Recensioni e dintorni: ma è tutto oro il Big Data che luccica?

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Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Le recensioni, si sa, hanno origini “nobili”. Un tempo severamente limitate ai veri – inarrivabili e temibili – esperti del settore, erano in grado con poche parole di stroncare un’opera, un’attività o una carriera sul nascere. Esempi ne erano l’editoria e la ristorazione, ma anche la moda, l’arte o i vini…
In una battaglia a colpi di connotazioni positive, negative o, peggio ancora, neutre, ai poveri “produttori” d’opere, beni o servizi – a volte, o forse spesso dei veri e propri artisti – non restava che attendere con ansia le recensioni, di frequente impietose, dei cosiddetti “maestri” del settore, spesso capricciosi, benché sapienti. Ricordate “Il diavolo veste Prada”?
Tutto ciò ben sapendo che, in caso di una critica o una recensione negativa, nessun oggetto-soggetto di recensione avrebbe avuto alternative se non il chinare il capo in segno di umiltà e reverenza.

Da tempo, tuttavia – per lo meno in ampissime aree di business e informazione – non è più così, anche se tale pratica d’impronta a tratti “feudale” si mantiene ancora viva nei così detti salotti buoni.
Oggi, quasi per una sorta di contrappasso, le regole delle recensioni si sono ribaltate, e il rapporto è uno a uno, addirittura, il che porta con sé un vagone di conseguenze, anch’esse positive o negative.
Ad esempio il fatto che attribuire il giusto valore a un commento o a una critica non è più così tanto semplice. In mancanza della marcatura di autorevolezza, infatti, come capire se una recensione è stata fatta da una persona competente o magari solo indispettita da qualche particolare personalmente sgradito?

A dirimere la questione ci pensano i Big Data, innanzitutto facendone una questione di … numeri, oltre che di stellette.
Come? Lo spiega questo articolo.
Ad esempio: “Grazie allo smartphone e alla connessione mobile, la nostra presenza sui social media è perfettamente parallela alle nostre attività quotidiane. In altre parole, le piattaforme sociali accumulano una notevole quantità di conoscenze degli utenti riguardanti il loro comportamento (…) tanto che (…) ci sono sempre più applicazioni che analizzano tutti questi dati per proporre nuove funzionalità, in particolare nel settore delle attività e recensioni turistiche.”
Eppure, come riportato qui, non è tutto oro – è il caso di dirlo – quello che luccica: “Ma davvero i social media big data sanno essere più esaustivi e obiettivi dell’opinione degli utenti? A un viaggiatore o a un forestiero cosa davvero interessa sapere: qual è il locale più di moda o quello dove si mangia bene, magari piccolo intimo e alla buona?”
Il dubbio è legittimo. Ma lo era anche quello sul parere dei cosiddetti esperti di un tempo, che più di una volta – al pari degli editori – hanno preso sonori abbagli in fatto di capacità di giudizio.

Un settore invece in cui le recensioni sono sicuramente molto utili – lato utente, ma non solo – è quello del turismo. Tant’è che i titolari delle strutture ricettive si danno (giustamente) un gran daffare per ottenerne di buone. Qui un articolo molto esaustivo su come, dove e perché farne e ottenerne, in cui si parla anche di Brand reputation e di recensioni “false”.
Il tema è quindi, come ben si vede – tuttora – aperto. Ai dati futuri, dunque, l’ardua sentenza: recensire sì o recensire no?