Lo sviluppo umano e il cambiamento: dove siamo e dove stiamo andando. Da Bauer ai Big data. Di Anna Pompilio.

Anna Pompilio
Anna Pompilio

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Niente al mondo è così potente quanto
un’idea della quale sia giunto il tempo.

Victor Hugo

Dove siamo e dove stiamo andando…

Qualche tempo fa ho ascoltato Manuel Muniz parlare di geopolitica, di governance regionale e globale, e di indice di sviluppo sociale.

Manuel Muniz, per chi se lo stesse chiedendo, è Preside della Facoltà di Relazioni Internazionali presso la IE (Instituo de Empresa) University e fondatore del centro per la Governance del Cambiamento, un istituto dedicato allo studio delle sfide poste dall’acceleramento dei mutamenti sociali e tecnologici nei settori pubblici e privati. È direttore del Programma sulle relazioni transatlantiche al Weatherhead Center di Harvard, detiene un JD (giurisprudenza) presso l’Università Complutense di Madrid, un Master in Finanza dallo IEB, un Master in Public Administration presso la Kennedy School of Government, e un DPhil (PhD) in Relazioni Internazionali presso l’Università di Oxford , oltre ad aver vinto numerosi premi… Sembrerebbe insomma uno che ne capisce 🙂

Per quanto mi riguarda non mi posso sfortunatamente annoverare tra quelli che leggono 4/5 quotidiani stranieri al giorno e che sanno esattamente la differenza che passa tra Kinnock e Corbyn o tra Gordon Brown e Pisapia, ma su alcuni “tag” si è acceso il famigerato punto interrogativo e prima di correre il rischio di lanciarmi in una qualche serissima discussione social sul programma dei DUP – e trovarmi in una lista compilata da un algoritmo sotto la voce sicumera – mi sono detta che forse vale la pena di approfondire qualcuno di questi tag qui, in questo luogo. Vado con ordine.

Indice di sviluppo umano: cos’è e perché il PIL non basta.

La nozione di indicatore sociale è stata introdotta nel 1966 da Raymond Augustine Bauer, professore ad Harvard e al MIT e sta ad indicare “statistiche, serie statistiche e ogni altra forma utile a valutare dove noi stiamo e dove stiamo andando, relativamente ai nostri valori e ai nostri scopi”. Una decina di anni dopo, nel 1977, Bauer muore poco più che sessantenne, un’età che per gli standard attuali si può considerare “giovane” e mi chiedo come sarebbe andata a finire se fosse vissuto abbastanza da vedere l’avvento dei Big Data.

A partire dunque dagli anni ’60 la letteratura macroeconomica ha concepito una lunga lista di indici e indicatori sociali ed economici, i più rilevanti  dei quali possiamo qui sotto elencare:

Il GROSS NATIONAL HAPPINESS (GNH) ideato dal quarto re del Bhutan, il quale riteneva che lo sviluppo sociale dovesse massimizzare la felicità e non limitarsi ad un maggior consumo e all’accumulazione di ricchezza. Il GNH comprende infatti tre indicatori:

  1. conservazione ambientale,
  2. promozione della cultura tradizionale,
  3. buon governo.

  L’INDEX OF SOCIAL HEALTH (ISH) di Marc Miringoff, professore di politica sociale presso l’Università di Fordham che di indicatori sociali ne racchiude addirittura sedici, rappresentativi dei settori che incidono sul benessere come salute, occupazione, reddito, istruzione e sicurezza.

L’indice recepito come misuratore della qualità della vita dei vari paesi dall’ONU – INDICE DI SVILUPPO UMANO (ISU) o Human Development Index (HDI) – è stato invece elaborato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq e si fonda sulla sintesi di tre fattori:

  1. il PIL pro capite,
  2. l’alfabetizzazione,
  3. la speranza di vita.

anche se non è esente da critiche soprattutto per quanto riguarda la variabile PIL che non permette considerazioni sulle disuguaglianze di reddito o sulla dimensione sociale (istruzione, salute, etc.) e ambientale.

“Già dagli anni Settanta diverse ricerche hanno dimostrato che la crescita del PIL è generata anche da attività che danneggiano gli individui, la società e l’ambiente. Le politiche orientate esclusivamente verso la crescita del PIL potrebbero non essere le migliori per trovare soluzioni politiche e sociali che mirino al benessere e a una crescita sostenibile. I limiti del PIL sono ampiamente riconosciuti ma se benessere, sviluppo e progresso sostenibili sono gli obbiettivi da raggiungere, allora devono essere supportati da un cambiamento degli indicatori utilizzati”

D’Orio, 2013

Ma se già dagli anni settanta diverse ricerche hanno dimostrato che la crescita del PIL è generata anche da attività che danneggiano gli individui, la società e l’ambiente, cosa spinge ancora oggi alcuni governi a portare sconsideratamente avanti politiche che prevedono una crescita non sostenibile?

Mia nonna, che ha quasi novant’anni e considera mettersi lo smalto rosso sulle unghie il massimo dell’emancipazione, liquiderebbe la questione con un categorico “invece di andare avanti andiamo indietro” ma la verità è che per spiegare l’indifferenza colpevole di alcuni ci vorrebbe Thomas Mann più che mia nonna, che pure somiglia un po’ a una nobildonna russa che parla solo francese.

rotta

 

Gestire il cambiamento, da Bauer ai Big Data: Beyond GDP.

Era il 18 marzo 1968 quando Bob Kennedy pronunciò forse il più famoso dei suoi discorsi:

“Il nostro PIL ha superato 800 miliardi di dollari l’anno, ma quel PIL – se giudichiamo gli USA in base ad esso – comprende anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle.

Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Comprende le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori famigliari o l’intelligenza del nostro dibattere.

Il PIL non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.”

Lo sviluppo umano deve rappresentare dunque una nuova accezione dello sviluppo, che serve prima di tutto a ridefinire le priorità di intervento delle politiche economiche e sociali.

Qualche decennio più tardi, nel 2009, una comunicazione della Commissione Europea al Consiglio e al Parlamento Europeo conteneva ancora una volta una riflessione e “l’invito ad elaborare indicatori più completi” – Beyond GDP (Al di là del PIL) “in grado di fornire una base di conoscenze più affidabile per una migliore definizione delle politiche e dei dibattiti pubblici.”

Il lavoro della commissione poneva l’accento su “fattori quali la globalizzazione e i cambiamenti climatici che stanno trasformando sempre più velocemente l’economia, la società e l’ambiente e che rendono necessaria l’elaborazione di politiche capaci di reagire tempestivamente ai nuovi cambiamenti.” Per fare questo, “occorrono informazioni su tutti questi aspetti che siano altrettanto veloci, anche a scapito della loro accuratezza.”

pil

Al di là delle legittime raccomandazioni della Commissione c’è un ulteriore importante elemento da considerare nel quadro delineato poc’anzi: il ruolo della tecnologia che, se da un lato è la chiave di volta del cambiamento in essere (disruptive technologies), dall’altra permette il rilevamento e l’elaborazione di dati, anzi di Big data, che costituiscono in se la risposta al fabbisogno informativo finalizzato a meglio informare i responsabili politici.

Torniamo per un momento alla definizione di Bauer: statistiche, serie statistiche e ogni altra forma utile per capire chi siamo e dove stiamo andando. Beh, siamo andati decisamente oltre le serie statistiche perchè possiamo:

osservare l’ambiente in tempo reale (stazioni di rilevamento, droni, satelliti, immagini postate dagli utenti sui social),

raccogliere ed elaborare dati eterogenei,

monitorare il risultato delle scelte pubbliche,

partecipare alla (ri)definizione di queste ultime.

Ma il viaggio è ancora lungo.

Il Caso Italia.

Nel quadro Europeo, l’Italia è il primo Paese a collegare gli indicatori di benessere equo e sostenibile alla programmazione economica e di bilancio, attribuendogli un ruolo nell’attuazione e nel monitoraggio delle politiche pubbliche.

Nel Documento Programmatico di Bilancio 2017 (DEF) si ribadisce infatti che “la crisi e prima ancora la globalizzazione hanno reso evidenti i limiti di politiche economiche volte esclusivamente alla crescita del PIL. L’aumento delle diseguaglianze negli ultimi decenni in Italia e in gran parte dei Paesi avanzati, la perdurante insufficiente attenzione alla sostenibilità ambientale richiedono un arricchimento del dibattito pubblico e delle strategie di politica economica. In questa prospettiva il Parlamento ha inserito nella riforma della legge di contabilità e finanza pubblica il benessere equo e sostenibile tra gli obiettivi della politica economica del Governo.”

Se tuttavia solo alcuni governi, e solo in tempi recenti, stanno prendendo i primi seri provvedimenti per questioni così importanti nate quasi mezzo secolo fa non c’è da stare allegri, ma voglio augurarmi che la strada ormai sia avviata e che sia finalmente giunto il tempo.

 

approfondimenti

Per saperne di più

report.hdr.undp.org/
www.aapor.org 
www.oasis.lib.harvard.edu 
www.ravellolab.org/
www.europarl.europa.eu/
en.wikipedia.org
ec.europa.eu/