I numeri dei social: tra iperconnessione e solitudine.

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Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Dire che il mondo è piccolo è una consuetudine retorica, un’iperbole per sottolineare come gli intrecci relazionali fra le persone siano tante volte più “diretti” di quanto ci si aspetti. Oggi però il mondo sembra davvero molto piccolo: mettersi in contatto quotidiano con persone anche molto lontane è diventato semplice quasi quanto comunicare con il proprio dirimpettaio.

La nostra è infatti una società sempre più connessa grazie ai fili invisibili che Internet e i social media stanno tessendo fittamente tutto intorno a noi. A questo proposito il report di We Are Social fornisce un’interessante panoramica numerica sull’uso dei social network e su tutto ciò che ruota attorno all’universo digital. La ricerca restituisce statistiche e trend di 240 paesi con un focus approfondito su 30 tra le nazioni più influenti a livello economico.

Il primo, prevedibile, dato relativo all’anno scorso è un sostanziale aumento delle persone che accedono ad internet (3,4 miliardi di oggi contro i 3 miliardi del report precedente), con più di 2 miliardi di utenti attivi sui social network.
Lo studio mostra come sono sempre più numerosi gli utenti che navigano tramite dispositivi mobili (+4%), un dato che mette in luce un maggior uso dello smartphone a discapito del computer.
Fra le piattaforme social, Facebook è il canale più utilizzato al mondo con 1,5 miliardi di utenti, al secondo posto troviamo WhatsApp, seguito da QQ (il social network cinese).

Il report ospita anche un focus sull’Italia e anche il bel paese non si discosta dai trend mondiali: si contano oltre 37 milioni di utenti attivi su internet (con un aumento del 6% rispetto al 2015). Sono 28 milioni le persone attive sui social media e più di 24 milioni vi accedono tramite smartphone (mentre l’anno precedente erano 22 milioni).
Per quanto riguarda le piattaforme social, Facebook è lo strumento più utilizzato in Italia (33%), al secondo posto WhatsApp e al terzo Facebook Messanger. Anche il social fotografico per eccellenza, Instagram, ha registrato un sostanziale aumento, passando da una penetrazione del 6% a una del 12%.
I Social, così come internet, stanno acquistando un’importanza sempre maggiore nella vita di ciascuno, dato testimoniato dal 79% degli italiani che ha dichiarato di accedere alle piattaforme ogni giorno. Internet è molto usato anche per gli acquisti: il 48% degli italiani compra prodotti o servizi online e il 56% si informa online sui prodotti prima di procedere con l’acquisto.

Ma cosa c’è dietro ai dati e ai numeri? Quali conseguenze ha sulle nostre vite questa costante immersione nel virtuale? Da un lato infatti, sono certi e innumerevoli gli aspetti positivi di questa rivoluzione. D’altro canto però, come per ogni “mutazione” socio-antropologica, è indubbio che l’uso dei social media possa portare con sé inevitabili effetti collaterali, sin dagli aspetti apparentemente più banali o, se vogliamo, curiosi.
La docente americana Amy Cuddy dell’università di Harvard ad esempio, in un’intervista al New York Times, ha affermato che gli smartphone stanno modificando la nostra postura, facendo addirittura emergere quella che è stata definita “iGobba” (iHunch) dal fisioterapista neozelandese Steve August, dovuta alla posizione innaturale che ogni giorno assumiamo, mentre guardiamo il telefono o il tablet. Questo potrebbe avere ripercussioni anche sul nostro umore, perché la postura è in grado di amplificare uno stato emotivo: stare curvi può farci sentire depressi, impassibili, senza energie.

Anche il sociologo Zygmunt Bauman ha parlato delle possibili ripercussioni negative sulla nostra vita sociale dell’uso così pervasivo dei social media.
In un’intervista al quotidiano El Pais definisce i social network “una trappola”, perché in realtà non sono semplici aggregatori, ma costruzioni effimere che danno agli utenti l’illusione di essere parte di un gruppo: “le comunità non sono un’invenzione, o appartieni loro o ne sei fuori. Ciò che i social network possono creare è solo un surrogato.
La differenza tra una comunità e una rete è che a una comunità si appartiene, mentre una rete appartiene a voi.”
Per Bauman i social network non solo non creano relazioni, ma finiscono per operare un’azione “distruttiva”: “è così facile aggiungere o rimuovere gli amici sui social media che le persone dimenticano le regole del comportamento sociale, necessarie quando si va per strada, al lavoro, o quando ci si trova costretti ad instaurare una relazione empatica con le persone che ci stanno attorno”.
Ciò che ne deriva dunque è l’incapacità di rapportarsi agli altri, facendo scaturire quella che potremmo definire una “solitudine 2.0”: una sempre maggiore connessione digitale e una sempre più carente interazione fisica.

Sherry Turkle, docente di sociologia della scienza al Mit di Boston e definita l’”antropologa del cyber-spazio”, si interroga proprio su questo inaridimento della nostra vita di relazione. Nel libro di recente uscita “La conversazione necessaria” riafferma il valore dei legami vissuti nella realtà, “faccia a faccia”, e non perduti in un altrove digitale che rischia di dissociarci perfino da noi stessi.

Il tema “web e le sue controindicazioni” non interessa solo studiosi e filosofi, ma anche artisti. Citiamo ad esempio il reportage “Lonely Windows” della fotografa francese Julien Mauve: nei suoi scatti emergono la solitudine e il ripiegamento su se stesse delle persone intente nella comunicazione virtuale.

Condivisibili o meno nello specifico, questi punti di vista possono essere l’occasione per riflettere. Perché i social media non siano portatori di una nuova solitudine, occorre farne un uso sapiente e consapevole: sfruttarli per condividere emozioni e saperi, in modo che aggiungano (e non sottraggano) valore alla nostra socialità, quella esercitata “dal vero”.