U-Mani Digitali, Naturali & Artificiali. Di Anna Pompilio.

Anna Pompilio
Anna Pompilio

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Quando è stato proposto a noi autori del Blog il tema di quest’anno (U-Manità Digitale), ho cominciato da subito a de-costruire le parole, a smontarle e rimontarle, a partire da quelle due sillabe – MANI – che evocano per me il “fare”, auspicabilmente il “saper fare”, il buono dell’agire, la cura, il fit for purpose…

Le nostre mani sono, da ogni punto di vista, custodi del nostro presente, di noi stessi e, insieme, del futuro che, come si dice, “è nelle nostre mani”…

Mani che digitano

Cominciamo allora dalla fine.

Gli ultimi giorni di agosto, a inizio settembre, ero al mare per una breve vacanza e facevo quello che normalmente si fa in questi casi: bighellonare pigramente in spiaggia, mangiare, dormire, chiacchierare, leggere, rilassarsi… 

Un pomeriggio di metà settimana me ne stavo tranquilla a prendere il sole, beata come una lucertola su un muro, quando la mia attenzione è stata attratta da due ragazze sdraiate sui loro teli, a poca distanza da dove ero io. Entrambe molto giovani, amiche o forse sorelle. Le percepivo appena nel dormiveglia, erano tranquille e silenziose eppure sentivo come un sottile e indecifrabile moto di fastidio.

Poi ho compreso: il mio disagio nasceva dal fatto che, da quando erano arrivate in spiaggia, una delle due non aveva fatto altro che picchiettare freneticamente con una mano sola sulla tastiera del telefono, senza quasi accorgersi del mare, delle onde, dei bambini sulla battigia o delle nuvole all’orizzonte.

E tanto era bastato per farmi congetturare su presunti eccessi nell’utilizzo del digitale, sulla vacuità delle pose da femme fatale nei selfie, sulla vuota gratificazione dei social e via così, con tutto il prevedibile e banale repertorio del pregiudizio.

Più tardi, quando stava per andare via, ho realizzato che la sua mano sinistra era in evidente difficoltà ad eseguire i movimenti così che utilizzava quasi esclusivamente la destra per piegare l’asciugamano, mettere nello zaino le creme, togliere la sabbia dai capelli e mi sono chiesta quanto, in tempi diversi da questi, una mano con funzionalità ridotta o del tutto mancante avrebbe imposto vincoli ancora più stringenti alla libertà di una ragazza giovane e bella. 

E quanto invece il disagio, l’impedimento, il bisogno le abbia dato invece la spinta creativa e spazi più ampi in cui muoversi, ma anche l‘opportunità di cogliere le discrepanze e destreggiarsi con consapevolezza nei mondi digitali, attivando il workflow delle app, dei sistemi multicanale, delle informazioni; seguendo il flusso sempre più veloce della diversità, delle idee, del discernimento, delle possibilità.

Dall’arto artificiale all’arto digitale: extended technology

Il cervello dell’uomo, ci racconta il prof. Paolo Maria Rossini in questo Ted Talk, conserva la sua plasticità con il passare degli anni in funzione della nostra memoria quotidiana, di quello che apprendiamo studiando o facendo esperienze (è come se le nostre strade si allargassero in funzione del traffico giornaliero che insiste su di esse) e l’esperienza “digitale” non può che sommarsi a quella fisica per permetterci, se utilizzata nel modo giusto, di unire i puntini e vedere prima o poi la geometria della forma.

La mia goffa presunzione mi ha impedito, sul momento, non solo di comprendere l’approccio della giovane donna all’inabilità fisica ma anche di vedere come lo smartphone costituisse in realtà una sorta di moderna protesi, non nel senso di un’estensione artificiale dell’arto invalido bensì dell’estensione digitale dell’arto funzionante che sopperiva così (in parte) alle mancanze dell’altro.

Da un lato per gli indubbi vantaggi che il digitale offre (chi dice che non stesse lavorando o studiando?), dall’altra per l‘immissione di quel traffico giornaliero necessario a mantenere quella plasticità mentale che potrebbe permetterle, un giorno non molto lontano, di riappropriarsi della funzionalità della mano sinistra grazie agli impulsi ricevuti dal cervello e decodificati artificialmente.

Esistono già da tempo a livello avanzato di sperimentazione e possono trovare applicazione in vari campi (dall’entertainment alla medicina alla formazione…) tecnologie come la Brain Computer Interface che utilizzano l’attività cerebrale per controllare dispositivi esterni, o congegni come la mano protesica Hannes che sfrutta i segnali elettrici provenienti dalla contrazione del muscolo della parte residua dell’arto per muoverla, semplicemente pensando ai movimenti desiderati (i neuroni infatti si attivano anche in assenza dell’arto).

Il Progetto Neuralink

La possibilità di integrare, estendere o potenziare il corpo con congegni o organi artificiali è stata immaginata prima ancora che dalla scienza, dalla letteratura e dal cinema ed è da sempre perseguita con fervore quasi religioso (nonostante la fatica, i sacrifici, la mancanza di fondi, le professionalità bistrattate, le sperimentazioni fallite) da scienziati e ricercatori, non ultimo dell’eccentrico miliardario Elon Musk che sta da qualche anno rincorrendo un futuro dell’umanità come civiltà connessa all’intelligenza artificiale.

Si tratta del progetto di ricerca Neuralink (per ora allo stadio di sperimentazione animale): un’interfaccia mente-computer delle dimensioni di una moneta da impiantare direttamente nella scatola cranica. L’apparato si connette con un computer o uno smartphone con un sistema wireless ed in grado di aiutare la cura di disturbi neurologici come la perdita dell’udito o di memoria, ma è soprattutto primo il passo verso quella che Musk ha definito la fusione cerebrale uomo-macchina.

Obiettivo dichiarato di breve periodo di Neuralink è di arrivare a innestare il piccolo e potente apparato nel cervello umano in modo automatizzato: in meno di un’ora utilizzando un robot chirurgo.

I nostri organi, perfettamente disegnati per la loro funzione e controllati con esattezza dal cervello, sono il risultato di millenni di evoluzione, eppure l’idea di un uomo bionico, più efficiente, più forte, più veloce, più dotato dei suoi simili, che integra tecnologie di realtà aumentata e virtuale, sensori ad alta precisione, elettrodi collegati a computer (che imparano a decodificare i messaggi che corrono lungo i nervi in uscita per produrre il movimento e mandano l’informazione sensoriale al cervello), connesso alla rete, arricchito da protesi artificiali, ma anche digitali, appartiene a un futuro sempre più prossimo. 

Per concludere: Malattia, Analisi e Cura

Quelli citati in precedenza sono solo alcuni esempi di “ibridazione” umano-tecnologica, ma non sono certo gli unici: wired ha individuato almeno una decina di società e molti grandi investitori impegnati in questo settore, senza contare la ricerca nel campo della neuroscienza militare che parte dalle tecnologie note della Brain Computer Interface per rendere possibile la comunicazione cervello-macchina, grazie alle più recenti innovazioni nei settori dell’ingegneria biomedica, delle neuroscienze, della biologia sintetica e della nanotecnologia.

Noi, che abbiamo forse meno ambizioni di Elon Musk e non siamo super-umani, né extra umani e tanto meno post-umani alla tecnologia chiediamo solo, in fin dei conti, di migliorare noi stessi, la nostra vita e quella di chi convive con noi su questo pianeta, ogni essere vivente, compreso il mondo naturale.

Ma se oggi siamo – come siamo – in una guerra, cosa potremmo opporvi attraverso e grazie all’uso delle nostre mani, adeguatamente “armate”, addestrate e guidate da nuove strategie, invenzioni e, perché no, sogni e visioni

A tal proposito – a proposito di mani, e provette, e dati, e realtà e visioni – ricordiamoci in questi giorni del piccolo, grande miracolo a cui siamo dinanzi: in questi mesi, in prima linea, e con le loro mani (naturali e tecnologiche) scienziati, medici e studiosi di tutto il mondo hanno messo a punto vaccini salvifici in tempi una volta inimmaginabili. 

Tale riduzione di complessità è davvero notevole, internazionale, interdisciplinare e (quasi) planetaria), ed è solo l’inizio.

Alla prossima,

Anna Pompilio


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