Chi vuol esser “interoperabile” sia! Storie di legami U-Mani e Rin-Tracciabili. Di Natalia Robusti.

Natalia Robusti

Natalia Robusti

Imaginative Communication Strategist ● Artist ● Co-Founder di Spazio Lookness

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Knowledge and control: dalla complessità dei dati all’informazione


Mani, interfacce e pensieri che si intrecciano…

Prima di dare il via a una serie di articoli che legano i tag calviniani al tema del blog di quest’anno – ovvero l’interoperabilità Uomo-Uomo e Uomo-Macchina – vorrei inaugurare il 2020 con alcune connotazioni personali.

Questo, non per cimentarmi in un esercizio autobiografico non richiesto :), ma perché nel mio percorso personale e professionale credo si possano rintracciare alcune esperienze interessanti proprio riguardo alle connessioni esistenti tra sistemi all’apparenza molto diversi tra loro, tematica che riguarda sia i memes di Calvino che l’argomento dell’interoperabilità.

È infatti dalla possibilità stessa di creare un legame strutturale tra sistemi diversi che discende l’opportunità di intravedere, selezionare e “abitare” aree possibili di sovrapposizione tra gli stessi, aree che possiamo definire, a loro modo, come vere e proprie interfacce.

Ed è sempre tale predisposizione che rende possibile l’interazione feconda e costruttiva tra entità diverse tra loro, così che – anziché attivare il cosiddetto panico morale – la presenza di fattori di diversità può generare nuove possibilità di esplorazione, crescita ed espansione.

Questo potenziale di interconnessione – anziché di contrapposizione e rigetto – ce lo insegna in primo luogo il nostro corpo, e non solo nelle situazioni negative (come quelle che stiamo tutti vivendo a causa dell’attuale contingenza sanitaria ), ma anche in quelle positive che – aggiungerei  – ci possono anzi aiutare nell’affrontare meglio (e insieme) le avversità.

Se infatti l’interfaccia è il luogo per eccellenza in cui creare legami e relazioni tra sistemi diversi, allora iniziamo con il sottolineare che il nostro intero corpo altro non è che un unicum composto di tante unità:

  • sensoriali prima, con i nostri organi di senso, tra cui la pelle stessa,
  • auto-riflessive poi, grazie alle nostre emozioni e ai nostri pensieri e ragionamenti,
  • ed infine espressive, tramite le tante forme di linguaggio e comunicazione di cui disponiamo, tra cui non solo le nostre parole, ma anche – e a volte soprattutto – i nostri gesti.

Un esempio eccezionale di questo potenziale creativo – umano, culturale e tecnologico – lo ha generato la mostra U-mano, curata da Andrea Zanotti, Silvia Evangelisti, Carlo Fiorini e Stefano Zuffi, che è in esposizione (salvo sospensioni contingenti) al Centro Arti e Scienze Golinelli sino al 9 aprile 2020. Questo percorso espositivo, infatti, è

“dedicato alla mano e sviluppato su più piani di lettura: dall’esplorazione dell’interiorità dell’uomo all’aprirsi alla comprensione dell’universo che gli sta intorno, in stretto e inevitabile collegamento con il cervello.

La mano è l’elemento di raccordo tra la dimensione del fare e quella del pensare ed è quindi rappresentativa della prospettiva (…) di recuperare il segno di un legame oggi perduto: quello tra arte e scienza, che proprio nella cultura italiana ha raggiunto il suo culmine.
(…) La riflessione sul tema della mano consente così di indagare il ruolo dell’uomo in un presente dominato dalla tecnologia.”

Ed ecco che il tema dell’interfaccia – cruciale in termini di interoperabilità – viene ricondotto alle basi più semplici dell’esistenza umana, e cioè all’esperienza del contatto e di tutto ciò che tale semplice “atto” è in grado di generare.


Da dove si parte? Semplice (o forse no): dalla scuola!

Torniamo dunque a noi, o meglio a me…

Anticipato – anzi, toccato con mano – il valore fondante della nostra esperienza soggettiva in relazione con il mondo – esperienza capace, là dove generalizzata e trascesa, di ricondurre a sistemi simbolici e creativi di ben più ampia capacità di propagazione – ho ricercato nella mia storia personale le fonti di una naturale propensione all’esplorazione.

Analizzandola oggi, questa mia attitudine, col famoso “senno di poi”, credo che si sia espressa in uno slancio verso il cambiamento che non è mai stato fine a se stesso, ma piuttosto targettizzato al desiderio di “unire i puntini”, cercare convergenze, pattern ricorrenti e formule comunicative capaci di dare un senso al mondo esterno, individuandovi un “verso”.

L’innesco di questa vocazione, la rintraccio negli anni della mia scuola, sia d’infanzia che primaria, ovvero in quello che mi hanno insegnato – e soprattutto mostrato – gli insegnanti  che ho incontrato. Per questo, credo che la mia testimonianza abbia un valore generale, oltre che personale, in questi anni in cui la complessità che ci governa ci obbliga (volenti o nolenti) ad essere inter-disciplinari.

Questa attitudine alla ricerca di un “legame” tra le cose, infatti, è stata una delle leve più forti nell’aiutarmi a navigare all’interno di tale immanente iper-complessità, e mi ha permesso di individuare nella tecnologia emergente – nonostante io NON sia una nativa digitale – un punto cruciale di unione anziché di potenziale divisione. 

Perché valori quali la conoscenza e lo scambio di saperi e competenze sono il cuore dell’interoperabilità nel suo valore più U-mano.

E soprattutto perché tutti noi – in quanto specie vivente – siamo in materia, forma e sostanza in una serie di sistemi – biologici e psichici, fisici e spirituali – naturalmente vocati a connettersi, così che da sempre – dall’avvento della prima pietra lavorata in poi – lo abbiamo fatto ATTRAVERSO LA TECNOLOGIA E LA SUA CONDIVISIONE.


Verso gli altri o verso se stessi?

Parlavo di esperienze in età scolare… Quelle che io ho vissuto sono due ed entrambe privilegiate, anche se molto diverse tra loro.

La prima è stata indiretta: si tratta della scuola (primaria) che frequentava una persona a me cara, ed era cosiddetta “sperimentale”, data alla luce dal (rimpianto) Maestro Ulisse Adorni.

La sua specificità? In quella scuola non c’erano DIVISIONI. Convivevano ragazzi e ragazze di età diverse e con abilità diverse.

Nell’aula, poi, c’erano una serra, una lavagna delle parolacce e, già da allora, si recitava e si organizzavano fantastiche cacce al tesoro. Ogni linguaggio era consentito, ogni strumento era usabile ed era davvero una scuola memorabile.

L’altra esperienza fatta è stata quella delle mie scuole medie. Era una scuola molto bella, anche se più istituzionale, a suo modo all’avanguardia, anche se gestita da suore “in borghese”.

Un altro particolare? Le sezioni delle classi non erano divise per “lettere” (in cui la A, si sa, vale di più della B), ma per colori. Io ero nella sezione GIALLA. La scuola, tutta femminile (unico, grande neo 🙂 aveva giovanissime insegnanti che ci introducevano nei meandri di ogni genere di materie.

C’erano laboratori di scienze, una palestra fantastica, aule di musica, disegno e soprattutto una professoressa, mitica, che insegnava non matematica, bensì insiemistica.

E la prima volta che vidi il disegno di un insieme che si sovrapponeva parzialmente a un altro compresi per la prima volta il concetto di Interoperabilità o, come dice Anna Pompilio, di interoperabilità semantica… 

Dunque esisteva un luogo – o meglio, un regno – in cui DUE mondi diversi tra loro generavano una sorta di zona franca, un territorio comune, non ostile, in cui i due mondi potevano convivere. Non l’ho scordato mai più, perché toccai con mano un nuovo tipo di informazione sintetica: quella poetica, ovvero la metafora.

Ora, mi chiederete: cosa centra tutto ciò con la Macchina e con il Digitale? Direi che nulla centra di più.

Non mi saprei immaginare niente di più metaforico, interoperabile e U-mano dell’attuale processo di digitalizzazione, assieme a tutte le forme di intelligenza (umana e non) che possono dialogare tra loro grazie a questo linguaggio che ci permette possibilità di scoperte inestimabili CONDIVISIBILI da ogni dove.

E se cercate un esempio visivo di questo concetto, lo trovate nell’immagine che allego alla fine dell’articolo: nello sfondo generale, fatto di circuiti (sistema artificiale),  si staglia la sagoma ritagliata di un cervello (sistema umano), in cui i neuroni sono rappresentati da una rete di connessioni. Ecco: in questa immagine il sistema digitale e quello umano evidenziano un’area sovrapponibile e condivisa, quella dedicata all’Intelligenza Artificiale.

Un esempio più recente che mi ha colpito, sempre a proposito di scuole, è quello realizzato in questo elaborato scaricabile online: La salute nel mondo: l’e-book degli studenti del Master “Scienziati in Azienda”.

L’elaborato, scritto dagli studenti del Master ISTUD Scienziati in Azienda, con il contributo di Maria Giulia Marini e Alessandra Fiorencis dell’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD,

“(…) Non è un manuale di antropologia, e non voleva esserlo nei suoi intenti. Quello che però coglie, nel lavoro di ricerca su come altre società abbiano inteso (o continuino a intendere) il corpo e il suo esperire, è quel senso di “curiosità antropologica” che ci spinge al confronto (…)”

Il lavoro si pone

“(…) sulla frontiera di sistemi medici diversi, di differenti modi di concepire, definire e negoziare il corpo e la cura. Lo sforzo è coglierne la ricchezza, la complessità e la dinamicità: il risultato è quello del mettere in gioco le nostre stesse categorie, arrivando a riconoscere la molteplicità dei modi di intendere il corpo, la salute, la malattia e la cura (…).”

Un altro esempio di conoscenza condivisibile in un battibaleno? Eccolo qui: free e scaricabili immagini di opere d’arte memorabili! E potrei linkare migliaia, forse milioni di esempi…


Ebbene: dove è, qui, la Macchina?

Dunque la Macchina è nascosta tra i Dati, affiora dalle Immagini, scompare nei Numeri e riemerge tra le Parole…

Ci attende, soprattutto, nella potenzialità STERMINATA che il digitale ci offre oggi, con la sua infinità di interfacce culturali, esperienziali, tecnologiche, così che da una scuola reale a una virtuale si può studiare e conoscere il mondo. Come accadde a me da ragazzina, ma millemila volte di più!

E non crediamo che si tratti di una novità: qui di nuovo c’è solo la vastità, varianza ed enormità di informazioni attingibili… Ma attenzione: è sempre stato così, per l’U-mano.

Da sempre abbiamo creato appendici, interfacce, prolunghe… Da sempre abbiamo creato strumenti che ci portassero oltre, al di là del nostro corpo in sé limitato: ogni nostra intenzione, nei secoli dei secoli, ha avuto questa direzione.

Per chi voglia accendere la fiamma della curiosità, dell’esplorazione e del cambiamento, quindi, un dato è certo (anche nei momenti in cui ci sembra che la contingenza che viviamo prenda il sopravvento su tutto): abbiamo a disposizione universi interi – per lo più vergini o comunque frequentati da pochi – di cose da scoprire, di senso da trovare, di puntini da unire.

Facciamoci avanti: ce n’è per tutti! E facciamolo alla svelta: è ormai la stagione  di usare questa tecnologia anche per riparare i danni che – volenti o meno – abbiamo fatto al nostro pianeta. Che – questo sì – è uno solo, limitato e irriproducibile.

Da qui in poi – con un primo cenno sulla Visibilità – vi do’ appuntamento alla prossima serie di articoli sui memes di Calvino intrecciati con l’interoperabilità.

Alla prossima, Natalia

Artificial Intelligence

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