Storie di innovazioni passate, (NON)sostenibilità e nuove frontiere sociopolitiche: l’autoriflessività a partire dai dati.

Anna Pompilio
Anna Pompilio

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Sono passati pressappoco due anni da quando – nell’introdurre in 6Memes il tema degli indicatori sociali – citai questa frase di Victor Hugo: “Niente al mondo è così potente quanto un’idea della quale sia giunto il tempo”.

Era il 2017 e sembrava che fosse finalmente giunto il tempo e l’Italia volesse addirittura giocare d’anticipo dotandosi non solo di indicatori di benessere Beyond GDP (Al di là del PIL) – come caldeggiato dalla commissione europea già a partire dal 2009 – ma addirittura tenendone conto nel Documento Programmatico di Bilancio dell’anno corrente. Fa un po’ ridere aver formulato il pensiero in questi termini considerato che di coefficienti di sviluppo sociale si parla dagli anni ’60.

Nel quadro Europeo, raccontavo nell’articolo – l’Italia è il primo Paese a collegare gli indicatori di benessere equo e sostenibile alla programmazione economica e di bilancio, attribuendogli un ruolo nell’attuazione e nel monitoraggio delle politiche pubbliche.

Negli ultimi tempi ho ripensato spesso alla frase di Victor Hugo e ai coefficienti di benessere sociale, mentre scorrevano insistentemente nei nostri feed le dispute sulla battaglia della giovanissima studentessa svedese per cercare di arginare la corsa sfrenata di un convoglio su cui l’umanità a un certo punto della sua storia è salita festosa – affascinata dalla promessa di una fermata nel paese dei balocchi – per scoprire troppo tardi di essere lanciata verso il precipizio fatale del disastro ecologico.

La crisi ecologica (e non solo) in cui siamo immersi è una faccenda complessa, parte da molto lontano e i motivi per cui i governi (e la maggior parte delle persone) sembrano non volersene troppo preoccupare non so se dipenda dal fatto che la popolazione del pianeta sia ormai rassegnata all’inevitabile o si sia scoperta dotata di pinne:

Ci sono questi due giovani pesci che nuotano e incontrano un pesce più vecchio che nuota in senso contrario e fa loro un cenno, dicendo: “Salve ragazzi, com’è l’acqua?” e i due giovani pesci continuano a nuotare per un po’ e alla fine uno di loro guarda l’altro e fa: “Che diavolo è l’acqua?”

David Foster Wallace, This is water.


La crisi ecologica, l’antropocene e il cannibalismo

Alcuni studiosi fanno risalire l’attuale crisi ecologica a Cristoforo Colombo come a colui che ha dato origine alla prima globalizzazione. Scrive Charles Mann giornalista e saggista statunitense Nel suo libro 1493. Pomodori, tabacco e batteri. Come Colombo ha creato il mondo in cui viviamo:

Sorprende scoprire che la globalizzazione arricchisce il mondo da quasi cinque secoli. E crea turbamento pensare alla storia, altrettanto lunga, delle convulsioni ecologiche che essa ha provocato, e alle sofferenze e al caos politico che ne sono discesi.

Nondimeno questa visione del nostro passato ha una sua grandezza: ci ricorda che ogni angolo della Terra ha avuto un ruolo nella storia dell’umanità e che tutti, nessuno escluso, siamo inseriti nel progresso, più ampio e incommensurabilmente più complesso, della vita su questo pianeta.”

L’idea che le patate dolci e il mais (l’idea quindi che l’ecologia e l’economia) siano stati fra i protagonisti del collasso dell’ultima dinastia cinese sorprende Mann (e non meno turba chi scrive) perché lo storytelling è sempre lo stesso da secoli: navigatori eroici che salpano verso mari in tempesta per la conquista di rotte ignote, intrepidi esploratori che grandeggiano nelle sconfinate praterie…

All’epoca delle esplorazioni e della scoperta dell’America (1493) si fa ancora tradizionalmente iniziare l’età moderna e l’inizio di un processo di globalizzazione ante litteram – il salto insomma è da Isabella a Greta – ma bisognerà arrivare al 1945 (data-simbolo) per dare origine all’epoca geologica attuale.

Epoca in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all’aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 nell’atmosfera (Treccani, Antropocene).


Il caso Italia: com’è andata a finire?

Senza spingerci tuttavia così indietro, torniamo al Documento Programmatico di Bilancio del 2017 e in particolare a questo passaggio: la crisi e prima ancora la globalizzazione hanno reso evidenti i limiti di politiche economiche volte esclusivamente alla crescita del PIL. L’aumento delle diseguaglianze negli ultimi decenni in Italia e in gran parte dei Paesi avanzati, la perdurante insufficiente attenzione alla sostenibilità ambientale richiedono un arricchimento del dibattito pubblico e delle strategie di politica economica.

In questa prospettiva il Parlamento ha inserito nella riforma della legge di contabilità e finanza pubblica il benessere equo e sostenibile tra gli obiettivi della politica economica del Governo.”

Ma gli obiettivi della politica economica si sa, possono cambiare anche repentinamente così ho fatto un esercizio semplicissimo: ho cercato e scaricato il Documento Programmatico di Bilancio 2019 e all’interno del documento ho fatto una ricerca per parola chiave “sostenibilità”. Il motivo per cui tra i vari domini del Documento Programmatico ho scelto quello ambientale è abbastanza evidente: difficile fare ragionamenti sensati sul benessere sociale se non avremo più un posto dove vivere.

La ricerca per parola chiave sostenibilità nel documento ha dato un risultato pari a zero. Allora ho provato con “sostenibile” e ho ottenuto ben 4 evidenze tutte riferibili al Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima – in definizione – da presentare alla Commissione UE entro il 2019 con particolare attenzione alla Mobilità Elettrica e il rimando a un Disegno di Legge recante introduzione di un regime fiscale agevolato per le aziende che implementano strategie di riduzione dell’inquinamento (c.d. Ires verde).

Tralasciando l’utilizzo ormai abusato di quell’implementano ho cercato “Ambiente” senza ottenere occorrenze, mentre il dominio “Ambientale” indica finalmente una misura ovvero la promozione dell’economia circolare: razionalizzazione e armonizzazione della normativa ambientale in materia di rifiuti

Nel 2017 gli indicatori BES inclusi nella programmazione economica e di bilancio erano 4 e sono attualmente 12. Uno solo di questi riguarda l’ambiente e nella relazione sugli indicatori 2019 presentata del Ministro dell’Economia e Finanza al Parlamento si legge che “In tema di inquinamento, il rinnovo degli incentivi all’efficienza energetica delle abitazioni e il meccanismo ‘bonus-malus’ su auto elettriche e a combustione interna darà un utile contributo al miglioramento della qualità dell’aria.”

Lo studio successivo dei vari documenti completi non ha evidenziato evidenti priorità del tema ecologico, il che ancora una volta turba ma non sorprende. Non sorprende neanche che chi governa ritenga di dover dare enfasi ad altri argomenti slegati l’uno dall’altro e proviamo a spiegarne i motivi nel seguito a partire, ça va sans dire, dai famigerati dati e da come ce li raccontano.

L’esempio precedente dimostra ancora una volta come la tecnologia abiliti chiunque, purché dotato di un dispositivo connesso a Internet, ad effettuare un monitoraggio – seppur semplicistico e parziale come in questo caso – per comprendere la portata e le conseguenze delle scelte pubbliche. E nello stesso modo chiunque, da un qualunque posto nel mondo, purché dotato di un dispositivo connesso a Internet, può partecipare alla ridefinizione di quelle scelte o quantomeno tentare di influenzarne gli aspetti ritenuti importanti o imprescindibili per il proprio benessere.

Ma di questo sono ben consapevoli anche coloro che di scelte pubbliche si occupano. Ed è per questo che sempre più spesso le nuove frontiere della progettualità sociale e politica poggiano su strategie del consenso basate sull’utilizzo spinto dei Big Data (come detto in altre occasioni), su quello che gli americani definiscono Issue ownership – ovvero l’aver lanciato e cavalcato per primi l’onda di un determinato tema – ma anche e soprattutto sull’uso sapiente di un manipolo di piattaforme social a fini propagandistici.

La sicumera di chi governa si può fondare dunque su abilità politico-digitali in un contesto in cui il (mezzo) digitale può facilmente cannibalizzare il contenuto politico: non chiedete alla politica realismo, pragmatismo, serietà, risposte ai problemi, bensì slogan, favole in cui credere, il lieto fine, il vissero per sempre felici e contenti; non chiedete alla politica verità ma il ragionevole dubbio; non siate cittadini ma epigoni, discepoli, followers.

Di solito a questo punto del discorso da un lato si invoca Umberto Eco, gli imbecilli, il monopolio di Google, l’invenzione della macchina del tempo per affondare le caravelle, dall’altra il transumanesimo e la liberazione del genere umano dalle costrizioni imposte dalla corporeità, il potere salvifico della tecnologia e della digitalizzazione.


Ma davvero la contrapposizione è l’unica soluzione?

La cultura dominante della contrapposizione, delle fazioni opposte, delle ragioni dell’io (e dell’io limitrofo) – “perché a me è successo di vedere un topo accanto ai cassonetti e quindi tutti dobbiamo morire, anche mia sorella una volta mentre attraversava la strada ha visto un topo” e così via argomentando – delle barricate tirate su un po’ ovunque ci impediscono di vedere come quelle stesse tecnologie, quelle stesse piattaforme, quegli stessi strumenti e quegli stessi luoghi permettono come mai prima d’ora di migliorare consapevolezza e competenza, di scardinare i nostri pregiudizi, di creare e diffondere cultura dell’innovazione e il rispetto per gli ambienti in cui viviamo, siano essi fisici o no.

Umberto Eco diceva anche: “per me l’uomo colto non è colui che sa quando è nato Napoleone, ma colui che sa dove andare a cercare l’informazione nell’unico momento della sua vita in cui gli serve, in due minuti”. Ed è vero che rispetto a solo pochi decenni fa il sapere è ormai accessibile a chiunque da un dispositivo connesso a internet, ma è pur vero che il sapere è diluito in un mare di dati e occorrono mappe e capacità di accedervi: il nuovo sapere è la capacità di orientarsi nella conoscenza e di relazionarsi con la complessità.

Tornando ai pesci e al discorso per la cerimonia delle lauree al Kenyon college di David Foster Wallace:

Se siete come me quando ero studente, non vi sarà mai piaciuto ascoltare questo genere di cose, e avrete tendenza a sentirvi un po’ insultati dall’affermazione che dobbiate aver bisogno di qualcuno per insegnarvi a pensare, poiché il fatto stesso che siete stati ammessi a frequentare un college così prestigioso vi sembra una dimostrazione del fatto che già sapete pensare.

Ma vorrei convincervi che lo stereotipo dell’educazione umanistica in realtà non è per nulla offensivo, perché la vera educazione a pensare, che si pensa si debba riuscire ad avere in un posto come questo, non riguarda affatto la capacità di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa pensare.

Tirando le fila: per quanto possa sembrare complesso si tratta di avere coscienza di cosa sono “io” (come insieme di dati) per l’altro e di cosa è l’altro (come insieme di dati) per me. Si tratta di scegliere: essere consapevoli o inconsapevoli dell’acqua in cui siamo immersi.


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