Abitare la complessità: tra riduzione e semplificazione. Ne parliamo col professor Piero Dominici.

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Natalia Robusti

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Ci siamo lasciati, nella prima parte dell’intervista, parlando di conoscenze, competenze e formazione come dei più potenti (e forse unici) “strumenti” per essere all’altezza, in quanto esseri umani, delle sfide che l’iper-complessità emergente ci pone sempre più.

Entriamo ora nel dettaglio di alcuni altri valori connessi a questi temi per verificare quanto sia indispensabile perseguirli – come ci illustrerà il Professor Dominici in questa intervista a cura di Natalia Robusti – rispetto all’attuale situazione culturale e sociale.

Oggi si parla molto di “gestire”, “governare” e “semplificare” la complessità, anche rispetto alle nuove tecnologie che consentono la gestione e l’utilizzo di una mole inaudita di dati e informazioni, magari in tempo reale, riguardanti anche le relazioni umane, ad esempio attraverso i social. Qual è il suo pensiero in proposito?

Come ho avuto modo di affermare in passato, stiamo provando ad abitare un’era ipertecnologica, sempre più segnata da “spinte” entropiche e caotiche che, al di là delle innegabili accelerazioni e avanzamenti in ogni campo della prassi sociale e umana, avrebbe dovuto definire e determinare condizioni ideali anche in termini di controllo e prevedibilità dei comportamenti, dei processi, dei sistemi. Una fase di mutamento radicale e globale che, come ribadito più volte anche in passato, ci costringe a ripensare categorie, codici, linguaggi, strumenti, identità, soggettività, norme e modelli culturali, comunità (aperte), spazi relazionali e comunicativi, ambienti, ecosistemi.

Mai, come in questo momento, l’innovazione tecnologica, con tutti i rischi/le opportunità che essa comporta, pone gli attori sociali e le organizzazioni di fronte alla possibilità di operare un ulteriore e irreversibile salto di qualità. Questo progressivo impossessarsi delle leve della propria evoluzione mette radicalmente in discussione modelli e categorie tradizionali, obbligandoci a rivedere/riformulare addirittura anche la stessa definizione del concetto di Persona. A ripensare l’umano e la sua interazione, per certi versi, ambigua con la tecnica e il tecnologico: un’interazione da cui non può che scaturire una sintesi complessa di cui non siamo ancora in grado di valutare prospettive, sviluppi e implicazioni.

Siamo dentro la società interconnessa/iperconnessa che, come ho avuto modo di affermare in passato, è una società ipercomplessa, in cui il trattamento e l’elaborazione delle informazioni e della conoscenza sono ormai divenute le risorse principali; una tipo di società in cui alla crescita esponenziale delle opportunità di connessione e di trasmissione delle informazioni, che costituiscono dei fattori fondamentali di sviluppo economico e sociale, non corrisponde ancora un analogo aumento delle opportunità di comunicazione, da noi intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza che implica pariteticità e reciprocità (inclusione). La tecnologia, i social network e, più in generale, la rivoluzione digitale, pur avendo determinato un cambio di paradigma, creando le condizioni strutturali per l’interdipendenza (e l’efficienza) dei sistemi e delle organizzazioni e intensificando i flussi immateriali tra gli attori sociali, non sono tuttora in grado di garantire che le reti di interazione create generino relazioni, fino in fondo, comunicative, basate cioè su rapporti simmetrici e di reale condivisione. In altre parole, la Rete crea un nuovo ecosistema della comunicazione (1996) ma, pur ridefinendo lo spazio del sapere, non può garantire, in sé e per sé, orizzontalità o relazioni più simmetriche. La differenza, ancora una volta, è, e sarà, nelle persone e negli utilizzi che si fanno della tecnologia, al di là dei tanti interessi in gioco.

Per queste stesse ragioni, ho sempre parlato di “tecnologie della connessione” e non di “tecnologie della comunicazione” (Dominici 1996, 2014 e sgg.). Il nuovo ecosistema globale, sempre fondato sul modo di produzione capitalistico, vive e si alimenta, a differenza del passato, di risorse immateriali, e di logiche della condivisione, che hanno fatto progressivamente saltare vecchi assetti e logiche di controllo, tipici della cosiddetta società industriale.

Di fatto questa smaterializzazione, questa virtualizzazione di tutti i processi e delle dinamiche, va a ridefinire confini e culture, linguaggi e pratiche; scardina logiche e pratiche consolidate. Si passa da processi e dinamiche materiali, in qualche modo controllabili e gestibili, a dimensioni immateriali, che, non soltanto per la straordinaria accelerazione introdotta dal digitale (che è cultura/culture!), si rivelano instabili e imprevedibili. A ciò si aggiunga che – come ripeto sempre – la conoscenza è una “risorsa” del tutto particolare: non perde il proprio valore con la sua riproduzione, distribuzione, condivisione. Non possiamo non rilevare, in ogni caso, come la civiltà ipertecnologica e iperconnessa sia caratterizzata anche da paradossi e contraddizioni, oltre alla poca consapevolezza delle implicazioni epistemologiche della cosiddetta rivoluzione digitale.

Campo frattale

Il digitale, d’altra parte, non è uno strumento, non è un insieme/sistema di strumenti, il digitale è cultura, anzi è culture e non soltanto ambienti interconnessi e iperconnessi. E, prima o poi, dovremmo anche provare a superare quella falsa dicotomia tra cultura e tecnologia (1996), non cadendo nell’errore o nella tentazione di pensare che le tecnologie e il digitale, da soli, possano ricreare il legame sociale e riattivare i meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione, laddove questi sono in crisi. Le tecnologie possono rivelarsi estremamente importanti e utili nel tentativo di colmare la nostra incompletezza e le nostre vulnerabilità come esseri umani; ma le condizioni sociali e culturali di condivisione, di accesso, di inclusione e cittadinanza, possono essere garantite solo mettendo seriamente mano all’educazione e alla formazione. Altrimenti, le tecnologie possono diventare fattori di divisione, separazione e asimmetria.

Un’altra questione riguarda l’impatto che queste tecnologie hanno (e avranno) sui nostri valori. Ritengo che, anche a livello di ricerca scientifica, non abbiamo ancora preso consapevolezza, fino in fondo, del cambiamento profondo che il digitale e le nuove tecnologie della connessione determinano, essendo entrate a far parte, appunto, della sintesi di nuovi valori e di nuovi criteri di giudizio (1995). Gli strumenti tecnologici a nostra disposizione, di cui ancora non sappiamo valutare le implicazioni, e le straordinarie scoperte scientifiche, mettono in discussione i codici, i modelli culturali, ma anche le identità e le soggettività, il rapporto dell’individuo con la società, il nostro stesso modo di pensare la vita, la prospettiva della vita umana. L’affidarsi alle tecnologie, a questo livello di analisi, è una via inevitabile – con tutti i rischi di una delega in bianco -, ma fondamentale deve essere pensato e integrato dentro una “nuova cultura della comunicazione” che ponga al centro, concretamente, l’incontro con la persona e l’ascolto dell’Altro.

Sembra un compito non facile, quello di ridurre la complessità a forme e modi che siano abitabili e, in qualche modo, “vivibili”. Dal punto di vista delle competenze necessarie per farlo – anche dal punto di vista professionale – quali sono i suoi consigli, anche nelle sue vesti di formatore in contesti internazionali di eccellenza?

Si tratta di temi e questioni fondamentali che meriterebbero ben altro approfondimento. In estrema sintesi: a mio avviso, abbiamo bisogno di educare e formare figure ibride (non “tuttologi”), assieme a quelli che chiamo (soltanto per esigenze di sintesi e semplificazione, perché la complessità non si può gestire!) Manager della complessità. Concetti importanti, di cui ho fornito in passato le relative definizioni operative. Si tratta, in sintesi, di profili professionali che, con una comune base di conoscenze e competenze metodologiche, logiche ed epistemologiche, siano in grado di fondere e integrare immaginazione e razionalità, creatività e rigore metodologico; che sappiano tenere insieme immaginazione e razionalità, creatività e rigore metodologico, preparati all’imprevedibile e all’emergente, per ricomporre la frattura tra l’Umano e il Tecnologico.

Per realizzare un obiettivo così ambizioso, oltre ad investimenti significativi su educazione, formazione, ricerca, abbiamo un disperato bisogno di riportare la creatività, l’immaginazione, le emozioni dentro i processi educativi e formativi, dentro le istituzioni educative e formative.

È proprio la complessità del mutamento in atto – ambivalente, veloce ed imprevedibile – ad averci mostrato tutta l’inadeguatezza degli attuali processi educativi e formativi, oltre che l’inconsistenza delle spiegazioni riduzionistiche e dei tradizionali modelli interpretativi lineari. Siamo ancora dentro l’illusione di poter gestire la complessità coinvolgendo, peraltro, soltanto quei saperi che sembrano più in grado di fornire certezze.

D’altra parte, abitiamo una civiltà ipertecnologica, basata su sistemi di automazione e simulazione, che marginalizzano l’umano e lo spazio della responsabilità, nell’illusione di poter eliminare l’errore e l’imprevedibilità dai sistemi. Siamo di fronte a un paradigma culturale che vede nell’eliminazione dell’errore e dell’imprevedibilità la nostra possibilità di avvicinarci alle macchine, alla perfezione. Ma sono proprio gli errori e l’imprevedibilità che connotano l’essere umano e la sua libertà, che è in primo luogo la libertà di poter pensare di sbagliare ma anche di sbagliare. Tuttavia, la tecnologia non è in grado di creare relazioni basate su rapporti simmetrici, orizzontali e di reale condivisione. Si manifestano, quindi, nuove forme di diseguaglianza e di esclusione sempre più legate all’accesso, non soltanto fisico, alle informazioni e alle conoscenze, alla capacità o meno di elaborarle e dar loro sistematicità.

La differenza, in ogni caso, la faranno sempre le persone e il modo in cui vengono utilizzate da loro le tecnologie. Nella società ipercomplessa non sono più sufficienti il “sapere” o il “saper fare”: si deve anche “saper comunicare il sapere” e “saper comunicare il saper fare”.

Come ripetuto più volte: “il futuro è nelle mani di chi sarà in grado di ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico, di chi riuscirà a ridefinire e ripensare la relazione complessa tra naturale e artificiale, di chi saprà coniugare conoscenze e competenze, di chi saprà fondere cultura umanistica e cultura scientifica, sia a livello di educazione e formazione, sia a livello di definizione di profili e competenze professionali”.

Quello che occorre fare è agire non soltanto nei processi educativi e di socializzazione, ma soprattutto nella rappresentazione e nella percezione di dinamiche e processi evolutivi sistemici che riguardano da vicino anche la produzione dei saperi, nonché degli “strumenti” di conoscenza scientifica, in grado di contrastare l’imprevedibilità che connota i sistemi organizzativi e sociali” (Dominici, 2003).

Quello che lei propone è di ripensare radicalmente educazione e formazione, nella prospettiva della complessità… Con quali strumenti, modi e tempi occorrerebbe dunque agire?

Su questo tema non ho timore di apparire ripetitivo, perché si tratta della “questione” delle questioni. Anche alla luce delle precedenti considerazioni, infatti, il tema dell’educazione alla complessità non è mai stato così di vitale importanza (Dominici 1996, 2003, 2011 e sgg.).

Oggi, purtroppo, siamo ancora dentro logiche di “breve periodo” – che sono quelle della risposta immediata, del controllo, dell’equilibrio a tutti i costi, dell’emergenza – mentre occorrerebbe ribaltare la questione in un’ottica di medio e lungo periodo, a maggior ragione in un’epoca di rapida obsolescenza delle conoscenze e delle competenze (Dominici, 2003).

In altre parole, il problema è questo: come possiamo ripensare la Scuola e l’Università (sono un unico sistema) ? Come possiamo riprogettare gli attuali percorsi didattico-formativi? Come occorre ridefinire i profili curricolari e professionali in una fase così segnata da traiettorie irregolari e ricche di discontinuità? Inutile nasconderlo: si tratta di un’operazione tutt’altro che semplice, oltre che di “lungo periodo”. La stessa ricerca scientifica si basa, attualmente, su logiche che scoraggiano, ostacolano apertamente il dialogo tra i saperi e l’interdisciplinarità, pre-requisiti essenziali per poter affrontare i dilemmi e le sfide della ipercomplessità.

In questo senso – come ho sostenuto anche in tempi non sospetti – si rivela estremamente rischioso, oltre che fuorviante, pensare di poter definire con pertinenza non solo i percorsi didattico-formativi e curricolari, ma anche gli stessi profili professionali, solo ed esclusivamente sulla base delle cosiddette “esigenze del mercato” e/o delle richieste (sempre più specifiche e specializzate) da parte delle imprese.

Detto in termini più espliciti: ha ancora senso continuare a rincorrere un mercato imprevedibile e in costante evoluzione? Il rischio, estremamente concreto, è quello di continuare a “rincorrere l’innovazione tecnologica e digitale”, subendola, senza neanche sapere se ci sarà il tempo necessario per adattarvisi e provare a gestirla.

In questa prospettiva, al di là dei tanti paradossi del mutamento in atto, il “grande equivoco”, nella/della civiltà ipertecnologica e ipercomplessa, è proprio quello di continuare a pensare l’educazione e i processi educativi (vale anche per la formazione) come “questioni esclusivamente di natura tecnica”, un problema soltanto di “competenze”, legato al “saper fare” (punto e basta).

Sono consapevole come siano in molti (la maggioranza degli addetti ai lavori e dei cosiddetti esperti), a pensarla in maniera diametralmente opposta, ma ritengo questa impostazione estremamente sbagliata, e non soltanto rispetto alla natura ed agli obiettivi che le istituzioni educative e formative dovrebbero avere. Se non si ripensa l’educazione e, ancor di più, il pensiero sull’educazione, modificando in tale direzione le scelte e le strategie riguardanti sia la didattica che la formazione (continua e sistematica, con una parte flessibile e modulare) di tutte le figure coinvolte ai vari livelli anche decisionali, non andremo molto lontano e continueremo a tentare di cavalcare il mutamento, la sua ambiguità e indeterminatezza, ricorrendo alle vecchie logiche di breve periodo e, dunque, navigando a vista.

E – come dico sempre – continueremo a raccontarci che la tecnologia va più veloce della cultura, come se la prima fosse un qualcosa di “esterno” alla seconda. Al contrario (mi ripeto), abbiamo bisogno di educare e formare persone e professionisti capaci di vedere opportunità in quelli che oggi definiamo e riconosciamo come rischi, vulnerabilità, variabili disordinate e pericolose in potenza, capaci di rendere ancor più instabili e insicuri i sistemi e la vita sociale.

Mai come oggi, si avverte l’urgenza di un’educazione (non soltanto digitale) che dev’essere immaginata e ripensata, comunque e sempre, nella direzione della costruzione sociale e culturale della Persona (prima) e del Cittadino (poi).

Per farlo, occorre educare alla complessità, al metodo scientifico e al pensiero critico nutrendo e alimentando un pensiero che non può che essere multidimensionale e multidisciplinare, anziché segmentato e/o specializzato.

Per quello che vale, anche noi di 6MEMES crediamo fortemente in quello che lei argomenta e ipotizza, e confidiamo che, prima o poi, questo approccio emerga anche a livelli direttivi e istituzionali. Ma ora, prima di concludere, un’ultima considerazione. Che ruolo individua lei oggi nell’Arte, se lo individua, rispetto alle attività di condivisione del sapere che occorrerà mettere in campo?

Nel passaggio dalla linearità alla complessità, dall’ordine al caos, dalla misura all’indefinito; percorsi, traiettorie, discontinuità che sottolineano ancor una volta la debolezza, l’incompletezza e l’inadeguatezza dei modelli interpretativi lineari e, più in generale, dei modelli culturali che caratterizzano l’attuale prassi sociale e organizzativa. Un’inadeguatezza che contraddistingue tutte le forme di riduzionismo e determinismo.

Mai come in questa fase storica di mutamento, segnata dalla rapida obsolescenza delle conoscenze e delle competenze, abbiamo un disperato bisogno di educare e formare “teste ben fatte” (Montaigne), caratterizzate da una “curiosità creativa” e da un pensiero che non può che essere sistemico e multidimensionale.

Quella “curiosità creativa” che contraddistingue sia l’arte che la scienza. D’altra parte, l’Arte non soltanto è complessità: è anche il linguaggio, il codice più complesso e articolato in grado di rappresentare le connessioni della complessità, rendendole evidenti, percepibili e tangibili.

L’Arte, con i suoi linguaggi complessi e immediati allo stesso tempo, è in grado di rendere l’invisibile e l’impossibile visibile e possibile. Si tratta dell’unica forma di mediazione simbolica (Cassirer) capace di non ingabbiare la vitalità dello spirito, rafforzando le connessioni tra le partiF e trascendendo – andando “oltre”- i modelli lineari tradizionali, i consueti ragionamenti dialogici e le polarizzazioni dei discorsi e dei tentativi interpretativi. A tal proposito, deve far riflettere molto come la dimensione artistica (quella più creativa) sia stata ridimensionata o persino esclusa dai percorsi didattico-formativi delle nostre scuole e università. Attualmente, anche i tentativi di ri-trovare le intersezioni tra i diversi campi del sapere e della prassi, come per esempio nelle cd. digital humanities, finiscono in ultima analisi per favorire, e alimentare, proprio quella stessa separazione tra tecnologia e cultura, che tentato di contrastare.

Esiste ancora poca consapevolezza di come l’Arte sia capace di gettare lo sguardo sui dettagli e sulla totalità, rappresentando un fondamentale “dispositivo”, anche e soprattutto, per insegnare il pensiero sistemico ed educare alla complessità. In tal senso, il contributo dell’Arte è fondamentale per ripensare i processi educativi e provare a ricomporre la frattura tra forma e contenuto, tra cultura e tecnologia, tra formazione umanistica e formazione scientifica, tra immaginazione e razionalità.

Da tempo, infatti, non sappiamo più guardare/osservare l’insieme, il sistema, l’intero, la globalità, il sistema di relazioni e/o interazioni che li caratterizzano; in altre parole, ne riconosciamo con difficoltà legami, correlazioni, nessi di causalità: proprio perché siamo stati educati e formati (nella migliore delle ipotesi) a descrivere, registrare regolarità, ai “come” e non ai “perché”; siamo stati educati e formati a cercare (?) e ad accontentarci di risposte semplici e/o pre-codificate, in ogni caso, ottenute in poco tempo: eppure, in futuro, per affrontare l’ipercomplessità, dovremo essere in grado di farlo, di invertire queste preoccupanti tendenze, sempre nella piena consapevolezza della rilevanza strategica del processo inarrestabile di specializzazione di saperi e conoscenze. Occorrono – come già detto – scelte strategiche ed una nuova sensibilità etica per le problematiche riguardanti gli attori sociali, il sistema delle relazioni e lo spazio del sapere: rimettere al centro la Persona, le emozioni, la creatività, l’immaginazione, l’immaginario, lo spazio relazionale, i processi educativi.

 

La ringraziamo di cuore, Professore, per il tempo che ci ha dedicato e le sue preziose risposte. È sempre illuminante parlare con lei e leggerla: farlo, apre qualche cono di luce su un orizzonte che oggi, francamente, ha più ombre che luci. 


PROFESSOR DOMINICI PIERO
BREVE PROFILO BIOGRAFICO


Fellow della World Academy of Art & Science, è Scientific Director del Complexity Education Project e Director (Scientific Listening) presso il Global Listening Centre. Insegna Comunicazione pubblica, Attività di Intelligence e Sociologia dei Fenomeni Politici presso l’Università degli Studi di Perugia. Visiting Professor presso l’Universidad Complutense di Madrid, ha partecipato, e tuttora partecipa, a progetti di rilevanza nazionale e internazionale, con funzioni di coordinamento; inoltre, ha tenuto lezioni e conferenze in numerosi atenei nazionali e internazionali.

È Membro dell’Albo dei Revisori MIUR e del WCSA (World Complexity Science Academy), fa parte di Comitati scientifici nazionali e internazionali. Si occupa da oltre vent’anni (didattica, ricerca, formazione) di complessità e di teoria dei sistemi con particolare riferimento alle organizzazioni complesse ed alle tematiche riguardanti l’educazione, la comunicazione, l’innovazione, la cittadinanza, la democrazia, l’etica pubblica. Da molti anni, collabora con riviste scientifiche e di cultura, oltre che con diverse testate. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, tra le quali:

Pubblicazioni scientifiche (una selezione):

Per un’etica dei new-media (1996-98); La comunicazione nella società ipercomplessa. Istanze per l’agire comunicativo (2005); La società dell’irresponsabilità (2010); La comunicazione nella società ipercomplessa. Condividere la conoscenza per governare il mutamento (2011); Dentro la Società interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema della comunicazione (2014); Communication and Social Production of Knowledge. A new contract for the Society of Individuals, in «Comunicazioni Sociali», n°1/2015, Vita & Pensiero, Milano 2015; La filosofia come “dispositivo” di risposta alla società asimmetrica e ipercomplessa in AA.VV., Il diritto alla filosofia. Quale filosofia nel terzo millennio?, Bologna 2016; Post-Humanist Utopia and the Search for a New Humanism in the Hypercomplex Society in «Comunicazioni Sociali», n°3/2016, Vita & Pensiero, Milano 2016; Dominici P., Oltre la libertà …di “essere sudditi”, Casa della Cultura, Milano 2017; Sicurezza è Complessità sociale in AA.VV. (a cura di), Sociologia della sicurezza. Teorie e problemi, Mondadori, Milano 2017; The Hypercomplex Society and the Development of a New Global Public Sphere: Elements for a Critical Analysis, in, RAZÓN Y PALABRA, Vol. 21, No.2_97, Abril-junio 2017; (2017), Of Security and Liberty, of Control and Cooperation. Terrorism and the New Ecosystem communication. Italian Sociological Review, 7 (2); Fake News and Post-Truths? The “real” issue is how democracy is faring lately”, in «Sicurezza e scienze sociali», V, 3/2017, FrancoAngeli, 2018; Objects as systems. The educational and communicative challenges of the hypertechnological civilization, 2018; Oltre la linearità. Esplorare le connessioni…tra ordine e caos, in Programmare il mondo. Sfida e opportunità, OTM, Media Duemila, 2018; For an Inclusive Innovation. Healing the fracture between the human and the technological, in, European Journal of Future Research, Springer, 2017;The hypertechnological civilization and the urgency of a systemic approach to complexity. A New Humanism for the Hypercomplex Society” in, AA.VV., Governing Turbolence, Risk and Opportunities in the Complexity Age, Cambridge 2017; Controversies on hypercomplexity and on education in the hypertechnological era, in, A.Fabris & G.Scarafile, Controversies in the Contemporary World, © John Benjamins Publishing Company, 2019.

Tra le pubblicazioni scientifiche:
For an Inclusive Innovation. Healing the fracture between the human and the technological in EJFR


Prof. Piero Dominici (PhD), Fellow of the World Academy of Art & Science (WAAS), is Director (Scientific Listening) at the Global Listening Center and Scientific Director of the Complexity Education Project; he teaches Public Communication, Sociology and Intelligence Activities at the University of Perugia. As scientific researcher, educator, author and international speaker, his main areas of expertise and interest encompass (hyper)complexity, interdisciplinarity and knowledge sharing in the fields of education, systems theory, technology, innovation, intelligence, security, citizenship and communication. Member of the MIUR Register of Revisers, (Italian Ministry of Higher Education and Research), and of the WCSA (World Complexity Science Academy), he is also standing member of several of the most prestigious national and international scientific committees. Author of numerous essays, scientific articles and books, his published works include (a selection): Per un’etica dei new-media (1996-1998); La comunicazione nella società ipercomplessa. Istanze per l’agire comunicativo (2010); La comunicazione nella società ipercomplessa. Condividere la conoscenza per governare il mutamento (2011); Dentro la Società interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema della comunicazione (2014); Communication and Social Production of Knowledge. A new contract for the Society of Individuals, in «Comunicazioni Sociali», n°1/2015, Vita & Pensiero, Milano 2015; La filosofia come “dispositivo” di risposta alla società asimmetrica e ipercomplessa in AA.VV., Il diritto alla filosofia. Quale filosofia nel terzo millennio?, Diogene Multimedia, Bologna 2016; in «Comunicazioni Sociali», n°3/2016, Vita & Pensiero, Milano 2016; Dominici P., Oltre la libertà …di “essere sudditi”, in F.Varanini (a cura di), Corpi, menti, macchine per pensare, Casa della Cultura, Anno 2, numero 4, Milano 2017; Sicurezza è Complessità sociale in M.C.Federici, A. Romeo (a cura di), Sociologia della sicurezza. Teorie e problemi, Mondadori, Milano 2017, pp.49-65; The Hypercomplex Society and the Development of a New Global Public Sphere: Elements for a Critical Analysis, in, RAZÓN Y PALABRA, Vol. 21, No.2_97, Abril-junio 2017; (2017), Of Security and Liberty, of Control and Cooperation. Terrorism and the New Ecosystem communication. ; “Fake News and Post-Truths? The “real” issue is how democracy is faring lately”, in «Sicurezza e scienze sociali», V, 3/2017, FrancoAngeli, Milano 2018, pp.175-188; “Objects as systems. The educational and communicative challenges of the hypertechnological civilization”, in P.L.Capucci, G.Cipolletta (eds), The New and History. Art*Science, Noema, Ravenna 2018 – pp.121-133; “Oltre la linearità. Esplorare le connessioni…tra ordine e caos”, in Programmare il mondo. Sfida e opportunità, OTM, Media Duemila, n. 1 – anno 2018; “For an Inclusive Innovation. Healing the fracture between the human and the technological”, in, European Journal of Future Research, Springer, 2017; “The hypertechnological civilization and the urgency of a systemic approach to complexity. A New Humanism for the Hypercomplex Society” in, AA.VV., Governing Turbolence, Risk and Opportunities in the Complexity Age, Cambridge Scholars Publishing, Cambridge 2017; Controversies on hypercomplexity and on education in the hypertechnological era, in, A.Fabris & G.Scarafile, Controversies in the Contemporary World, © John Benjamins Publishing Company, 2019.


CONTATTI


SITOGRAFIA DELL’INTERVISTA


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