Se provate una forte curiosità verso gli estranei e parlate spesso con chi vi è seduto vicino sul bus o mentre siete in fila allo sportello delle Poste, allora è probabile che voi siate persone altamente empatiche.
Ogni essere umano è, per natura, empatico, in grado, cioè, di percepire e riconoscere gli stati d’animo altrui, ponendosi nelle condizioni di quella persona. Tale capacità compare dai 14 mesi di vita per crescere e migliorare negli anni successivi, e consente di capire le emozioni nelle persone che ci circondano, siano queste espresse attraverso il volto o anche dalle poche parole di una frase.
Ci sono poi persone più empatiche di altre, facilmente riconoscibili poiché sono pazienti ascoltatori e non hanno remore nell’esplicitare i propri sentimenti, condizioni essenziali per creare un forte legame empatico.
Tali individui, mossi da un sano interesse di conoscenza, sono in grado più di altri di mettere in pratica esperienze reali e concrete di empatia, vestendo i panni dello sconosciuto.
Di là da questi casi “estremi”, la caratteristica unica e pregevole di ogni persona con uno sviluppato senso empatico è proprio quella di avvicinarsi anche a coloro che non fanno parte del suo contesto abituale, per scoprire ed esplorare situazioni di vita, opinioni e modi di pensare differenti, con un arricchimento di vissuto ed esperienza che farebbe invidia a qualunque social network.
Ma proprio la società dei media e la pressante diffusione telematica rischiano di inibire la naturale propensione all’empatia dell’essere umano fin dall’infanzia, proprio in ragione della pericolosa promiscuità che per loro tramite si instaura tra il mondo infantile e quello degli adulti.
Al bambino non si dà tempo di capire le proprie emozioni, né tantomeno di percepire quelle altrui, e ciò si traduce per lui nell’incapacità di ricreare o costruire relazioni uniche, mentre l’adulto è immerso in un contesto di indifferenza e di estremo narcisismo.
Com’è stato dimostrato da recenti ricerche compiute negli Stati Uniti quello che sta accadendo è un progressivo sgretolarsi delle capacità empatiche, e quindi dell’apertura delle persone verso realtà differenti, con risultati negativi anche sul piano sociale.
Per questo un gruppo di artisti, intellettuali e scrittori, guidati da Roman Krznaric, tra i più eminenti filosofi viventi della Gran Bretagna, e fiduciosi nell’empatia come difesa contro il degrado sociale, ha sviluppato un progetto unico: l’Empathy Museum. Sì, proprio il museo dell’empatia, inaugurato il 4 settembre a Londra, ai Riverside Gardens di Vauxhall. Concepito come serie di installazioni ispirate a vari temi, molte di queste, dopo un periodo di esposizione sulle rive del Tamigi, diventeranno itineranti intraprendendo un lungo viaggio che le porterà in altre città della Gran Bretagna per giungere, infine, a Perth, in Australia.
Non solo, è stata resa disponibile anche una libreria digitale, completa di film e libri selezionati per allenare ognuno di noi al risveglio del proprio stato empatico ormai assopito, e fruibile sul sito ufficiale dell’Empathy Museum.
La prima installazione interattiva, conclusa il 27 settembre scorso, è stata chiamata “A mile in my shoes”: un’esposizione di scarpe appartenenti ad altre persone. Il visitatore poteva scegliere il paio che più lo incuriosiva e, dopo averlo indossato, dedicarsi a una passeggiata lungo le rive del Tamigi mentre dalle cuffie appoggiate sulle orecchie poteva ascoltare la storia del proprietario delle scarpe. Ogni calzatura diveniva così la potente testimone di esperienze intense di dolore, speranza o coraggio che aveva coinvolto il suo possessore (rifugiato, contadino o prostituta che fosse).
E l’idea di questa prima installazione è stata proprio di Roman Krznaric, che si è ispirato a una frase tratta dal libro “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee, quando l’avvocato Atticus Finch dice a sua figlia: «Non puoi davvero capire un’altra persona fino a quando non consideri le cose dal suo punto di vista, fino a quando non entri nella sua pelle e non ci cammini dentro».
Basterà un recupero dell’empatia se non a salvare, almeno a contribuire a rendere migliore il mondo? Di certo la risposta è sì. Come già cerca di fare il Parents Circle, un forum di famiglie israeliane e palestinesi in lutto per la perdita dei propri figli uccisi dalla guerra che insanguina i due popoli e che, incontrandosi, cercano di promuovere la pace e favorire un accordo. Perché sforzandosi di andare oltre il proprio punto di vista individuale, e addirittura ascoltando coloro che si considerano nemici, già si può compiere un piccolo miracolo!
Per saperne di più
www.huffingtonpost.it
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