Leggera e resistente come… una ragnatela sospesa sull’abisso!

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Dai dati alle informazioni: interpretare il presente, disegnare il futuro.

Tra i meme tanto cari al nostro mentore Italo Calvino, la ricerca di leggerezza occupa un ruolo risolutivo, rappresentata come “reazione al peso del vivere”.

Prendiamo ad esempio la città-ragnatela di Ottavia, una tra “Le città invisibili” dell’autore: sospesa su uno strapiombo, è legata alle creste di due montagne soltanto da esili funi e catene che formano una rete di sostegno al di sopra del nulla, dove le case fatte a sacco, le scale, le amache e tutto il resto sta appeso al di sotto. Calvino conclude: “Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge”.
Ed ecco che, all’interno del tema che tratteremo oggi, legato alle strabilianti performance del mondo naturale, quel “più di tanto” – riferito alla realizzazione delle ragnatele dal punto di vista scientifico – assume un valore specifico notevole.

Sottile da essere quasi invisibile, leggera e resistente, la ragnatela assume spontaneamente forme di sorprendente bellezza geometrica, confezionate in maniera “artigianale” dalle abilità di un piccolo artropode capace di stupirci per la sua efficienza.
Pur risultando meno densa dell’acciaio, la ragnatela è infatti un manufatto unico per capacità di resistenza, soprattutto se messa a confronto con un’apparenza così fragile: tale espressione di leggerezza in forma di “filo” è in grado di sostenere un carico di rottura pari a circa 1.3-1.65 gigapascal, ovvero dieci volte la pressione avvertita sul fondo della fossa delle Marianne.

Come è possibile una tale, straordinaria capacità?

Le strabilianti proprietà meccaniche della ragnatela, che possiede fili due volte più elastici del nylon e capaci di tendersi più di un terzo della loro lunghezza, si devono a due tipi di microscopici filamenti di seta.
Il primo tipo è rivestito da un liquido vischioso ed evidentemente creato per intrappolare gli insetti, mentre il secondo è un particolare tipo di seta denominata dragline, letteralmente “filo teso’” utilizzata sia per costruire il cerchio esterno della rete ed i fili che irradiano dal centro, sia per la corda di salvataggio, ossia il filamento tessuto dai ragni quando sono in caduta libera.
Attraverso l’elaborazione attuata da ghiandole specializzate dette seritteri, il ragno ottiene i filamenti di seta convertendo in fibre solide una sostanza liquida costituita da particolari proteine, la più forte ‘spidroin 1’ e la più elastica ‘spidroin 2’.
Nel passaggio dallo stato liquido a quello solido, entrambe le proteine cambiano la loro struttura ed acquistano stabilità a causa del PH acido presente nelle ghiandole filatrici: mentre una delle estremità della molecola di spidroin diventa sempre più salda all’aumentare dell’acidità, l’altra estremità si destabilizza, attivando una combinazione di effetti che porta all’accoppiamento di più molecole e bloccando la proteina in una rete molecolare altamente resistente ed elastica.

Ed ecco che dal mondo “naturale” tale eccezionale performance è stata oggetto non solo di studio, ma anche di importanti scoperte e innovazioni.
In ragione delle sue intrinseche proprietà di forza e resistenza – e come poteva non essere così? – la seta dragline è oggi la candidata ideale per un’ampia gamma di applicazioni industriali, come giubbotti antiproiettile, corde per i paracadute e cavi in genere. In aggiunta, gli alti tassi di biocompatibilità e biodegradabilità delle sete di ragno, in qualità di materiali proteici, promettono importanti passi avanti anche nel campo biomedico, dai fili per suturare le ferite alle operazioni di rigenerazione dei tessuti.
Non solo. Questo modello di “lavorazione”, focalizzato nel 2013 da ricercatori svedesi, ha rappresentato un importante spunto di avvio per la progettazione di nuovi metodi di sintesi artificiale, colti ed ulteriormente migliorati dall’attività del Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica dell’Università di Trento: il team ha condotto importanti tentativi di simulazioni al computer, finalizzati a progettare una fibra super-resistente a partire da quella prodotta dal ragno.
Attraverso la diversa combinazione di blocchi di amminoacidi, unità fondamentali delle proteine, sono stati creati modelli di fibre con potenziate proprietà meccaniche, ottiche, elettriche e termiche, per le quali si sta ora studiando il metodo di produzione più efficiente ed economico.

Un’ultima, illuminante informazione: i geni dei ragni responsabili della produzione della seta sono rimasti sostanzialmente inalterati attraverso 125 milioni di anni di storia dell’evoluzione, a conferma che Madre Natura conosce bene il fatto suo, e lascia inalterato ciò che funziona in maniera esemplare. Nello stesso tempo, ci consegna pratiche esemplari da seguire e perseguire.
Magari con la stessa grazia e “leggerezza”.

approfondimenti

Per saperne di più

 

– Greenreport.it
– Galileonet.it
– Encanta.it
– Archiviobolano.it