Integrazione dei dati nei sistemi interconnessi: il caso degli acquisti di gruppo. Di Anna Pompilio

Anna Pompilio
Anna Pompilio

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza?
Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?
(T.S. Eliot, The Rock, 1934)

 

A detta di Google ogni anno vengono prodotte 40 Exabyte di nuove informazioni, enormi quantità e varietà di dati permeano la nostra vita e ci obbligano di fatto a ripensare le cose da fare, non perché siano superate o non si possano più fare ma per rispondere ai cambiamenti prodotti dalla digital transformation. Faremo sempre più le stesse cose ma in modo diverso, in una prospettiva sempre più data-driven, basata cioè sui dati.
Anche in questo Blog, 6Memes, dedicato all’opera Six Memos for the Next Millennium (Le “Lezioni americane”) di Italo Calvino, si cerca di “mettere a nudo le potenzialità dei Dati, traducendoli nei linguaggi dell’Uomo: Cultura, Natura, Economia, Arte e, perché no, Ironia” e non solo in teoria ma anche in pratica attraverso i Virtual Labs.
Scopo dei Labs, repetita iuvant, è quello di “fornire esempi concreti di progetti, esperienze, case study tenendo conto dello scenario sociale, economico, tecnologico e culturale nel quale nascono e si sviluppano, al fine di analizzarne possibili applicazioni e prospettive future per aziende e pubblica amministrazione”.

Integrare i dati è ancora un problema irrisolto


Questo primo laboratorio tocca un argomento, l’integrazione dei dati in sistemi interconnessi (come possono essere ad esempio le aziende che fanno parte di un Gruppo), che continua a mietere vittime tra esperti – di analitycs, di codice sorgente, di database, di interfacce di integrazione, di cloud, di infrastrutture di rete ecc. – e non solo.

Uno dei motivi è quasi banale: vista la varietà, la variabilità e il volume dei dati comunemente oggetto di integrazione, affinché si possano fare tutte le necessarie elaborazioni, oltre che disponibili le informazioni devono essere in grado di riconoscersi, devono cioè “parlare la stessa lingua”. Ma come per l’apprendimento di una lingua anche il colloquio tra sistemi diversi richiede mesi, a volte anni, di studio e lavoro. La velocità e veridicità si ottiene, in tal caso, a condizione di non avere troppa fretta.

Tipicamente poi, nei rapporti tra aziende di un gruppo, l’ambito in cui ci si muove è uno scenario complesso in cui i vari referenti sono chiamati a intervenire per la responsabilità dei dati di propria competenza, in un contesto fatto di ambienti tecnologici eterogenei, di posizioni di forza interne all’organigramma, di differenti partner IT (per i prodotti, per i servizi e le infrastrutture, per la gestione dei sistemi, …).

Uno scenario in cui i giocatori in campo hanno motivazioni intrinseche, necessità, saperi, interessi e obiettivi diversi, spesso in contrapposizione, e in cui le dinamiche in gioco sono molteplici e quasi mai esplicitamente dichiarate. In un simile pot-pourri, anche qualora i vantaggi dell’integrazione siano noti e condivisi, far parlare le informazioni resta ancora il problema minore: superare lo scoglio organizzativo, ripensando magari i processi, è invece il primo passo e forse il più doloroso.

L’esperienza degli acquisiti di Gruppo.


Oltre a muoversi in un quadro di riferimento complesso c’è anche da dire che il processo di acquisizione di nuove tecnologie all’interno di un gruppo non sempre segue un identico andamento: società diverse possono trovarsi, nello stesso momento, in punti differenti della curva.

Carlo Ratti, parlando di Big Data ha detto “I Big Data sono quello che non riuscite a mettere in un foglio Excel” con una illuminante definizione che condivido e ritengo possa essere applicata a qualunque organizzazione si trovi ad affrontare una complessa gestione di dati in cui i due estremi continuano ad essere un foglio Excel e un database. In qualche modo tutto funziona, almeno finché queste due visioni non si fronteggiano.

Quando invece si scontrano è perché la spinta al cambiamento (di norma imposta “dall’alto”) è focalizzata per lo più sugli aspetti tecnologici e sull’adozione di “nuovi strumenti”, nonostante anni di letteratura sulla condivisione, sulla partecipazione o il change management dovrebbero averci insegnato qualcosa in più sulla necessità di mediazione tra manager, programmatori, analisti, data scientist, ecc. per evitare frizioni, opposizione e mancato utilizzo.

Supponiamo ora, per tornare al nostro caso, che all’interno delle aziende del gruppo gli ordini di acquisto dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale, caschetti di plastica gialla e scarponi antinfortunistici, per intenderci) vengano gestiti in due modi: dalla Holding attraverso un sistema basato sulla personalizzazione di un modulo ERP e da un’azienda del gruppo che invece fa uso di un’applicazione web sviluppata ad hoc.

Nel secondo caso oltre all’ordine, l’applicazione web gestisce anche le assegnazioni dei DPI e le disponibilità di magazzino. I due sistemi sono stati adottati in tempi diversi per cui nel momento in cui si decide che tutte le aziende del gruppo debbano utilizzare un unico sistema per la gestione degli ordini (il modulo ERP), si rende di fatto obsoleta una delle funzionalità web, restando invece in essere la parte di assegnazioni e magazzino.

In un’ipotesi del genere, l’integrazione dei dati tra i due sistemi diventa essenziale: l’ordine (il dato) proveniente dall’ERP di casa madre, deve necessariamente parlare con il magazzino dell’azienda del gruppo per evitare la ridondanza (in caso contrario bisognerebbe inserire manualmente il dato due volte in due sistemi diversi) e consentire quantomeno la gestione del pregresso: i dati inseriti in precedenza vanno conservati.

Ma se facciamo ancora un passo avanti e ci adoperiamo affinché il sistema di gruppo riceva a sua volta le informazioni di ritorno dal magazzino, si potrebbero agevolmente fornire al produttore di DPI le tempistiche dei nuovi ordini in sostituzione dei dispositivi in scadenza o obsoleti e quest’ultimo potrebbe di conseguenza pianificare la sua produzione accorciando i tempi di consegna.

Se poi, continuando questo circolo virtuoso, anche la società di smaltimento dei DPI (obsoleti o scaduti) potesse accedere alle stesse informazioni per programmare l’eliminazione o il riuso dei dispositivi e, a sua volta, volesse condividere i dati relativi al tracciamento dello “scarto”, ecco che allora la condivisione e l’integrazione del dato avrebbe un impatto non solo sulle persone, sul lavoro, sulle aziende, ma anche sui temi sociali (ne abbiamo parlato anche qui).

Se si concorda dunque sulla necessità di un colloquio, il problema diventa una questione squisitamente informatica: come far parlare i sistemi, ma se ci si interroga ancora sul perché investire per valorizzare i dati allora forse il buon T.S. Eliot non aveva tutti i torti.

Anna Pompilio

 

approfondimenti

Per saperne di più


https://it.wikipedia.org/wiki/Exabyte

https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Ratti