L’interoperabilità metasemantica: oltre il significato delle parole. Di Anna Pompilio.

Anna Pompilio
Anna Pompilio

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Il Lonfo*

Change occur within a contest.
Change is the act of transformation in response to a need.


(BABOK®, International Institute of Business Analysis,
Toronto, Ontario, Canada)

Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.

È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.

Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;

e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.

(Fosco Maraini)

L’interoperabilità metasemantica

Cito da Wikipedia:

la metasemantica, nell’accezione proposta dal Maraini, va oltre il significato delle parole e consiste nell’utilizzo di parole prive di significato, ma dal suono familiare alla lingua a cui appartiene il testo stesso e di cui deve seguire le regole sintattiche e grammaticali.

Ho voluto ripartire (con quest’ultimo di quattro post sull’interoperabilità) dalla metasemantica per ribadire innanzitutto che nella comunicazione solo l’Essere Interoperabile può andare al di là del significato delle parole, della lingua, del linguaggio e tale ricchezza di mezzi, pur aggiungendo complessità, porta con se bellezza e creatività.

Il secondo motivo è che, invece, i sistemi per comunicare tra loro necessitano, al contrario, di regole ferree, significati puntuali, standard condivisi (affinché un processo possa essere completamente digitale è necessario che tutte le informazioni siano completamente comprensibili sia alla sorgente sia alla destinazione). Ma queste stesse regole, significati, standard sono dettate da qualcuno che ha capacità di dare un senso al non-sense: il padre dell’interoperabilità semantica (l’uomo) è capace di giocare con le parole, di sfruttare gli interstizi del linguaggio e la sua percezione, di seguire percorsi inconsueti e luminosi.

Il contesto interoperabile

 

Change occur within a contest…

Context may include attitudes, behaviours, beliefs, competitors, culture, demographics, goals, governments, infrastructure, languages, losses, processes, products, projects, sales, seasons, terminology, technology, weather, and any other element meeting the definition. (BABOK®)

Chi fruisce di un servizio digitale vive nel contesto, un progetto vive nel contesto, il team vive nel contesto, i fornitori vivono nel contesto, ogni stakeholder coinvolto in un processo di cambiamento vive nel contesto. Un contesto è fatto di scuole, università, di tessuto produttivo e culturale, un contesto è fatto di diritti, di valori, di sostenibilità… Un contesto è fatto di linguaggio così come di infrastrutture.

Per questo è così complicato cambiare direzione, per questo ci arrabattiamo da anni con un Lonfo che ci sbernecchia.

Anche l’interoperabilità non è fine a se stessa ma, come tutto ciò che è concepito dall’essere umano, vive nella circostanza. Circostanza, o contesto, che dev’essere essa stessa interoperabile. Che senso avrebbe investire per rendere interoperabili i sistemi del catasto finalizzati all’integrazione con i sistemi legacy di facility management di un ente, se non ci fossero più immobili dell’organizzazione destinati per assurdo ad uso ufficio?

Non sarebbe più utile investire in sistemi che permettano che i dati del catasto siano immediatamente fruibili dal dipendente di quello stesso ente, che deve cambiare abitazione-ufficio da una città all’altra spesso e in tempi brevi? Non sarebbe più efficace abilitare quella stessa persona al controllo  a distanza dei luoghi fisici dove arriva o se ne va?

Azione, trasformazione, collaborazione

Change is the act of transformation in response to a need.

L’interoperabilità dei sistemi rientra in quei wicked problems che non possono essere risolti da un’innovazione tecnologica o dall’azione della singola organizzazione ma richiedono il concorso, il coinvolgimento, la relazione di molteplici attori e l’azione coordinata di tutti coloro che operano in un dato ambito, ognuno nel suo ruolo, siano essi azionisti, dipendenti, fornitori, consumatori, industria, politica, società civile: Collaboration is the act of two or more people working together towards a common goal.

Se lavorare insieme al superamento degli ostacoli verso un mondo digitale interoperabile e interconnesso era già un obiettivo importante fino a pochi mesi fa, non limitarsi oggi a sostenere sacche di innovazione costituite da gruppi in competizione tra loro, come le bande di guerrieri del Bronx nei film degli anni ’80, è ancora più rilevante. Il contesto è cambiato drammaticamente e la vera sfida è portare a bordo tutti gli attori coinvolti nel processo.

Più complicato ancora di questi tempi? Può essere, specie se si continua a pensare in termini di collaborazione uguale prossimità quando in realtà bisognerebbe forse studiare un algoritmo di collaborazione uguale affinità.

Ricominciare dunque con metodo, ma facendo ancora un passo avanti, applicando le regole – i framework – che abbiamo finora destinato allo sviluppo delle fantomatiche “macchine” prima di tutto allo studio e all’osservazione dell’essere umano nel nuovo contesto, per comprenderne le pulsioni più intime e le spinte all’azione, cogliendo i segnali di cambiamento perché un’economia della consapevolezza (come ipotizzava già qualche anno fa Niccolò Branca) non può che partire da una chiara visione di se. È vero che siamo tutti nella medesima circostanza, ma non siamo tutti uguali anzi, è precisamente il contrario.

E chi si interroga sui motivi che hanno impedito finora di arrivare a concretizzare il dialogo tra sistemi diversi deve riposizionare sulla matrice qualcosa di più della paura della condivisione (i fantomatici silos) o della perdita dei propri privilegi, aggiungendo inevitabilmente ai parametri paure nuove e potenti: la perdita della stessa vita o del senso di essa. Se superare il problema tecnico è affare complesso ma non certo impossibile, superare il problema umano, qui e ora, continua ad essere un compito arduo proprio perché l’essere umano non è affatto di facile interpretazione, del resto Il Lonfo non vaterca né gluisce e molto raramente barigatta.

Occorre quindi tendere a una tecnologia che supporti e integri le esperienze umane, sociali e collettive, non allo scopo di controllare e monitorare ma di aiutare nella costruzione di un nuovo modello metasemantico, che risponde a precise regole di collaborazione ma il cui significato ha senso sole se riferito all’ambiente in cui lavora, vive, ama, talvolta muore.

Stiamo vivendo il tempo in modo diverso, stiamo diventando più consapevoli del nostro ritmo privato, i rapporti duraturi con famiglia e amici vengono mantenuti in vita a distanza, le parole casa e ufficio assumono significati diversi e c’è chi ipotizza che le città in un futuro prossimo diventeranno solo un agglomerato di edifici temporanei.

I nuovi sistemi dunque dovranno tenere conto di questi e altri scenari possibili e ancora una volta identificare dalle diverse fonti le informazioni pertinenti, raggrupparle in base a parametri specifici per identificare i modelli emergenti, collegare i pattern per definire campioni significativi, combinare le diverse intuizioni per immaginare il futuro. Soprattutto dovranno saper intercettare il Lonfo.

Applichiamo modelli, sempre e comunque (anche qui ne suggerisco uno che permette di cogliere le interrelazioni: il Business Analysis Core Concept Model™ di IIBA) o sviluppiamone di nuovi, perché aiutano, guidano, strutturano, mettono ordine. Ma è solo l’inizio del film, non la fine. Soprattutto impariamo a riconoscere il Gorilla, aspettiamoci di vederlo arrivare e stiamo pronti all’azione.

Altrimenti sarà solo l’ennesimo anno da dimenticare.


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