Effetto Big Data: cambiamenti climatici e Open Science

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Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Da tempo la Terra attende che i suoi 7 miliardi di figli riprendano con lei il “dialogo” interrotto e ricomincino a prendersene cura, preservandone le risorse, oggetto di uno spreco prolungato e insensato.
Ci fu un tentativo nel 1997, quando i “potenti del mondo” firmarono il protocollo di Kyoto per la lotta contro il cambiamento climatico, con la riduzione dell’emissione di gas responsabili dell’effetto serra, ma fu una promessa disattesa. Come a Copenaghen nel 2009, quando non si raggiunse l’accordo sperato tra le nazioni.

Nel frattempo, il clima della Terra è cambiato. Le concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera hanno raggiunto le 400 parti per milione, con un costante incremento delle temperature medie globali.
Ci si domanda dunque come porre un freno al progressivo cambiamento climatico e allo sfruttamento delle risorse naturali da parte della popolazione mondiale in continuo aumento. E la risposta potrebbe provenire ancora una volta dai Big data.

Cominciando da Pyunicorn, un programma di simulazione sviluppato dall’istituto tedesco per la Ricerca sull’impatto climatico di Potsdam. Si tratta di un software liberamente accessibile in grado di gestire e analizzare la mole di informazioni contenute in varie banche dati per tracciare una storia delle modificazioni del clima attraverso migliaia di anni e delle relative conseguenze sugli abitanti del pianeta.

In Italia, invece, un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Studi sui Sistemi Intelligenti per l’Automazione del CNR sono partiti nel giugno scorso per le Isole Svalbard, in Norvegia, accompagnati da due droni, di cui uno sottomarino e uno aereo. Dotati di attrezzature per scattare foto e girare video oltre che di sensori e campionatori, i droni produrranno immagini, filmati e dati ambientali allo scopo di permettere agli scienziati di studiare i cambiamenti climatici in atto non solo degli ecosistemi polari ma di tutto il pianeta.

Se l’Europa si muove sul terreno arduo di comprendere e prevedere i cambiamenti climatici in modo sempre più accurato, il colosso Google ha messo la tecnologia di cui dispone – come immagini satellitari e Big Data – al servizio di una sinergia con la FAO. L’applicazione Fao Collect Earth infatti è stata creata per monitorare lo stato dell’ambiente e delle sue risorse, quale presupposto di conoscenza evoluta per azioni strategiche di tutela e di preservazione.

Anche l’ESA – Agenzia Spaziale Europea – è impegnata sul fronte dell’Earth Observation che coniuga innovazioni tecnologiche e Open Science, con molti progetti, tra cui il lancio dei satelliti Sentinels, attraverso i quali si potranno raccogliere enormi quantità di dati sulla superficie e l’atmosfera terrestre.
Un nuovo, efficace, modo di affrontare problemi è stato dunque reso fattibile grazie alla possibilità di integrare conoscenze e competenze tramite lo sviluppo di internet e il cloud. In più, il rapido diffondersi di tecnologie come device mobili, Internet e reti di sensori hanno elevato al ruolo di fornitori di informazioni coloro che, all’inizio dell’era digitale, erano solo semplici consumatori: i cittadini. Entrando a far parte di un più ampio sistema di osservazione per la cura del pianeta terra, i cittadini sono chiamati a contribuire dal basso, fungendo da rilevatori della qualità di fattori ambientali come l’aria e il suolo.

Intanto la recente conferenza sul clima svoltasi a Parigi ha messo per iscritto delle “formali” promesse: contenere il rialzo delle temperature di 2 gradi entro la prima parte di questo secolo e ridurre le emissioni inquinanti con una totale conversione alle energie pulite.
A questo proposito si è espresso il climatologo James Hansen – definito ‘il padre del riscaldamento climatico’: “Sono solo parole senza senso. Non c’è alcuna azione. Fino a che i carburanti fossili saranno i più economici, continueranno a essere bruciati”. E la natura brucerà con essi, e noi con lei: difendiamoci finché siamo in tempo.
Per farlo, a breve potremo contribuire con un semplice tocco sullo schermo del nostro smartphone.

 

Per saperne di più

– www.ansa.it

– www.lescienze.it

– www.repubblica.it

– www.rivistageomedia.it

– www.corrierecomunicazioni.it