Siamo ciò che mangiamo: il cibo come medicina.

Natalia Robusti
Natalia Robusti

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Se è vero che siamo ciò che mangiamo, questo non vale solo per i significati simbolici e culturali che sono radicati negli alimenti di cui ci nutriamo. Più pragmaticamente, l’alimentazione influenza la salute del corpo così come della mente. È noto infatti come cibarsi correttamente influisca sulle performance dell’apparato fisiologico: muscoli, nervi, circolazione, funzionamento degli organi, e non da ultimo l’organo “principe”, il cervello.

Tuttavia attraverso le epoche storiche, anche se per ragioni diverse, il rapporto tra alimentazione e salute non è stato sempre – né d’altro canto si può dire lo sia attualmente – equilibrato e armonioso. Da un lato è stato condizionato infatti da esigenze nutrizionali variabili, così come, dall’altro, da specifiche condizioni socio-economiche, a loro volta dipendenti dalle possibilità di sfruttamento del territorio dal punto di vista dell’agricoltura e dell’allevamento.

Situazioni di estrema povertà, così come oggettive difficoltà a produrre gli alimenti necessari, causavano per la maggior parte della popolazione penuria di cibo e scarsa varietà di alimenti a disposizione, con la conseguente diffusione di malattie determinate proprio dalla carenza di principi nutritivi adeguati. Da sempre però in medicina la dieta è un elemento di cura, così come la consapevolezza – tramandata da saperi orali millenari – della salubrità di certi cibi, piante ed erbe, ben prima che l’uomo imparasse a estrarne i principi attivi della moderna farmacologia.

Dal Novecento in poi invece si è avuta un’abbondanza di cibo mai conosciuta prima nella storia dell’umanità, anche se non è mai ozioso ricordare che questo fenomeno riguarda solo una parte della popolazione mondiale, quella – diciamo genericamente – dei paesi sviluppati. Grazie a coltivazioni e allevamenti intensivi e alla produzione industriale di cibo (e ai progressi della medicina così come a numerosi altri fattori di crescita sociale), si è avuto un grande incremento demografico e la sconfitta di tante malattie. Ma ciò ha causato anche l’imporsi di una stile di vita che alla lunga ha portato – al contrario – a disagi e patologie legate a doppio filo con le abitudini alimentari, come è ormai assodato avvenga per alcuni tipi di cancro.

Ora, dopo lo “stordimento” novecentesco si impongono nuove consapevolezze e nuovi comportamenti alimentari. Si rincorrono infatti gli allarmi delle autorità e degli organismi del settore sanitario contro diete povere di frutta e verdura e contro gli eccessi alimentari, sia sul piano calorico che per il consumo di cibi che un tempo erano solo una minima parte della dieta, come le carni. Recente ad esempio l’avvertimento dell’Organizzazione mondiale della Sanità contro il consumo esagerato di carni rosse, soprattutto quelle lavorate, come gli insaccati.

Proprio alcune abitudini alimentari infatti sono fra le raccomandazioni del Codice europeo contro il cancro, insieme ad altre indicazioni inerenti lo stile di vita (come evitare il fumo, attivo e passivo, o fare regolare attività fisica). Fra queste buone abitudini, oltre appunto a quelle riguardanti le carni rosse, vi è il privilegiare la dieta cosiddetta mediterranea, a base di cereali, frutta e verdura, il non eccedere in zuccheri, grassi e alcool.

Ma, oltre alle forme tumorali, sono molte le malattie su cui una buona alimentazione svolge un’azione preventiva e di determinante sostegno alla guarigione o comunque a una corretta gestione. Si pensi ad esempio alle malattie cardiovascolari, a quelle infiammatorie, ad allergie e intolleranze. Una scienza relativamente recente in questo senso è l’immunonutrizione, che studia appunto gli effetti dei cibi sul sistema immunitario, valutandoli sulla base di combinazioni alimentari, modalità di conservazione e consumo.

Nutrigenetica e nutrigenomica invece studiano come “rimediare” al destino scritto nei geni attraverso l’alimentazione giusta. Sono state individuate sette “smartmolecules” che sarebbero in grado di attivare meccanismi rigenerativi e riparatori già presenti nell’organismo, e che si trovano in venti tipi di frutta e verdura, mentre altri ingredienti, contribuendo a innescare processi di sazietà, proteggono dall’aumento ponderale e dalle malattie che ne conseguono. Questa dieta smart – come tutte le diete del resto – naturalmente va considerata a sua volta senza eccessi, nel quadro di un approccio ragionato e frutto di adeguato supporto clinico.
Perché la scelta di un regime alimentare si deve armonizzare, per essere efficace, con uno stile di vita conseguente: non si tratta di ricette prêt-à-porter, capaci di guarire, ma di scelte di lungo periodo e di vasto spettro, destinate a incidere radicalmente non solo sulla vita dei singoli, ma sull’intera organizzazione del sistema sociale.

Del resto, per concludere, movimenti come quello vegetariano e vegano – fuori da ogni considerazione di merito, medica o etica – ma anche fenomeni con effetto opposto come il culto del cibo sano che si trasforma in ossessione e quindi in malattia, sembrano proprio riflettere il bisogno ormai diffuso nella popolazione di un’alimentazione più consapevole e salutare.