Molteplicità (parte uno): che sia tanto oppure poco, il MOLTO può essere ABBASTANZA?

Natalia Robusti
Natalia Robusti

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Molteplicità: la complessità in 2D.

Proseguiamo il nostro itinerario nei meme di Lezioni Americane con una domanda. Che sia tanto oppure poco, il MOLTO è abbastanza?
Quello che sembra un gioco di parole non lo è poi tanto. Calvino, nelle sue Lezioni, ci ha del resto abituato a tag che puntano in alto, anzi altissimo, e si fermano appena di diventare assoluti.

Sono parole che, come vere e proprie pietre di paragone, indicano una soglia possibile, ma non la raggiungono e tuttavia vi anelano in una perenne rincorsa. Molteplicità è una di queste.
Evoca l’idea dell’abbondanza, un che di immaginario surplus, ma, subito dopo, dispiega la sua difficoltà intrinseca a essere misurata, comparata, e dunque concepita appieno.

Molteplicità, infatti, non si riferisce tanto a una moltitudine di soggetti od oggetti tutti uguali tra di loro, ma piuttosto a una moltitudine di soggetti/oggetti che, facilmente, possono essere differenti tra di loro, seppure appartenenti a una “casa” semantica comune. Molteplicità di fattori o di punti di vista, di effetti e di cause, di interessi e così via.
Non molto di qualcosa, dunque, ma molto di molte cose: “più d’uno e di vario genere o aspetto”.

Come tutto ciò che esiste di interessante in questo mondo, il termine sembra approdare a un piano di realtà, quello dell’abbondanza, ma ne insegue in segreto un altro, quello della varietà. Nasconde così un nucleo di senso inattingibile, che varia tanto più si estende a causa della vastità che sottintende.
Una sorta di complessità in 2D, appunto, a cui può anche mancare la terza dimensione perché la si può immaginare in assenza di profondità, facendo affidamento al concetto di moltiplicazione.

Approfondiamo le connotazioni del termine.
Quando la si immagina, la parola ammicca a un carattere a prima vista gratificante. Avere molto di qualcosa, infatti, in generale (a meno che non si tratti di soggetti-oggetti con un valore negativo), è meglio rispetto all’averne poco…
Il famoso detto Melius abundare quam deficere la pensa esattamente in questo modo. Eppure non è detto che sia così. Facciamo un esempio banale.

Immaginiamoci il buffet di un Grand Hotel: sterminato, con tanti tavoli, piatti e portate, con molteplici varianti di dolce e salato, e una sezione per i cibi dietetici, uno per quelli vegani e anche una per chi soffre di celiachia. Aggiungiamoci poi la zona per la frutta fresca, essiccata e sciroppata, il pane fresco, quello confezionato o integrale o tostato, le torte di giornata, i cereali e tutte le bevande, oltre ai classici tè, caffè e cappuccino.
Il tutto in una molteplicità tale di possibilità che – all’inizio – inibisce addirittura la scelta di cosa prendere per colazione: mangiare tutto sarebbe impossibile anche per Ciacco!

La cosa più inaspettata, oltre al tempo perso a girare per i tavoli imbanditi? Alla fine, a colazione, chiunque potrà mangiare, di tale moltitudini di piatti, che so… un centesimo? Se il buffet è quello a cui penso io :), la percentuale sarà anche inferiore.

Sarà in ogni modo molto meno quello che chiunque avrà gustato rispetto a quello che potrà rimpiangere di non aver assaggiato. A meno che uno non ci stia  tre o quattro settimane in quel Grand Hotel! Ma, anche in quel caso: e se ogni giorno cambiasse il menù? Il danno sarebbe irreparabile!

Tanto da pensare che – forse – era meglio quel B&B dell’anno prima dove di scelta ce ne era tanta, ma comunque alla portata reale sia del palato che dello stomaco. E dove, all’uscita della colazione, uno si sentiva soddisfatto e appagato senza rimpiangere tanto ben di dio abbandonato a se stesso.

Ed eccolo qui: il prezzo da pagare della molteplicità: il mare magnum della vastità che, anche se fa capolino, sai già fin dall’inizio che non lo potrai mai attraversare del tutto.
E questo potrebbe già spiegare molto dei tempi nostri. Potrebbe raccontare di come – nonostante le tante possibilità che ciascuno di noi incontri tutti i giorni (di comprendere e scoprire, scegliere o rifiutare, sapere o ignorare) – i nostri orizzonti non sembrano ampliarsi in proporzione. Anzi: a ben vedere sembrano invece ripiegarsi su se stessi, chiudersi, retrocedere…

L’eccessiva “ambizione dei propositi”,
ovvero il groviglio

A volte è proprio un ventaglio troppo esteso di possibilità a rimbalzarci indietro,  alla ricerca di una nicchia rassicurante, di una tana, di un luogo conosciuto, limitato, circoscritto e dunque (in teoria) protetto. Una sorta di sindrome del foglio bianco al contrario: la paralisi causata dall’eccedenza piuttosto che dal vuoto.

E subito, nell’attualizzare il meme, ci troviamo sbalzati ai tempi nostri, in un’epoca dove la molteplicità – forma della complessità in potenza – rischia di annichilirsi, diventare istanza di riduzione, chiusura, respingimento. E qui la contemporaneità ci dà una varietà tale di esempi da invadere l’orizzonte.

Calvino – nella sua genialità anche predittiva – affronta di petto la questione e introduce la lezione dedicata alla Molteplicità citando un altro genio della letteratura italiana, il meraviglioso Carlo Emilio Gadda, ingegnere intriso di cultura filosofica, letteraria e scientifica.

Calvino sceglie Gadda perché:

“Vede il mondo come un ‘sistema di sistemi‘, in cui ogni sistema singolo condiziona gli altri e ne è condizionato” e cerca “di rappresentare il mondo come un garbuglio (…) senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento.”

Proposito ambizioso e azzardato, certo, ma, continua Calvino, dando un vero e proprio “compito” alla cultura, non solo letteraria:

“Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo”.

Ed ecco che ci viene lasciato tra le mani un salvacondotto, oltre a una direzione, una sorta di bussola per attraversare la molteplicità: saper tenere tutto insieme attraverso la tessitura della conoscenza, l’incrocio dei codici, la visione plurima, nonostante l’impossibilità certa di operare in una direzione certa, univoca, conclusiva. Ridando potere alla scelta del singolo, al primo passo, e al secondo, al terzo, in una griglia  di percorsi successivi.

Perché, citando il monito di Gadda:

“Le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto a dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa singolare – scrive Carlo Emilio Gadda – ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti”.

Ed  è proprio qui – dove la molteplicità si mostra nella sua natura a tante teste, simile alla temibile Idra – che si rivela lo straordinario potere della scelta, della selezione e dell’indirizzo, capace di decidere il destino di un individuo, di un’organizzazione e infine di una società, con un bivio inequivocabile in cui occorre:

  • non abbandonare in partenza la sfida, lasciandosi andare a regressioni e semplificazioni auto-consolatorie all’apparenza, ma in realtà distruttive;
  • non scegliere il tutto e subito, riempiendosi la pancia sino ad abbuffarsi, e magari fare un’inutile razzia senza nulla lasciare agli altri;
  • godere sì del qui e ora, ma rinunciare al superfluo e procrastinare in un altro momento, in un altro luogo, e con qualcun altro, l’uso e lo sfruttamento della parte residua, così che faccia da carburante per la prosecuzione del viaggio.

Certo, è un modo di vedere – e di agire – complesso. In cui giocoforza bisogna introdurre una terza dimensione, quella del tempo, o della profondità.

Ma è in ciascun singolo bivio, in ciascuna singola decisione, che si determina il primo passo “verso”, e si realizza l’unico modo sufficientemente vasto e vario da attraversare indenni la molteplicità.  Anche utilizzando le sterminate possibilità che le nuove scoperte – e conseguenti tecnologie – ci hanno imbandito dinanzi ai nostri occhi, come vedremo insieme nel prossimo articolo.

Parleremo ancora di molteplicità, ma in forma non più solo astratta, bensì anche concreta: di fonti e argomenti, mete e punti di partenza. Di molteplicità intriganti, ma anche invadenti, di complessità vertiginose, ma anche claustrofobiche, di algoritmi e di immagini parassita, di marketing automatico e pubblicità emotiva, oltre che di torte e pasticcini. 🙂

E vedremo di orientarci in questi labirinti insieme.

Molteplicità