C’è tag e tag…
Il primo degli articoli che raccorda i 6memes di Calvino al tema dell’Interoperabilità – in questi giorni in cui tutti abbiamo a che fare con lei, la Macchina (in forma di PC, tablet e dispositivi vari), visto che per senso civico e prudenza personale dobbiamo lavorare, studiare, insegnare e socializzare in remoto – vorrei farlo iniziare con un’immagine, ovvero un incipit visivo corrispondente ai tag (testuali e visual) che Google rilascia dopo aver inserito nella sua “magica” interfaccia il termine stesso Interoperabilità.
Parto da una considerazione “tecnica” rispetto alla mia professione di comunicatrice: il primo tag testuale, in alto a sinistra, è di tipo linguistico, ovvero “interoperabilità semantica”, il che mi ricollega in un balzo all’approccio culturale tipico dello sguardo di Italo Calvino.
Un’altra cosa che mi colpisce è la frequenza successiva di tag tecnici e tecnologici, quali BIM (Building Information Modeling) e GIS (Geographic Information System), oltre alla presenza di diversi tag relativi alla Sanità.
E questi dati sono in grado, da soli, di portare a numerose inferenze sullo stretto legame esistente tra concetti quali Interoperabilità, Visibilità, Molteplicità, Esattezza e così via, dando luogo – già a colpo d’occhio – a una panoramica davvero globale di significati e significanti.
Come se non bastasse, per quanto riguarda invece la schermata visiva, beh, qui la cosa si fa ancora più interessante: le immagini rappresentate non sono altro che schemi, grafici e mappe in sé interoperabili. Di più: ognuna di queste rappresentazioni – che potrebbero essere a loro volta interfacce – è impossibile da percorrere secondo un ordine cronologico o successivo.
Ogni grafo impone piuttosto percorsi di lettura (e quindi di senso) variabili, di tipo cioè paradigmatico (ovvero creato per associazione) anziché sintagmatico (cioè sequenziale).
All’interno quest’area di significato dunque – che prima di tutto è astratta e intellettiva, ma che poi diventa subito dopo concreta (o perlomeno concretizzabile) – il momento della scelta del percorso da intraprendere nella lettura impone una serie di salti, di balzi, e dunque di processi che hanno in sé un’incognita…
Il timone a questo punto viene dato da noi stessi, che ancor prima di avanzare nella nostra ricerca, dobbiamo già “interpretare” la schermata che abbiamo davanti, e in qualche modo tradurne le istruzioni.
Questo processo, molto bene illustrato e argomentato, lo racconta mirabilmente Giulio Destri nel suo primo articolo sul blog dedicato al tema. Per chi non lo avesse già fatto, dunque, ne consiglio la lettura, perché i concetti che esprime possono aiutare voi lettori nella traduzione delle mie parole 🙂
Da parte mia, quel che mi preme ora sottolineare è che in fondo le zone interoperabili (sia tra Uomo-Uomo che tra Macchine e a maggior ragione tra Uomo e Macchina) non sono altro che aree in cui è possibile la traduzione di una lingua in un’altra: nel caso della mia ricerca online la lingua dell’Uomo (io che cerco su Google) e la lingua della Macchina (Google che mi presenta la sua serp).
E dunque, come in ogni traduzione che si rispetti, si rivela cruciale un attore il più delle volte invisibile: il traduttore. Che poi – in ogni ricerca online – siamo noi senza rendercene conto, in una sorta di dualismo sincrono tra interpellante e traduttore.
E qui non posso fare altro che citare un altro Maestro di Pensiero, Umberto Eco, e il suo “Dire quasi la stessa cosa”, a cui indirizzo i lettori che ancora non lo conoscano e che si interessano a questi temi…
Di per sé, dunque, ogni opera di traduzione altro non è che un’opera di avvicinamento tra “diversi”, la ricerca di uno spazio comune, di una soluzione condivisa.
Dire QUASI la stessa cosa…
Luisa Carrada, in questo suo articolo davvero illuminante, lo spiega molto bene, citando a sua volta Giorgio Amitrano:
“Il più delle volte però le soluzioni non arrivano per un’intuizione improvvisa, ma grazie a una lenta manovra di avvicinamento.”
E qui ci colleghiamo finalmente al nostro nume tutelare, Italo Calvino (che, non a caso, soprattutto agli esordi della sua carriera, si cimentò nell’arte del tradurre, e lo fece in un’ardua impresa: traducendo, tra gli altri, Raymond Queneau): la sua opera Lezioni Americane ci parla continuamente, all’interno delle sue lezioni e relativi meme, di questa possibilità di incontro tra diversi, molto spesso tra opposti, che a loro volta aprono nuove “scatole” di concetti, traduzioni, aree di possibili, nuove interoperabilità…
“Nell’universo infinito della letteratura s’aprono sempre altre vie da esplorare”…
Nell’avvicinarmi dunque al lavoro che mi aspetta, meme per meme, mi interessa illustrarne in anticipo la metodologia che ho seguito nel mio percorso che non sarà lineare, secondo l’ordine successivo dei capitoli di Calvino, ma seguirà una traccia diversa, dedicata e mirata al discorso sull’Interoperabilità, appunto.
E lo farò seguendo una magnifica formula marinara, “avanzare di ritorno”, che Cristina Campo ha mirabilmente illustrato:
“Gli antichi navigatori, dopo aver perduto la rotta per traversie di mare, al momento di ritrovarla, spesso dal lato opposto, chiamavano la manovra avanzare di ritorno. È certo, in ogni caso, che dallo zenith della vita – si trovi al suo vertice naturale o lo percorra – il cammino non è verso l’oblio, come la legge del tempo lo vorrebbe, anzi verso la memoria. Tutta la conoscenza acquisita prima di toccare quel punto – a mezzo il cielo – sembra rivolgersi allora verso l’infanzia, la casa, la prima terra, verso il mistero delle radici, che di giorno in giorno acquista eloquenza”.
Con ambizioni molto più ridotte – ma ispirata e illuminata dalla luce di tali Muse – partirò dunque non dalla Leggerezza (primo dei tag calviniani), ma dalla Visibilità, perché – come abbiamo visto all’inizio dell’articolo – la cosa più rilevante di ogni area interoperativa sta nella sua individuazione. Solo il fatto di poter vedere uno spazio di unione anziché di separazione tra due entità genera in sé un ponte, un percorso capace di togliere il “peso” potenziale e ipotecante di tale diversità.
Il secondo meme che inseguirò sarà dunque quello della Leggerezza, perché non c’è dubbio che accorciare le distanze tra le opposte sponde (dei concetti e della conoscenza) consente di togliere peso e gravità al potenziale dirompente di ogni innovazione.
La Rapidità verrà da sé, come fattore di cui tenere conto e potenzialmente bifronte: vantaggioso perché performante, ma pericoloso, perché a volte insostenibile. Seguirò poi gli orizzonti dell’Esattezza perché – tutto ciò premesso – vedremo insieme come cruciale è la veridicità dei dati che raccogliamo nelle nostre inferenze, per poter creare zone davvero interoperabili sia tra noi Umani che tra noi e la Macchina. (Molto degli studi sull’intelligenza artificiale ci mettono in guardia a proposito).
La Molteplicità la terrò per penultima perché – come abbiamo visto – è talmente ampia la varianza da attraversare, che occorrerà essere attrezzati con i meme precedenti per poterla solcare. Approderò infine al topic della Coerenza e Consistenza che, onestamente, in questi anni sono difficili da trovare, nascoste come sono nella vastità in cui ci stiamo inoltrando come specie.
Ci vuole infatti una grande audacia per trovare pattern e ricorrenze in qualche cosa di cui ancora ci sfugge il senso, eppure… Passo dopo passo, meme dopo meme, vedremo che anche questo sguardo di insieme è possibile. Perché, come ci ricorda Albert Einstein,
“L’innovazione non è il prodotto di un pensiero logico, tuttavia il risultato è legato ad una struttura logica.”
Al prossimo articolo, dunque. Confidando che questo periodo – per certi versi davvero tremendo e comunque impegnativo per tutti – ci porti almeno un vantaggio: poter utilizzare al meglio la Macchina così da aiutarci nella nostra vita reale, seppure a distanza.
Natalia
*NOTA – Gli Imperdonabili, Adelphi editore.
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