Una mobilità alternativa è possibile. Studiare i casi di successo internazionali per l’evoluzione della mobilità in Italia. Di Lilith Dellasanta.

Lilith Dellasanta

Lilith Dellasanta

Project Manager e Web Analyst ● Educatrice in formazione

Premessa generale

Nel post precedente abbiamo parlato di transizione energetica e della necessità di una diversificazione delle fonti che tenga conto di un ampio panorama: l’equivalenza elettrico=sostenibile è facile da capire e emotivamente confortante, eppure, come abbiamo visto, il contesto dei fattori ambientali, economici e sociali è più complesso di uno slogan; uno sviluppo coerente ai fini della sopravvivenza del genere umano, che abbia anche caratteristiche di qualità, coinvolge attori che si muovono a velocità diverse per sviluppo tecnologico, capacità di decisione e modifica dei comportamenti quotidiani.

Questo post riprende la narrazione proprio a partire dai veicoli elettrici, spostando il focus dalle modalità di gestione di produzione e smaltimento agli effetti in termini di mobilità, in particolare quella cittadina. 

 

Un’automobile è un’automobile.

Partiamo da una immagine provocatoria, che mette a confronto lo spazio occupato da 72 persone che si muovono a piedi, in bicicletta, con l’autobus e in auto (considerando 1,2 persone per vettura). Il senso è quello di suggerire come spostamenti in bicicletta o con il mezzo pubblico portino a un minore traffico, quindi generino più velocità, meno incidenti, meno inquinamento. Provocatoria, perché si tratta non di una statistica, con dati accurati che prendano in considerazione tragitti, scopi, flussi, e spazi reali di manovra, come ci fa notare questo articolo che ce la mostra come esempio di cattiva comunicazione, ma di una immagine promozionale di un comune tedesco di medie dimensioni, Münster, tra i più sicuri e puliti della Germania, comune che ha la mobilità ciclistica come fiore all’occhiello, come immediatamente visibile dal sito istituzionale.

Essere in grado di muoversi in modo meno impattante è necessario per non sprecare le risorse di tempi e spazi urbani, e questa immagine, anche se non è spunto di “facili” soluzioni, ci fa porre nuove domande: passare alle automobili elettriche è equivalente a passare a una mobilità sostenibile? 

Essere in grado di muoversi in modo meno impattante è necessario per non sprecare le risorse di tempi e spazi urbani ma passare alle automobili elettriche è equivalente a passare a una mobilità sostenibile? Condividi il Tweet

Come sempre, dipende dal punto di vista: se stiamo confrontando auto tradizionali ed elettriche tra loro, la risposta è sì, anche se con le dovute precisazioni riguardo il life cycle assessment, cioè l’intero ciclo di vita. Leggiamo questo risultato sul confronto tra auto elettriche e auto tradizionali nello studio pubblicato nel 2018 dalla rivista L’Energia Elettrica (ma analoghi risultati più recenti si leggono in un analogo report di Volkswagen): anche se, indipendentemente dalla taglia, i veicoli elettrici non sono al momento in grado di essere vincenti per gli aspetti legati alla produzione e dismissione della batteria, il loro impatto ambientale è complessivamente inferiore rispetto a quelle a combustione interna, soprattutto per quanto riguarda l’effetto serra e le emissioni inquinanti che concorrono a categorie d’impatto come la formazione di particolato, l’acidificazione atmosferica o la formazione di smog fotochimico. 

Più recente è il report pubblicato ad aprile 2022 dalla Fondazione Caracciolo (Centro Studi ACI) e dal Centro di ricerca CARe dell’Università degli Studi Guglielmo Marconi, che confronta varie tipologie di auto elettrica e conclude che ampie differenze nell’intero ciclo di vita dipendono dalla tipologia di mezzo, dal Paese di fabbricazione, dalla modalità di ricarica e di produzione energetica, dalle percorrenze e in generale alle modalità di utilizzo dell’auto.

Ma, se il punto di vista è quello di un cambio di paradigma nella mobilità cittadina, che permetta una migliore qualità dell’aria, del traffico, e di vivibilità degli spazi, allora un’auto è un’auto, e cambiarne la tipologia non risolve il problema.

 

Cambiare paradigma.

Parlare di mobilità sostenibile, quindi, significa essere disposti anche fare spazio a nuovi mezzi, in cui a biciclette tradizionali ed elettriche si affiancano “nuovi” mezzi come monopattini, monowheel e segway (la cosiddetta micromobilità, cioè la mobilità relativa a percorsi e distanze brevi principalmente in città, caratterizzata dall’impiego di mezzi di trasporto meno pesanti e ingombranti e potenzialmente meno inquinanti di quelli tradizionali), e mezzi in condivisione, con il car sharing e il car pooling (qui un approfondito rapporto realizzato dall’Osservatorio nazionale sulla sharing mobility).

L’interesse da parte delle persone è testimoniato dai risultati su Google: prendiamo come esempio “monopattino”, usandolo come chiave di ricerca. Vediamo i risultati indicizzati siano passati dai circa 33.000 del 2018 ai 50.000 del 2019, con un raddoppio a quasi 100.000 nel 2020 e l’ulteriore raddoppio a 200.000 nel solo primo semestre 2022.

 

 

Le ricerche degli utenti confermano questo andamento: il grafico ottenuto su Google Trends mostra come le ricerche, dopo un picco corrispondente al diffondersi in Italia della pandemia da Covid-19, siano in costante aumento, diffuso su tutte le regioni, e abbinate alle ricerche su incentivi e bonus mobilità.

 

 

La presenza di incentivi e bonus testimonia come la necessità di promuovere la mobilità sostenibile sia stata colta a livello politico, insieme alla parallela esigenza di regolamentarla, come avvenuto con le modifiche al codice della strada, entrate in vigore a novembre 2021, e alle sperimentazioni della circolazione da attivare a livello locale.

Inoltre il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili ha individuato a maggio 2022 gli obiettivi strategici da conseguire entro il 2030:

 

 

I punti critici, secondo il rapporto del Mims, sono ancora la scarsa cultura e domanda di mobilità sostenibile in molte grandi città (tra cui Roma, Palermo e Torino), che hanno un livello di motorizzazione ancora molto alto, al contrario di altre metropoli europee in cui il ricorso all’auto privata è progressivamente diminuito, e la scarsa qualità del trasporto pubblico, soprattutto in alcune regioni del Sud e del Centro Italia.

 

Acquisire competenza.

Quali sono le condizioni affinché questo cambio di paradigma si realizzi? L’espressione “fare spazio”, usata sopra, è da intendersi in senso letterale, e fare spazio a qualcosa implica inevitabilmente toglierlo ad altro. Riusciranno i politici e gli amministratori italiani a trovare coerenza nella visione, e a destreggiarsi tra le istanze dei portatori di interesse? 

In questo contesto, la coerenza richiesta da uno sviluppo sostenibile può declinarsi in competenza, competenza su esperienze (coraggiose, a volte inizialmente impopolari) che all’estero hanno portato alla concretizzazione di risultati positivi.

La coerenza richiesta da uno sviluppo sostenibile può declinarsi in competenza, competenza su esperienze che all’estero hanno portato alla concretizzazione di risultati positivi. Condividi il Tweet

A Parigi, per esempio, le proteste iniziali contro i cambiamenti introdotti dalla sindaca Anne Hidalgo sono state smentite dalla riconferma della carica alle elezioni del 2021. L’obiettivo “Parigi città ciclabile” è stato uno dei capisaldi della propria campagna elettorale e dei successivi impegni. Il bilancio del “Plan Vélo” 2015-2020 riporta:

  • 70 milioni per la realizzazione di piste ciclabili,
  • 40 milioni per l’integrazione della bicicletta nella ristrutturazione di piazze e di progetti urbani,
  • 30 milioni per finanziare il programma estensione delle zone con velocità limitata 30 km/h e realizzazione in tali zone di percorsi ciclabili a doppio senso,
  • 6 milioni per il parcheggio delle biciclette,
  • 10 milioni per l’aiuto all’acquisto di biciclette.

Si nota immediatamente che i finanziamenti per l’acquisto di biciclette sono una piccola parte del bilancio complessivo, che integra interventi sulle strutture (piste ciclabili, ristrutturazione urbana e parcheggi), con forti limitazioni alla velocità in aree urbane.

Tra i risultati, vediamo come la bicicletta sia utilizzata come complemento del trasporto pubblico, con 930.000 spostamenti giornalieri che utilizzano la bicicletta per tutto o parte del percorso; una distanza media di 2,8 km percorsi giornalmente; un aumento della frequenza delle piste ciclabili del 47% tra il 2019 e del 22% tra il 2020 e il 2021, con punte di crescita del 60% su alcune tratte; più di 25.000 ciclisti e monopattini ogni giorno su Rue de Rivoli e più di 12.000 ciclisti ogni giorno su boulevard de Sébastopol, due delle maggiori vie parigine. Altro risultato importante è l’arrivo di nuovi ciclisti: quasi un utente delle piste temporanee realizzate durante la pandemia, non usava la bicicletta in precedenza. 

Infrastrutture ben finanziate e ben studiate hanno portato al raggiungimento di miglioramenti concreti.

Oggi Parigi ha 1.000 km di piste ciclabili distribuite su tutta la superficie cittadina, oltre 15.000 parcheggi per biciclette e uno dei servizi di bike sharing più popolari e riusciti d’Europa, e l’obiettivo del nuovo Plan Vélo è renderla completamente ciclabile entro il 2026. 

A queste scelte, si affianca il concetto di “città dei 15 minuti”, che prevede di riorganizzare gli spazi urbani in modo che il cittadino possa trovare entro 15 minuti a piedi da casa tutto quello che gli serve per vivere: lavoro (anche in co-working), negozi, strutture sanitarie, scuole, impianti sportivi, spazi culturali, bar e ristoranti, luoghi di aggregazione. In questo modo, le persone non devono prendere l’auto o i mezzi pubblici, riducendo traffico e inquinamento, riappropriandosi del tempo perso negli spostamenti e riscoprendo la socialità nel proprio quartiere.

Il concetto di “città dei 15 minuti” prevede di riorganizzare gli spazi urbani in modo che il cittadino possa trovare entro 15 minuti a piedi da casa tutto quello che gli serve per vivere. Condividi il Tweet

Anche Londra ambisce al titolo di città più bike friendly d’Europa: secondo il Dipartimento dei Trasporti su numerose strade di Londra e del Regno Unito il numero di ciclisti ha superato nel 2020 quello degli automobilisti, in zone centrali importanti per il turismo e commercio, come Lambeth Road e Royal Mint Street, dove le biciclette rappresentano rispettivamente l’87 e l’81% degli spostamenti. Gli investimenti continuano con il Mini-Holland programme, per trasformare i dintorni di Londra. Il riferimento nel nome a un caso di successo testimonia come il bench marking sia importante, ma in tutti questi interventi è interessante notare che nella progettazione e valutazione dei risultati è utilizzato l’Healthy Streets Approach, un indice che considera anche le sensazioni percepite.

D’altro canto, il piano dichiarato dal governo britannico è rendere entro il 2040  l’andare in bicicletta e il camminare le natural choices per gli spostamenti più brevi o come parte di spostamenti più lunghi.

La conoscenza dei modelli esistenti è fondamentale, nell’ottica di accrescimento delle competenze e della capacità di gestione: serve per attivare politiche coerenti nel panorama locale e per corroborare un atteggiamento di fiducia da parte dei cittadini.

A presto,

Lilith Dellasanta


CREDITS IMMAGINE DI COPERTINA
ID Immagine: 80511577. Diritto d'autore: Elnur
ID Immagine: 64391009. Diritto d'autore: stefanocar75

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