Il giornalista digitale è (o non è) uno stinco di santo? Intervista a Mariagrazia Villa.

Natalia Robusti
Natalia Robusti

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Iniziamo l’intervista di Natalia Robusti a Mariagrazia Villa, autrice di “Il giornalista digitale è uno stinco di santo. 27 virtù da conoscere per sviluppare un comportamento etico”, con una domanda: l’etica nella comunicazione digitale è scomparsa?

Andando controcorrente, l’autrice dice no. Scopriamo insieme come e perchè, chiacchierando con Mariagrazia su questi temi, più che mai attuali.


Innanzitutto un commmento personale: il titolo del tuo libro è fantastico! Da cosa è nata l’idea di questa pubblicazione?

Dal desiderio di raccontare la mia visione positiva della comunicazione digitale. In un momento storico in cui tutti accusano la rete di essere la mamma di tutti i mali, e di avere dei parti plurigemellari, io sono andata controcorrente: per me il web è una miniera di risorse etiche, se lo sappiamo ascoltare e utilizzare correttamente.

Chi comunica per professione o per diletto, dai giornalisti ai blogger, dai web content editor ai social media manager, ha nella rete una grande opportunità, non solo di crescita personale, ma anche di servizio agli altri.

Il post-web ha ancora in sé la potenzialità democratica e altamente civile degli albori del web: costruire uno spazio comune di relazione tra noi e gli altri, in cui condividere il dono di chi siamo, nella prospettiva di un’intesa e non di una separazione.

A partire dal tuo ruolo (anche) di docente universitaria, hai notato una differenza generazionale sul sentiment che ruota intorno al tema dell’etica?

Da qualche anno, ho il privilegio di insegnare etica della comunicazione nei corsi di laurea triennale e magistrale all’università IUSVE di Venezia e Verona.

Ho, quindi, a che fare con ragazzi che hanno poco più di vent’anni. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i giovani sono sempre più interessati a una prospettiva etica sulla loro vita e su quella che diventerà la loro professione.

Non sempre sono consapevoli  dell’influenza che il loro agire comunicativo può aver in rete e peccano di superficialità, ma in loro la tensione a comunicare bene in senso etico è senz’altro presente.

Non a caso, molti miei studenti sono attivamente coinvolti in progetti di media education all’interno delle scuole secondarie. Trovo che siano più disilluse e ciniche le persone che hanno l’età dei loro genitori, i cinquantenni insomma.

È come se non credessero nella possibilità di sviluppare un comportamento moralmente qualificato in rete e giudicassero l’ambiente digitale come l’anticamera dell’inferno.

Forse, almeno per la mia esperienza, si intravede più attenzione etica nelle persone più grandi, che stanno cercando di darsi da fare perdiventare portatori di luce anche nel web.

Si parla sempre più di disintermediazione. Quale è la tua opinione in proposito, in particolare nel settore del giornalismo?

Il giornalismo digitale ha cambiato profondamente la professione: oggi il giornalista non è più  il “proprietario” della notizia, ma colui che condivide la notizia data dalla rete.

Credo, però, chequesta figura professionale non abbia perso il proprio ruolo di costruttore di senso rispetto alla realtà, perché possiede tutte le competenze per individuare il focus di un evento e raccontarlo ai lettori. La funzione di intermediazione, in realtà, non è scomparsa.

E questo vale anche per i lean journalist, ossia i blogger e tutti coloro che, in rete, svolgono una funzione informativa, senza essere giornalisti.

L’informazione sembra data in modo più agile e meno strutturato, con un piglio così spontaneo da rasentare il naif, ma anche in questo caso chi informa ha una strategia comunicativa e la applica al messaggio che arriva al destinatario della notizia.

Che ruolo riveste oggi il concetto di network, che sembra in qualche modo prendere il posto di quello più classico di redazione?

Il concetto di network è oggi fondamentale, per svolgere il mestiere del comunicatore digitale. La rete, come sottolineo nel mio libro, è l’incarnazione di quella che Karl-Otto Apel ha chiamato “la comunità illimitata della comunicazione”, in cui ogni locutore è sempre interlocutore.

Per comunicare in modo efficiente ed efficace, bisogna assolutamente appoggiarsi alla rete di coloro di cui ci fidiamo; nel caso del giornalista, ai colleghi, alle fonti, ai lettori stessi.

Come nell’allegoria buddhista della rete di Indra, ogni nodo di questa “redazione diffusa” nel tempo e nello spazio, è luminoso perché ha luce in sé, ma anche perché riflette la luce di tutti gli altri nodi.

Il comunicatore ha bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di lui: sul piano della comunicazione, ha una responsabilità che è sempre co-responsabilità.

Quanto incide secondo te l’internazionalizzazione dell’informazione da questo punto di vista?

L’etica della comunicazione nasce, come disciplina, in ambito anglosassone, nella seconda metà del  Novecento. In Italia, è solo da una ventina d’anni che si ragiona su questo tema.

Si può dire, quindi, che la riflessione filosofica avvenuta all’estero su una questione così spinosa e delicata come i comportamenti morali in ambito comunicativo abbia avuto una positiva ricaduta anche da noi.

Speriamo che gli studi e i contributi sul tema proseguano e mettano a punto una visione anche italiana, sia a livello critico che ermeneutico.

Io, per esempio, ho recuperato l’antico concetto di virtù, affermando che la rete ci permette di esprimere determinate virtù etiche nell’agirecomunicativo.

Ho inteso la virtù come un dispositivo di miglioramento continuo della persona, una tecnologia del Sé, avrebbe detto Michel Foucault.

E quale è il ruolo del cosiddetto real time?

Il concetto di real time può rivelarsi una bella fregatura, dal punto di vista etico, perché  nel  dare la notizia il comunicatore vive con l’ossessione di arrivare primo, senza preoccuparsi di arrivare pronto.

È importante, in questo caso, esercitare la virtù della tempestività, ossia la capacità di comunicare al momento opportuno, né troppo presto né troppo tardi, ossia quando è più utile che il messaggio giunga al destinatario.

È chiaro che un messaggio non verificato né supportato da fonti reali non è utile al nostro lettore… Crea solo spazzatura digitale, e direi che la discarica web è giàstracolma.

Torniamo ora al libro… quali puoi indicarci, tra quelle che hai selezionato, come Top virtù?

Ne ho i potizzate 27, e non sapremo mai perché non me ne sono venute in mente 30!

È difficile dire quali siano le top, perché tutte servono. Lo sviluppo della coscienza è come lo sguardo di Dio: c’è già tutto e in contemporanea.

Di sicuro, alcune virtù sono come i primi ominidi ad andatura bipede, ossia primarie nell’evoluzione dell’etica della comunicazione digitale.

Per esempio, l’ascolto di sé e degli altri. Altre appartengono già al genere Homo, come la lealtà nello stipulare un’alleanza e nel non tradirla. Poi, vengono le virtù definibili esemplari sapiens, come la generosità, la creatività o lavisione.

E tra i tag dell’opera di Calvino cui il nostro blog è dedicato, quali sono i più emblematici?

Tra le sei proposte  per il terzo millennio indicate da Calvino nelle sue memorabili Lezioni americane, credo che un giornalista digitale possa diventare uno stinco di santo, se è in grado disviluppare quella dell’esattezza.

È una virtù etica che ho inserito anche nel mio libro. Essere esatti significa andare in una direzione opposta a quella dell’entropia, cioè comunicare con gli altri, mirando alla coerenza, all’armonia, al significato.

L’esattezza costruisce l’uomo, perché lo ritaglia dal caos e gli fornisce i mezzi per conoscere il mondo senza averne paura, diventando un soggetto morale libero di scegliere e di assumersi la responsabilità delle proprie scelte, sia in ambito pubblico che privato.


Ringraziamo Mariagrazia per l’intervista e rimandiamo i nostri lettori alla lettura del suo libro, da non perdere assolutamente!

Natalia Robusti

Mariagrazia VillaMariagrazia Villa, giornalista, copywriter e docente universitaria di etica dei media (IUSVE, Venezia e Verona), ha lavorato per vent’anni, come giornalista culturale, per Gazzetta di Parma e per altre testate locali e nazionali. Come copywriter e foodwriter, ha collaborato per quindici anni con il Gruppo Barilla.

Attualmente insegna Etica e deontologiaEtica e media e New Journalism nei corsi di laurea triennale e magistrale dello IUSVE (Istituto Universitario Salesiano di Venezia) a Venezia e a Verona e conduce laboratori di Food Writing in un master postuniversitario in IUSVE e all’Università degli Studi di Parma, per il corso di laurea in Giornalismo e cultura editoriale.

Da dieci anni si occupa anche di comunicazione sociale: cura l’ufficio stampa e le relazioni con i media per l’Assistenza Pubblica Parma Onlus, per la quale dirige il periodico La Pubblica.


Il giornalista digitale è uno stinco di santo. 27 virtù da conoscere per sviluppare un comportamento etico.
Dario Flaccovio Editore, Palermo

L’etica nella comunicazione digitale è scomparsa? Andando controcorrente, c’è qualcuno che dice no. Che pensa sia proprio la rete a permettere ai giornalisti e, in senso più ampio, ai comunicatori di professione o di diletto, dai blogger ai social media writer, ai web content manager, di esercitare delle virtù morali.

A dire no, è Mariagrazia Villa, l’autrice di Il giornalista digitale è uno stinco di santo. 27 virtù da conoscere per sviluppare un comportamento etico (Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2018, pp. 288, € 28).

È il primo manuale pratico di etica della comunicazione online pubblicato in Italia: divertente e bizzarro, è ricco di simpatici aneddoti, utili suggerimenti e curiosi esercizi di scrittura, per imparare a vedere il web come la nuova miniera della buona comunicazione. L’obiettivo? Raccontare ventisette virtù da fare proprie e da allenare, per acquisire un comportamento moralmente qualificato.

Perché il giornalista digitale è un santo, sì, ma non santo subito. Perciò è chiamato a riflettere sul suo agire comunicativo sul web e a rimboccarsi le maniche della coscienza. In sostanza, deve salvare le farfalle e prendersi cura del pulcino, tralasciando i maiali.

Per saperne di più, non ti resta che andare in una fattoria o leggere questo manuale. La seconda è più pratica. E ti sporchi meno.