Surrealismo in salsa Data Driven: quando i conti (da soli) non tornano

Anna Pompilio

Anna Pompilio

Marketing & innovation leader Prince2 • Professional Scrum Master • ITIL® V3 • MCTS • M_o_R

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Knowledge and control: dalla complessità dei dati all’informazione


Perché un surrealista in questo percorso tra i Dati?

Per chi mi leggesse per la prima volta, questo è un doveroso preambolo: la citazione del surrealismo nel titolo si riferisce al primo post  di questa rubrica, e riguarda la scelta di un pittore belga come guida spirituale di questo percorso non lineare tra tecnologia e resto del mondo. I motivi di questa scelta – oltre quelli già addotti in altri scritti di questo Blog – sono fondamentalmente due.

Il primo riguarda la provenienza: se cerchiamo un puntino su una mappa Magritte lo posizioniamo qui, a pochi km da Bruxelles. E a Bruxelles non c’è solo il museo Magritte, con la collezione più importante al mondo per le sue opere, ma poco più in là sulla mappa c’è qualcosa che ci riguarda tutti: il parlamento europeo, e la normativa europea non si può ignorare, neanche in tema di sostenibilità. (Incredibile: c’è perfino chi sostiene che l’Europa siamo noi!).

Il secondo  riguarda un gioco di parole, ma ve ne parlo più avanti, perché prima voglio raccontarvi di un corso Agile (per la certificazione Scrum Master) a cui ho partecipato il mese scorso: tra le tante parole che ho ascoltato durante questo evento formativo ce ne sono state alcune dalla cui fascinazione mi è stato difficile prescindere.

Una di queste, incontrata il primo giorno del corso, è retrospettiva: l’utilizzo di una parola comunemente usata in altri ambiti per un framework di sviluppo software (ma non solo) mi è parsa una buona idea proprio per quella sottesa volontà di meticciato, di ricerca, di conoscenza condivisa per rispondere alla crescente complessità del mondo e non solo dei progetti applicativi.

Tant’è che quando si parla di Agile, delle origini, del manifesto etc. nella mia immaginazione c’è questa grande villa liberty con colonne e veranda del Tennessee (non so perché proprio la patria della musica Country…) in cui un manipolo di nerd si riunisce per guardare al futuro dell’informatica e per prima cosa si mette a retro-spectare fino al Giappone di Taiichi Ōno, così che nei principi fondanti del manifesto ci finiscono parole come persone e relazioni.

Al secondo giorno di corso mi è balzato invece all’attenzione un altro termine, cospirare: con (insieme), spirare (respirare), respirare insieme. Perché al di là del suo significato letterale –  è una parola che accende i miei riflettori mentali su un’altra scena del film di Luigi Magni “Nell’anno del Signore” (in cui Cornacchia cerca Montanari che è ito a cospira’! ) da cui eravamo partiti e che implica qualcosa di più di un’organizzazione logistica basta sulla prossimità, evocando piuttosto uno spazio sociale, un luogo dove convergono i sensi e il significato, si intersecano il livello sensoriale e quello semantico,  la condivisione di una visione comune diventa immanente e prende forma l’idea che il prodotto non sia il fine, ma invece il mezzo per creare valore. (In questa stessa visione ça va sans dire  la forma di comunicazione orale è preferibile a quella scritta).

E dunque anche a voler stare tutti insieme in una villa del Tennessee ad ascoltare i cantastorie (Product Owner)  i confini tra il dentro e il fuori sono sfumati, mediati, allargati, permeabili e sensibili a quella condizione umana che (anche) Magritte dipinge nella sua opera, in cui:

la percezione umana è incerta e sempre in balia degli eventi, a cavallo tra sogno e realtà

poiché l’essere umano vede il mondo attraverso la propria esperienza, ed è grazie ad essa che gli attribuisce un significato, a maggior ragione oggi,  all’interno di un mondo in versione digitale in cui, tra confini sfumati, il senso lo si  trova nel flusso fra realtà e algoritmo, talvolta perfino nel glitch:-).

E così siamo arrivati al secondo motivo per cui (dovendo partire da un qualche punto nell’universo:-) ho scelto di cominciare il mio articolo dai surrealisti. Proprio la semantica della parola glitch – da glitchen, scivolare – termine usato in origine in campo elettrotecnico ad indicare la presenza di un errore imprevedibile, ma che ha poi definito un’intera estetica basata sul difetto digitale, mi ha dato il via.

L’errore che diventa creazione artistica ha (non a caso) ispirato tutti gli artisti per secoli e i surrealisti in modo particolare, anche se più che Magritte (troppo ancorato probabilmente alla precisione scientifica) potremmo forse pensare a Man Ray che di sé usava dire:

Dipingo quello che non può essere fotografato. Fotografo quello che non voglio dipingere.

 


Vedere insieme il mondo

Business people and developers work together daily throughout the project.

Agile Manifesto, Principio n°4

Riprendendo le fila del discorso: un manifesto nato per rispondere alla crescente complessità dei progetti software ci dice innanzitutto di mettere insieme (anche fisicamente) persone. Ma persone come?

Non è del tutto chiaro, se non (forse) facendo un passo in più: parliamo di un approccio metodologico nato per rispondere alla crescente complessità dei progetti che ci dice innanzitutto di mettere in relazione persone consapevoli della realtà (quale realtà?).

Certo la nostra realtà è fatta per lo più di saperi tecnici, ma per vedere il mondo, per renderci conto della sua complessità ed essere consapevoli della nostra condizione abbiamo bisogno di moltissime altre cose, non solo di competenze specialistiche, non solo di regole e principi manifesti.

Abbiamo bisogno di un linguaggio comprensibile, di interpreti e modelli culturali, di rappresentazioni, di mediazione simbolica… “L’unica forma di mediazione simbolica che riesce a rappresentare la realtà è l’arte”, dice il professor Piero Dominici. E l’arte non esiste che nella relazione.

L’arte non esiste che nella relazione, o meglio in quell’arte “laboratorio” in cui persone anche di discipline differenti, insieme, non tanto cercano la soluzione ad un determinato problema, quanto esplorano liberamente tutte le possibili associazioni, angolature, tagli, formulazioni, livelli e meta-livelli che un dato problema può suscitare.

Cesare Pietroiusti, Artista


Cambiare le regole del gioco: da bug a glitch

Nei videogiochi,  un glitch è un comportamento anomalo del software, che permette al giocatore di ottenere dei vantaggi non previsti mentre il “glitching” consiste nella ricerca da parte del videogiocatore di un glitch da sfruttare a proprio vantaggio. (Fonte: Wikipedia).

Anche il glitch come il bug  è dunque un’anomalia del software ma il punto di vista è nettamente differente: nel primo caso (bug) l’anomalia impedisce che quella determinata funzione si esplichi (nel peggiore dei casi blocca completamente l’operatività, immobilizza); nel secondo caso (glitch ) l’errore imprevedibile non toglie ma in qualche modo aggiunge valore per il giocatore.

Posto che entrambi vanno risolti resta la questione che non tutto il risultato (di uno sviluppo) si può prevedere al 100% ma invece di agire per ridurre la percentuale di imprevedibilità, per ridurre la distorsione o per restare sulla retta via, si cambia strada e si arriva comunque ad un traguardo.

Approcciare dunque un punto di vista differente rispetto ai paradigmi in uso nell’organizzazione aziendale è conditio sine qua non per evolvere: se si accetta che il metro, la misura, sia il software funzionante, poi è necessario cambiare le regole interne del lavoro, attivare processi sintetici, spingere verso una maggiore interazione, responsabilità, coinvolgimento.

Il metodo Christov-Bakargiev  (“Con gli artisti non si deve parlare d’arte ma lavorare insieme su cose che interessano e che loro poi traducono in un linguaggio”) applicato al management ;-).

Intendiamoci però su un punto: cambiare le regole non significa niente regole. Ho sentito in più occasioni persone che si definivano “Agile dentro” per il fatto che non facevano il piano in un progetto tradizionale, ma passare da un approccio di gestione progetti (Waterfall) all’altro (Agile) non esula da quel AS IS – TO BE (si parte sempre dai classici;-)) e da tutto quello che c’è da fare pazientemente nel mezzo: tecnica e disciplina non sono opzionali. Tecnica e disciplina tuttavia non sono mai fini, ma mezzi.

E allora bisognerebbe davvero riuscire a non chiudersi ma esplorare ogni giorno le tante possibilità che questa realtà, questo mestiere offre e avere l’ardire di presentarci al mondo con un CV che di ciascuno di noi mostri prima di tutto il percorso che ci ha preparato a stare in questo cosmo, a pensare e partecipare come membro pienamente consapevole e attivo della società, nella pienezza del suo ruolo sociale.


L’approccio data-driven: quando i conti non tornano

E veniamo ai famigerati dati, che poi è l’argomento principale di questa rubrica, ora che abbiamo esplorato ancora volta come il cambiamento nelle organizzazioni sia innanzitutto di matrice culturale anche in un momento storico in cui la società sempre di più si fonda sull’automazione.

I conti non tornano è per Lacan  il reale: noi contiamo perché i conti non tornano, ma senza voler entrare nel merito di un discorso filosofico che esula nettamente dalle mie competenze, la cosa che mi preme qui sottolineare ancora una volta è che se si superano le pressioni dovute all’esigenza del management di “chiudere” entro confini definiti il lavoro da fare, una volta attivati quei meccanismi di resistenza che ci consentono uno spostamento dei livelli metodologici e di significato, una volta che ci siamo arresi di fronte all’evidenza che la realtà in fondo è quella che ci causa distorsione, allora sì, siamo pronti anche per un approccio che parte dai dati e non dai processi (modello data driven) e che ben si sposa con principi e metodologie Agile – iterazioni controllate, validazione dei risultati anche con il coinvolgimento dell’utente di business, correzioni e cambiamenti di rotta in itinere, seguendo i filoni di indagine più promettenti che emergono durante il percorso, pur nell’incertezza di un risultato in tempi definiti come nel classico waterfall, ma nella consapevolezza che un risultato è possibile quasi sempre e potenzialmente può essere anche molto importante. (Ingenium magazine, Come produrre valore con i dati?)

Un modello data-driven non raggiunge mai la sua conclusione proprio perché i dati cambiano nel tempo generando continuamente nuovo potenziale: è un’opera viva, in evoluzione che cambia attraverso lo sguardo, la relazione, il confronto.

E se il contesto culturale ce lo permette non ne saremo spaventati, ma galvanizzati, e saremo pronti a recepire le occasioni moltiplicate dal lavoro comune, dallo scambio di idee, dal sedersi intorno a un tavolo per dare una visuale a qualcosa di aperto, polivalente, con insite opportunità di aggiunte; dall’utilizzo di framework che si basano su principi che ragionano con una diversa idea di temporalità (che è quella del gruppo) e che serve per produrre un valore (che è quello di un risultato funzionante) e per farlo esce dalla gabbia delle regole preordinate e gioca con la narrazione, la motivazione, il cambiamento attivo, gioca con misure  nuove, con l’assenza di muda (sprechi) con margini di libertà, che è anche libertà di poter sbagliare e cambiare direzione, ancora una volta per cercare altrove il senso.

 

Anna Pompilio


Fonti e Approfondimenti


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