Possiamo affermare con una certa tranquillità che quelli che si sono aperti con il primo gennaio – e che comunemente venivano chiamati “gli anni ’20 del nuovo millennio” – sarebbero stati caratterizzati da un marker in particolare tra quelli calviniani, quello della Molteplicità, capace di far convivere tra loro istanze molto diverse, afferenti a un medesimo orizzonte di senso, ma osservato da molteplici punti di vista.
E quindi, per certi versi, sarebbero stati accomunati dal meme di calvino più “interoperabile”, in riferimento al topic del nostro blog di quest’anno, dedicato appunto alle relazioni esistenti tra sistemi diversi, siano essi umani o artificiali.
Tutto lo faceva presagire a più livelli, dai massimi sistemi ai quelli minimi. Tanto per citare alcuni di questi temi che erano sulla bocca di tutti, tra gennaio e febbraio, ecco una breve lista:
- la globalizzazione sempre più spinta che tentava, con Greta, di procedere a fatica verso una nuova idea di sostenibilità;
- il tanto citato conflitto tra digitale-sì e digitale-no e le relative tifoserie;
- i cantori del cibo vegano a km zero che disquisivano (spesso a male parole) con i cultori della carne da divorare a bocca piena (possibilmente alla griglia) praticamente su ogni piattaforma social…
- le nuove “monete” emergenti, per lo più virtuali, che nascevano come funghi ai piedi di una Brexit più volte annunciata e chissà quando realizzata…
Questa sterminata abbondanza di punti di vista contemporanei – ricca al suo interno di oggetti sia concreti che simbolici, figlia non a caso della “complessità” e genitrice della “numerosità” – sembrava destinata, in se stessa, al tentativo di generare una serie di cambiamenti a cascata all’interno di ogni contesto culturale e sociale in cui si stava palesando.
Sarebbe stato difficile capire con quali conseguenze e verso quali direzioni, certo, ma tali tensioni erano senza dubbio in essere, nell’idea di una “molteplicità” di pensieri, stili di vita e visioni del futuro che avrebbero dovuto prima o poi trovare, come si dice, un compromesso più o meno stabile.
Poi è arrivata – col suo ruggito spaventevole – la pandemia, e il molto, per alcuni mesi, si è ridotto a poco, anzi, a pochissimo: in pratica soltanto a “come sopravvivere”. Noi e i nostri cari, certo, ma anche i nostri sistemi sociali e soprattutto economici.
Eppure, nonostante quest’impatto tremendo, la molteplicità non si è arresa, mostrandosi in forma di “reazione” che, come una dea a molte teste, ha iniziato a guardare di qua e di là, insieme…
Da un lato sembrava aprirsi al pensiero via via dominante (medico e scientifico), e dall’altro si schiudeva subito dopo in una serie di decisioni (politiche e a volte ideologiche), che hanno portato, nel mondo, ai più disparati scenari di lotta alla pandemia.
Diversa per ciascuno – per cultura e latitudine, longitudine e colore politico – la risposta alla pandemia è stata (ed è) tutto tranne che univoca.
E ci dice, anche ora: non c’è un solo modo di vivere, vedere, amare, e nemmeno di ammalarsi, di curarsi né di scappare. Ma ce ne sono molti.
Quanti? Tanti quanti sono gli esseri umani, per lo meno. Perché lei, la molteplicità, non si fa mettere all’angolo da nessuno, men che meno da una malattia. Purtroppo o per fortuna che sia.
Uno, nessuno e centomila-mila…
Con questa consapevolezza, vediamo ora di conoscere un po’ meglio questo tag calviniano, tra i suoi più memorabili.
Facciamoci aiutare dalla Treccani e cerchiamo di mettere a fuoco il contesto semantico in cui stiamo operando, evidentemente molto potente, se nemmeno una emergenza planetaria vi si è fatta strada a sufficienza con una linea di indirizzo comune…
Da non confondersi con
la numerosità che implica più che altro “Il fatto d’essere numeroso, cioè costituito di molti elementi”
la molteplicità presuppone invece “il fatto di essere molteplice o, più spesso, di essere molteplici (cioè più d’uno e di vario genere o aspetto)”.
Il che ci riporta a una considerazione senza la quale non possiamo procedere: l’unicità di ciascuno di noi.
Molteplicità, infatti, ha in sé un nucleo di senso che – a proposito del topic portante del nostro blog di quest’anno – possiamo definire “interoperabile” per eccellenza.
Presuppone anzi a priori, proprio a partire da una diversità anche numerosa dei suoi componenti, una casa comune, un sistema più ampio, capace cioè di contenerne molti altri, eguali o diseguali tra loro che siano.
Detta così sembra una cosa bella.
La molteplicità ha un qualcosa di grande, rispettoso, democratico. Mette insieme gli opposti, consente a ciascuno un suo luogo, una sua risposta unica, originale, in una parola sola: umana.
Eppure questo sterminato orizzonte di scelta – che si apre in lungo e in largo, ma spesso gira a vuoto – non sembra aver aumentato, in questi ultimi decenni, né la nostra capacità di essere felici né la nostra capacità di provvedere ai nostri bisogni, nemmeno a quelli difensivi, come ad esempio lottare tutti uniti contro una pandemia.
E mi sto domandando perché.
Questo articolo – in parte – mette in campo alcune opzioni, grazie al libro, La società della performance, in cui, gli autori Maura Gancitano e Andrea Colamedici scrivono che
“Capire quali sono i propri desideri, però – ancora prima di scegliere – non è semplice come sembra.
Questo perché i nostri desideri non sono mai veramente nostri. Sono un prodotto culturale, influenzato da quello che la nostra società ci propone come appetibile o auspicabile.”
E qui torniamo alla moltitudine: quando un orizzonte è troppo ampio, troppo vasto, non è facile scegliere non solo quale meta inseguire, ma anche quale rotta intraprendere per raggiungerla. E la promessa di libertà (o di salvezza) che la vastità ci ha illuso di poter afferrare così facilmente, scompare in un soffio.
Chi vuol esser lieto sia: distrazioni in serie.
A proposito di scelte…
Qualche settimana fa – aprendo il mio dispositivo attraverso cui la televisione accede a una serie di piattaforme di distribuzione di video, film, serie etc. con cui pensavo di distrarmi dalla contingenza dell’immobilità del mondo circostante in attesa di liberarsi dalla pandemia – mi sono letteralmente incantata nel vedere la molteplicità di titoli tra cui scegliere…
Ora: prendiamo questa dashboard come una metafora che ci rende disponibile oggi una produzione culturale che spazia in un battibaleno (a seconda della velocità della connessione) dal romanzo in costume alla fantascienza, dall’indagine giornalistica ai talk show…
E proiettiamola pure nei giorni del look-down, in cui – ne sono certa (ma lo dicono anche i dati) – molte altre persone hanno fatto lo stesso connettendosi più o meno ovunque e da dovunque.
È noto ormai a tutti che, dopo un po’ che selezioniamo i contenuti che ci corrispondono maggiormente, ecco che ciascuna di queste piattaforme inizia a suggerici un titolo piuttosto che un altro, e mano a mano ci prende gusto decidendo alle fine lei per noi. (Più interoperabile di così direi che non ce ne è!)
Ora devo confessare che, se all’inizio questa cosa personalmente mi dava un po’ fastidio, ultimamente l’ho trovava molto utile, quasi confortante: finalmente qualcuno decideva qualcosa – e con una certa competenza – al posto mio!
Non solo: nell’esplorare il cruscotto di selezione, ho intravisto la piattaforma dei videogiochi – un universo ancora inesplorato – e mi si è accesa la lampadina dell’interesse.
Mi sono così ripromessa che, questa estate, farò un’escursione anche lì. Come dire: liberatami da una porzione di Molteplicità, la piattaforma sta provvedendo a procurarmene un’ altra.
Così, in pochissimo tempo, il tag di calviniana memoria che si era si andato a nascondere sotto al tappeto dei miei desiderata, è riemerso di nuovo come un fiume carsico, sotto mentite spoglie.
Irriducibile a tutto: a me, alle “macchine” e perfino alle pandemie.
Perché alla fine c’è poco da fare: figlia (forse) del libero arbitrio, la molteplicità – di vista e azione, ascolto e reazione – appartiene alle profondità all’essere umano sempre, ovunque e comunque, anche nel cuore di una pandemia.
E probabilmente è proprio grazie a questa capacità tutta umana che qualcuno, da qualche parte, troverà una soluzione. O forse molteplici soluzioni. E magari con l’aiuto di qualche “macchina” dall’intelligenza eccezionale, ancorché artificiale.
Questo, io credo, è quello che ciascuno di noi spera per il proprio futuro (e di tutti).
A presto, Natalia
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