U-Mani che guidano il mondo. Di Anna Pompilio

Anna Pompilio

Anna Pompilio

Marketing & innovation leader Prince2 • Professional Scrum Master • ITIL® V3 • MCTS • M_o_R

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Knowledge and control: dalla complessità dei dati all’informazione

U-Mani e Intelligenza Funzionale

Qualche sera fa mi è capitato di vedere in televisione un film spagnolo. Di questi tempi guardare film in televisione è una delle poche cose che si possono fare senza controindicazioni evidenti.

Senza voler spoilerare troppo, il film racconta di un Direttore di banca che entrando in auto una mattina come tante insieme ai due figli, per portarli a scuola e raggiungere il posto di lavoro, riceve una telefonata che lo avvisa che sono stati piazzati ordigni esplosivi sotto i sedili che si attiveranno se tentano di lasciare l’auto.

Il film si intitola Desconocido – Resa dei conti e se lo cercate su Wikipedia le parole che vengono usate per descrivere il Direttore di banca sono queste: Carlos (Luis Tosar) è un ambizioso e stimato dirigente di banca, molto concentrato sulla propria carriera. Il film tratteggia, in effetti, un personaggio freddo, cinico, efficiente, altamente performante e a doverlo descrivere diremmo che Carlos è “una macchina” programmata per ottimizzare il profitto (almeno fino alla sua redenzione).

Il concetto è evidentemente stressato, tuttavia da Charles Foster Kane passando per Gordon Gekko, la narrazione (non solo cinematografica) è sempre più o meno la stessa: fare un sacco di soldi non è così difficile, se uno ci tiene (cit.).

Un altro mantra ripetuto fino alla nausea, una volta usciti dagli anni ’80 e dall’edonismo reaganiano, ha riguardato le risorse scarse e l’inevitabile corollario per cui data la scarsità di risorse è necessario ottimizzare ovvero fare di più con meno.

E in questa affannosa ricerca si è arrivati, qualche decennio dopo, grazie alla disponibilità di grandi volumi di dati e computer sempre più potenti, all’utilizzo di applicazioni basate sull’Intelligenza Artificiale ovvero si è arrivati alla macchina che coadiuva l’essere umano affinché possa essere ogni giorno più performante (la definizione è Paolo Benanti) con l’obiettivo di fare ogni giorno di più con poche cose o a parità di risorse.

Lo scienziato francese Joël de Rosnay definisce l’AI come Intelligenza Ausiliaria.

Nel settore pubblico, ad esempio, la maggior parte delle applicazioni di AI sperimentate (64 progetti, il 31% dei totali secondo Agenda Digitale) supportano le amministrazioni nel miglioramento di attività o politiche già esistenti: i dati raccolti ed elaborati dagli algoritmi di AI aiutano il decisore ad assegnare priorità a specifiche azioni e obiettivi.

Indugiare sui termini umano-digitale, intelligenza artificiale-intelligenza ausiliaria, riconoscere-percepire può sembrare un esercizio di poca concretezza ma riflettiamoci un attimo. L’AI ha avuto un balzo in avanti nel momento in cui è stato possibile addestrare la macchina (grazie soprattutto ai Big Data) dandole in pasto un gran numero di immagini da cui riconoscere un gatto, basandosi su un’intuizione: come apprende un bambino?

Già, ma come apprende veramente un bambino?

Abbiamo buonissime ragioni per ritenere che nello sviluppo organico la percezione operi in maniera fortemente selettiva: non è cioè necessario vedere un milione di triangoli per formarsi il concetto di triangolo, ma il bambino si sarà formato il concetto di triangolo allorché ne avrà afferrato la configurazione essenziale, isolando i tratti caratteristici della sua configurazione di base. La percezione completa diventa dunque inutile.

Lashley ha sostenuto che questo meccanismo vale per tutti gli esseri viventi, dagli insetti ai primati. Si vede bene come siamo di fronte a un vero e proprio ribaltamento della prospettiva empirista: non serve a nulla collazionare le esperienze di un determinato oggetto per formarsene il concetto. La percezione funziona astraendo dalle cose gli elementi invarianti che le costituiscono, con il che si capisce anche perché i bambini molto piccoli, gli animali appositamente addestrati o gli idioti, di cui parla John Locke, riconoscono benissimo alcune configurazioni di base, collegandole a determinate figure.

Non dovrò – allora – aver visto centinaia di cani per poter sapere cos’è un cane ricostruendone lo schema; ma sarò in grado in un primo momento di percepire lo schema “cane” e in seguito, utilizzando questo schema, di dettagliare le differenze tra le diverse razze. L’idea di fondo è che, in qualche modo, la vista – per concentraci sul senso che per eccellenza richiama la nostra percezione del mondo – opererebbe in una direzione intelligente. Resta da vedere in che modo tutto questo può accadere.

La percezione del mondo dell’essere umano opera dunque in una direzione intelligente. La percezione del mondo di una macchina opera in una direzione che si potrebbe definire funzionale. Il che va benissimo dato che la macchina deve supportare in maniera ausiliaria l’intelligenza umana.

Sin qui tutto bene, ma allora dov’è l’inghippo?

I problemi (o le opportunità, dipende dai punti di vista) nascono nel momento in cui la macchina è in grado di non solo di coadiuvare azioni ma di compiere scelte autonome e c’è allora da chiedersi: quale tipo di decisione umana è surrogabile da una macchina? Questo in estrema sintesi il nodo cruciale su cui insiste da qualche anno la discussione filosofica sull’argomento.

La questione come sempre non è tecnica, se c’è una cosa che gli informatici insegnano è che qualunque sia la richiesta o necessità, per soddisfarla un modo si trova, tecnicamente parlando. Altro paio di maniche è valutare l’adeguatezza dei fini e dei rischi connessi all’utilizzo di sistemi di AI in assenza di una riflessione etica: dal pregiudizio non intenzionale, al gender gap, alla discriminazione, alla violazione di principi di determinazione e così via.

Ma non è una faccenda da cui ci si può distanziare lasciando semplicemente la controversia ai filosofi: ci muoviamo tutti in un ambito di competizione planetaria e i cui confini sono dati dall’utilizzo dei dati raccolti – dove la differenza ad esempio tra legislazione europea e resto del mondo è netta – senza contare l’incidenza sugli equilibri all’interno della società civile.

Insomma, quando si parla di Intelligenza Artificiale nessuno si senta escluso dal dibattito.

Il luogo etico della tecnologia: etica by Design

C’è un altro termine che ricorre sul tema, una voce partita in sordina ma che acquisisce ogni giorno più forza quando si parla di Intelligenza Artificiale, ed è etica. La tecnologia dice Luciano Floridi è trasformativa ed è (o dovrebbe essere) un luogo etico.

Lo stesso Benanti ha coniato il termine algor-etica. Ma c’è un motivo davvero semplice per cui è corretto perseguire questa leva: l’etica aumenta il valore del business se by design per cui nello sviluppo di applicazioni basate sull’IA (ma non solo) è necessario riferirsi costantemente a norme etiche (Principio di precauzione, Principio di Uguaglianza, Principio di Autodeterminazione, Principio di regolamentazione, …) che siano adeguatamente garantite da un buon Sistema Paese.

Il Sistema Paese non è (mai) ininfluente: la tecnologia non è mai neutra ma è figlia del contesto culturale che la sviluppa ed ha quella doppia valenza (farmaco o veleno, bene o male) che dipende dall’uso che se ne fa e dalla Governance progettuale di quel Paese, da decisori che non fanno semplicemente domande ma pongono istanze algor-etiche o che si chiedono quali sono i processi che validano soluzioni che tecnicamente sembrano funzionare.

La questione governance non è irrisoria o pour parler: la complessità dell’intera faccenda sta nel fatto che mai come in questo momento la governance è transnazionale, il che implica non solo la necessità di riflettere su un policy-making europeo ma anche su come utilizzare le concrete risorse economiche che quest’ultima metterà a disposizione nei prossimi mesi e anni, nel contesto del Sistema Paese.

Perché qualunque scelta si farà avrà conseguenze dirette e indirette sulla vita di ognuno di noi e di ogni essere umano del pianeta.

 

Il Programma Europa Digitale

A sostegno della trasformazione digitale delle società e delle economie europee il programma “Europa Digitale” ha individuato cinque aree su cui concentrare gli investimenti nei prossimi anni:

  • High performance computing (2,7 mld €) attraverso il coordinamento di infrastrutture di dati, supercomputer exascale accessibili al pubblico, l’integrazione con tecnologie computer quantum e la definizione di un ecosistema ad alta performance che supporti tutte i segmenti delle value chain industriali (hardware, software, applicazioni, servizi…).
  • Intelligenza Artificiale (2,5 mld €) rafforzando ed integrando network esistenti e sviluppando nuovi sistemi di algoritmi e strutture dati accessibili al pubblico.
  • Cybersecurity and Trust (2 mld €) supportando gli Stati Membri nel procurement di sistemi e strumenti di cybersecurity avanzati e infrastrutture di dati, implementando sistemi di cybersecurity nel sistema economico, supportando gli Stati Membri nell’aderire alla recente normativa europea (Directive (EU) 2016/1148) sulla cybersicurezza.
  • Skill Digitali Avanzate (700 mln €), con lo sviluppo di sistemi di formazione on the job per studenti, lavoratori e imprenditori per rafforzare le competenze digitali.
  • Sviluppo e interoperabilità della capacità digitale (1,3 mld €), favorendo la diffusione delle tecnologie digitali in tutta l’economia, pubblica amministrazione e PMI; rafforzando le infrastrutture digitali europee in coerenza con le azioni regionali e nazionali.

Nel quadro del Programma il compito di assicurare la transizione digitale attraverso l’adozione delle tecnologie digitali avanzate (Intelligenza Artificiale, Calcolo ad Alte Prestazioni, Sicurezza Informatica) sarà affidato una rete europea di poli di innovazione digitale (European Digital Innovation Hubs – EDIHs).

Gli EDIHs che sono stati selezionati per l’Italia stipuleranno inoltre un contratto con il Ministero dello Sviluppo Economico relativo alle agevolazioni del cofinanziamento nazionale. Tenuto conto della massima dotazione finanziaria europea stimata per l’Italia per il periodo 2021-2027, il Ministero dello Sviluppo Economico ha corrispondentemente stanziato – con direttiva del Ministro del 13 agosto 2020– 97 milioni di euro. A tale quota, si legge sul sito del MISE, potranno concorrere altri Ministeri, regioni, province autonome ed altre amministrazioni pubbliche.

I fondi pubblici e il loro impiego in settori strategici sono una risorsa indispensabile per la ricerca e l’innovazione, è di questi giorni la notizia dell’acquisto da parte del Politecnico di Milano di un simulatore di guida per attività di ricerca e lo sviluppo di un modello di business sostenibile.

Se qualche anno fa i simulatori erano presenti solo all’interno delle più blasonate scuderie di Formula1, oggi consentono alle aziende automotive, e ai membri della relativa filiera, di sviluppare un veicolo realizzandone un prototipo virtuale che ne replichi comportamento soggettivo ed oggettivo, con conseguente ampio risparmio di tempi e costi di sviluppo e riduzione delle pur sempre fondamentali attività di test su strada.

Si è detto all’inizio di questo post che grazie alle applicazioni di AI sperimentate nella Pubblica Amministrazione, i dati raccolti ed elaborati dagli algoritmi aiutano il decisore ad assegnare priorità a specifiche azioni e obiettivi.

Le azioni che scaturiranno dal Programma Europa Digitale o da iniziative simili potranno essere dunque buone o cattive, incisive o superficiali, inclusive o divisive (per usare un termine in voga), ma ancora una volta nasceranno dalla costante e concreta collaborazione (che ci auguriamo virtuosa e multidisciplinare) degli U-mani Digitali.

Anna Pompilio


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