Conosci te stesso: i labirinti della mente.

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Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Dopo aver parlato della malattia e della cura del corpo sul piano sostanzialmente fisico, continuiamo il nostro viaggio narrativo intorno alla medicina, in prospettiva storico-culturale, affrontando il tema misterioso e affascinante dei meccanismi della psiche.
Non ne parleremo con pretesa di approfondimento, essendo una materia troppo delicata per il perimetro del nostro blog, ma – senza affrontare gli aspetti più dolorosi (e talvolta tragici) della malattia mentale – ci soffermeremo invece brevemente su come, nel tempo e fino ad oggi, le comunità scientifiche e le società ne hanno affrontato i vari aspetti. E lo faremo alla nostra maniera, attraverso quella forma di condivisione della conoscenza rappresentata, appunto, dalla narrazione.

A tal proposito ci facciamo soccorrere dal motto utilizzato nel titolo. L’antico Nosce te ipsum – del tempio di Apollo a Delfi, che faceva riferimento, secondo gli studiosi, alla finitezza dell’essere umano e ai suoi limiti – potrebbe essere reimpiegato oggi, come esortazione a una maggiore consapevolezza del sé, anche a fronte dell’incertezza esistenziale che indubbiamente caratterizza il nostro tempo. È perfino banale ricordare come ansia e depressione, fobie, attacchi di panico, comportamenti compulsivi, siano una “malattia” del nostro tempo. E che tale loro incremento sia legato anche al venire sempre più meno di quella rete di sostegno – sociale, religiosa o politica, a seconda delle epoche storiche – che abbracciava gli individui in un contesto assai più ampio della loro soggettiva finitezza e li guidava attraverso un sistema di valori, proprio come un faro nella tempesta.

Non è un caso insomma che – con il delinearsi della civiltà contemporanea – si sia determinata anche una crescente sistematizzazione della psicologia come disciplina medico-scientifica, con le varie scuole e le molteplici filosofie della cura. Un bisogno di cura del disagio psicologico non solo sempre più evidente e inerente una parte significativa della popolazione, ma rispetto al quale la società stessa ha maturato una risposta non soltanto clinica, ma rispettosa dell’individuo e dei suoi diritti.

Fra i diversi modi di guardare al problema, tra cui l’organico (il disagio e la malattia come frutto di un problema fisiologico, da curare come tale) e il dinamico (la malattia è frutto invece di forze psichiche contrastanti), citeremo qui quello forse più noto, divenuto per così dire paradigmatico, ovvero la psicoanalisi freudiana con il suo corredo iconografico della terapia: l’analista e il suo famigerato lettino, i sogni da interpretare, il vissuto da dipanare…
Stereotipi che popolano tanti libri e film, fino a divenire parodia e nascondere perfino in taluni altri casi una vena critica per certi compiacimenti e ripiegamenti borghesi sul sé interiore. Pensiamo ad esempio alla sottile ironia di un personaggio come lo Zeno di Svevo, o agli stralunati nevrotici del cinema di Woody Allen.
Insomma, il panorama del mondo della “malattia” connessa alla sfera psicologica meriterebbe definizioni e distinguo, anche sociologici, per tacere di quelli semantici della terminologia da usare, su cui qui non possiamo che sorvolare.

E arriviamo così, per concludere, a un rapido sguardo sull’oggi, con i tanti filoni e scuole di pensiero che si sono sviluppati, dove l’attenzione non è più centrata solo sull’interiorità dell’individuo, ma è di volta in volta rivolto all’indissolubile intreccio di corpo e mente, oppure all’ambiente e al sistema di relazioni in cui si è formato ed è immerso il singolo, al suo comportamento, più che al suo inconscio.
Anche se occorre considerare come in realtà, proprio per la complessità dei fenomeni e delle persone che li vivono, la cura non può che essere differenziata e mista, con il ricorso anche ai farmaci, ad esempio per superare le fasi acute della sofferenza.

Dopo questa lunga divagazione torniamo dunque all’iniziale “conosci te stesso”… ci piace infatti ricordare una specifica pratica di cura, chiamata mindfulness, che viene accostata anche ad antiche pratiche meditative. Pratica che focalizza non più il vissuto e l’inconscio come origine nascosta della sofferenza da riportare alla luce per risolvere le difficoltà esistenziali, ma il qui e ora da affrontare con gli strumenti della consapevolezza e dell’accettazione di sé.

approfondimenti

Per saperne di più

 

it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_psicoterapia
it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_psicologia
www.treccani.it/enciclopedia/ansia-e-depressione_(XXI-Secolo)/

 

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