggiori istinti alimentando ogni forma di insicurezza. Soprattutto, è un essere umano a concepire l’algoritmo che decide chi è la tua cerchia di “amici”, cosa condividi e con chi.

Sono le modalità espressive del social networking che uccidono il pensiero complesso, l’argomentare, la visione strategica. Il messaggio “di successo”sui social network esalta la risposta immediata, lo slogan. Insomma, distrugge la complessità.

Il mondo moderno ha bisogno di ragionamenti complessi, il messaggio veicolato dai social impedisce il dispiegarsi della cultura.
Non è un caso che le piattaforme di social networking siano lo strumento principale attraverso il quale è messa in discussione l’autorevolezza della scienza e degli scienziati.

Il caso vaccini è la dimostrazione palese di tutto ciò.

2) Le piattaforme digitali, i robot, i diversi device digitali stanno impattando sempre di più sul mondo della produzione.
Ormai da tempo, di parla di industria 4.0, di stampamti 3D, di weareable technologies, di intelligenza artificiale.
Ovviamente queste modalità di produzione e di riorganizzazione della produzione e della distribuzione dei beni (logistica, ma anche punti di vendita)  ha innumerevoli aspetti positivi sotto il versante dell’aumento della produttività per le imprese.

La Pubblica Amministrazione italiana, ad esempio, avrebbe un beneficio infinito dalla diffusione di modelli organizzativi che, basati sull’utilizzo del digitale, consentano maggiore trasparenza per i cittadini e più efficienza nella fruizione dei servizi.
Nessuno tuttavia si nasconde l’impatto importante che le piattaforme digitali hanno sui livelli occupazionali, soprattutto sulle figure professionali facilmente sostituibili da un robot o dall’intelligenza artificiale.

complessitaCiò vale per il lavoro dipendente in tutti i comparti dell’industria e dei servizi, ma anche nel mondo delle libere professioni.
Spesso a questa affermazione i “guru del digitale” rispondono riesumando impropri paragoni con il “luddismo”. Si dimenticano costoro che la diffusione del digitale è avvenuta durante la peggiore crisi economica degli ultimi decenni.

Talché gli incrementi di produttività dovuti alla massiccia introduzione del digitale non si sono tradotti in una distribuzione del reddito e dell’occupazione.

La risposta – anche al luddismo – è il rafforzamento delle politiche di inclusione e di welfare. Il problema vero è che il welfare dell’epoca digitale non è il welfare del mondo operaio del secolo scorso.

Gli strumenti di welfare vanno interamente ripensati in modo radicalmente diverso –una sorta di discontinuità culturale- rispetto al passato. Innanzitutto perché quello “state” che si accompagna a “welfare” è sempre stato inteso come lo stato nazionale, ma ciò non ha senso nell’epoca della globalizzazione.

In secondo luogo nessuno può più chiedere un aumento della pressione fiscale o un indebitamento della Stato (nazionale ma non solo) in un mondo globalizzato. Anche questa è una contraddizione di quest’epoca complessa.

Il digitale genera infiniti benefici alla produzione ma, in assenza di strumenti di tangibile redistribuzione, contribuisce a creare disoccupazione e malessere diffusi…

Venti anni fa, in modo ingenuo, c’era chi teorizzava l’avvento delle nuove classi creative favorite anch’esse dall’avvento del digitale. Oggi, sul piano politico, vincono le forze che sono sostenute dagli esclusi dei benefici del digitale o, peggio, da coloro che sono colpiti dall’avvento del mondo digitale globalizzato.

3) Da tempo sostengo che la vera sfida sia quella tra l’attuale modello proprietario nell’uso dei dati generati dall’uso del digitale e la riappropiazione e la valorizzazione della conoscenza e del valore generati dall’uso del digitale da parte di miliardi di persone.
Sono sempre di più convinto che il limite nella diffusione delle piattaforme e dei device digitali stia nel necessario coinvolgimento delle persone, del genere umano.

Le piattaforme digitali hanno diffuso modelli pervasivi ma “stupidi” (Facebook in primis), o modelli basati sulla possibilità senza limiiti di consumare (Apple, Amazon), o modelli che si sono appropriati, senza darci un ritorno adeguato, dei dati prodotti dalla nostra attività (Google), o modelli produttivi che stanno espellendo quote importanti di forza lavoro.

In ognuno di questi modelli ci sono aspetti positivi per il genere umano ma, la sostanza sta nella capacità di condividere la conoscenza. Più apprendiamo grazie al digitale, più “consumeremo” digitale.

Poiché il successo del digitale si basa sul coinvolgimento delle persone (produttori inconsapevoli di dati), sarà necessario ragionare sui modi affinché consapevolmente anche i cittadini possano fruire tangibilmente della ricchezza e dei vantaggi generati dall’uso delle diverse piattaforme digitali.

Mi viene sempre in mente la celebre scena finale di Blade Runner nella quale un essere “non umano” afferma “Ho visto cose ….”. Non abbiamo riflettuto a sufficienza che quelle cose “che voi umani non potete immaginarvi” sono il frutto di una conoscenza non condivisa. Ciò che non è condiviso nel mondo digitale ha scarso valore. Ecco perché un mondo smart sarà solo quello governato da un modello democratico di condivisione della conoscenza e del sapere.

Il nostro obiettivo non è quindi quello di eliminare la complessità, bensì quella di governarla ricavandone sapere e conoscenza condivisi.

Michele Vianellocomplessita