Innova – e sviluppa – la cosa giusta! Partendo dal basso…

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Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Innovazione & Sviluppo: una parola eleva l’altra.

 

Quando si parla di innovazione – con la i più o meno maiuscola – si introduce un termine che sembra dire una cosa e invece ne sottintende un’altra.

Innovare non vuol dire infatti (solo) cambiare ciò che esiste apportandovi qualcosa di nuovo, ma anche (e a volte soprattutto) modificare lo status quo cancellandone intere parti, se non tutte.

La prima deduzione è che non tutti i cambiamenti sono necessariamente migliorativi, come invece la parola innovazione vorrebbe lasciare intendere. Forse è per questo che – a rinforzare il verso positivo che ogni sistema sociale complesso attribuisce al meme, in sé potenzialmente equivocabile – arriva spesso in soccorso un altro termine assai meno ambiguo: Sviluppo economico.

Innovazione e sviluppo economico, spesso a braccetto, intraprendono così un processo che, partendo da un cambiamento anche radicale dello status quo, insegue, nel tempo, un’evoluzione giocoforza positiva, poichè generatrice di ricchezza.

Ma se le cose fossero così semplici, allora – a maggior ragione in un’epoca come l’attuale, in cui la tecnologia vola alla velocità della luce (e forse pure di più) – non si capirebbe come mai ogni tentativo di innovazione incontri spesso così tanti ostacoli.

Quella che in realtà scende in campo a opporsi alle istanze di cambiamento, infatti, è una percezione – singola e collettiva – fondante, forse la più importante a livello sociale: quella relativa alla stabilità.


Lasciar la strada vecchia per la nuova:
PA e digitalizzazione.

 Un proverbio è tanto più forte quanto più estende le sue radici nell’orizzonte dei significati di una società: “Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quel che lascia non sa quel che trova” è senz’altro un proverbio che di chilometri ne ha macinati parecchio.

Questo, a volte, sembra purtroppo essere il leitmotiv della nostra Pubblica Amministrazione. Che, per non rinunciare a nulla, spesso non lascia, ma raddoppia, in un cortocircuito tra documenti e iter burocratici che se la contende tra cartaceo e digitale in una sorta di labirinto che di semplificato non ha nulla o quasi.

Di questo tema parla in maniera esaustiva Massimo Canducci, professore di Innovation Management Università di Torino e responsabile Innovazione di Engineering:

“La trasformazione digitale della PA è un meta-progetto di innovazione che deve concentrarsi sull’identificare, pianificare e governare tutti i sotto-progetti (…) e non, come purtroppo spesso accade, una conversione al digitale di processi antiquati e lontanissimi dalle esigenze della popolazione.”

Per non essere troppo critici, tuttavia, dobbiamo tenere conto che molto, in termini di resistenza al cambiamento, dipende dall’ecosistema in cui l’innovazione tenta di proporsi, e che quelli delle amministrazioni pubbliche sono senz’altro scenari molto complessi, il cui il timore di una destabilizzazione esiste.

L’effetto più o meno dirompente (disruptive, si dice oggi) di ogni innovazione dipende infatti dal contesto in cui agisce il cambiamento, soprattutto in termini di percezione, perché non è affatto detto che a uno status quo granitico corrisponda una situazione di reale stabilità.

La portata di tale punto di vista è sostanziale. Tant’è che mentre i cliché tipologici che dividono a livello planetario gli schieramenti politici in destra e sinistra sembrano destinati a lasciare il tempo che trovano, la coppia in antitesi conservatore-progressista e più che mai attuale e soprattutto trasversale.

Come per tutto ciò che riguarda i sistemi sociali, infatti, la resistenza è d’obbligo, e tuttavia è esattamente in questo incrocio ossimorico tra stabilità e cambiamento che sta il seme fecondo dell’evoluzione, rappresentato da un’idea di possibile miglioramento.

D’altra parte niente è immobile; nemmeno noi, che cambiamo a ogni istante con lo scorrere del tempo, e nemmeno il nostro pianeta e il sistema biologico in cui viviamo.


Per niente immobile: la società che si muove.
Dal basso verso l’alto.

 

Cosa accade quando l’istanza dell’innovazione parte come si dice dal basso, e sono i singoli – intesi come individui, ma anche singole imprese, cooperative sociali o gruppi di lavoro – a portane avanti i valori? Le cose si fanno interessanti. E il fenomeno – seppure a macchia di leopardo – è comunque messo a sistema. Tanto che è stato coniato un nome recente: social innovation, anche se, come illustrato in un articolo di Anna Peron:

“il concetto che esso in sé esprime è piuttosto familiare: rimanda all’insieme delle nuove idee che intendono incontrare i bisogni insoddisfatti della società, modelli elaborati per risolvere le svariate sfide sociali e ambientali esistenti.”

Si tratta in pratica di un modello di innovazione che salta a più pari gli ostacoli di cui abbiamo parlato sin qui perché parte da situazioni di disagio, di non rispondenza.

Situazioni in cui la necessità aguzza l’ingegno – spesso dei singoli – e questo si riverbera in bene comune. E che, più di una volta, si traducono in un secondo tempo in veri e propri modelli di business. Il fenomeno è stato studiato a fondo, ed è stato determinato che le dinamiche principali in ogni innovazione sociale sono tre:

“Innanzitutto si tratta in genere della combinazione ibrida di elementi che già esistono (…) In secondo luogo, l’innovazione è trasversale rispetto ai confini organizzativi e alle pratiche gestionali tradizionali. Infine, appunto come detto in precedenza, essa favorisce la creazione di forti legami relazionali tra coloro che in qualche modo contribuiscono alla diffusione dell’innovazione.”

In un interessante workshop sull’impresa sociale in Italia, ad esempio, si sottolinea come sia stata proprio la tecnologia a rivelarsi strumento sociale capace di generare valore secondo direttive ben precise:

la coproduzione, leva capace dimigliorare il rendimento delle imprese;

l’equilibrio tra “apertura” e “chiusura” e le dimensioni virtuali e reali;

la capacità diintessere partnership e di valorizzare il ruolo degli intermediari;

la sperimentazione di nuovi approcci su piccola scala che poi possono essere scalati su larga scala;

la capacità di realizzare modelli di business ibridi tra profit e no-profit.

La finalità riconosciuta a tali processi innovativi è considerata una sfida per l’Europa, al fine di

“poter acquisire un vantaggio competitivo in innovazione sociale attraverso lo sviluppo di ecosistemi dell’innovazione distribuiti, piuttosto che favorire mercati i cui operatori dominanti stabiliscono i termini di innovazione e i meccanismi di concorrenza”.

… Esiste qualcosa, oggi, di più strategico di questo proposito?


Un passo dopo l’altro: la strada nuova che non lascia indietro.

 

Innovare davvero, dunque, è impresa non da poco. Eppure non solo è possibile, ma appare sempre più indispensabile. Per non restare indietro e non perdere il passo.

Come fare per trasformare i timori (comprensibili) e gli ostracismi (a volte un po’ meno legittimi) che accompagna ogni trasformazione e cambiamento?

Allargare la platea dei protagonisti potrebbe essere una strada, e far conoscere le buone pratiche e le avventure a lieto fine potrebbe essere un bivio della strada principale.

Perché se è vero che a ogni azione corrisponde una reazione, allora è anche vero che ogni istanza di cambiamento attiva delle risposte, non necessariamente uguali e contrarie…

Ma, più di tutto, occorre  fare di se stessi soggetti attivi, portatori non solo di interessi, ma anche di proposte e progetti di cambiamento, senza aver paura di apparire troppo insoddisfatti del proprio status quo, perché, come ricorda Anna Peron:

“(..) l’innovazione sembra essere attivata dalla pressione sociale esercitata dalla presenza di bisogni disattesi la cui soddisfazione permette di migliorare le condizioni di vita delle persone. È dunque proprio l’insoddisfazione a essere un importante driver ma da sola non è sufficiente.”

In fondo – come ci racconta un altro celebre detto popolare, chi si ferma è perduto!

 

Approfondimenti.

Per chi volesse curiosare nel panorama italiano alcuni degli esempi di innovazione sociale, consigliamo la lettura di questo articolo: si va dall’incentivo alla gestione virtuosa del patrimoni demaniali alla riqualificazione dei territori, dal crowdfunding per il sociale al riuso degli abiti e degli accessori prodotti dal mondo della moda sino al microcredito.