Allora Abramo disse: “Ecco, prendo l’ardire di parlare al Signore, benché io non sia che polvere e cenere”.
C’è, nella frase pronunciata dal Profeta (Genesi, 18:27), un richiamo immediato alla finitezza della nostra esistenza e al destino mortale del nostro corpo.
Abramo – che nonostante tutto non volle sottrarsi al tentativo di comunicare con il suo Dio – avrebbe forse cambiato la propria preghiera, nel conoscere quel che oggi sappiamo tutti sulla polvere e perfino sulla cenere. O forse no: l’essere umano tenta da sempre e con ogni mezzo di sfidare la natura effimera del suo passaggio terreno, come ci dimostra ancora una volta quanto stiamo per raccontarvi.
Quella che è comunemente chiamata polvere si compone non solo di particelle diciamo così di scarto (quelle ottenute ad esempio dalla minuta frammentazione di fibre di vestiti e persino di pelle ed unghie), in essa vi sono infatti anche particelle atmosferiche, che ne “elevano” senza dubbio la composizione.
Per la cenere le cose sono ancora più interessanti: essendo il residuo solido e molto fine, di natura minerale, che si ottiene dalla combustione di animali, vegetali o fossili, ha addirittura una sua “purezza”, che risiede nel suo essere priva di acqua e costituita in prevalenza di carbonati e ossidi. L’elemento chimico predominante è dunque il carbonio, ovvero il componente fondamentale della materia vivente.
Ma cos’è di preciso il carbonio? Si presenta sotto forma di composto, cioè legato ad atomi di altri elementi, e si trova nei vegetali in una percentuale compresa tra l’11 e il 54%, mentre nei mammiferi rappresenta in media il 22% del peso corporeo: un uomo di 70 kg è dunque fatto da ben 14 kg di carbonio.
È l’anidride carbonica atmosferica che fornisce agli organismi viventi tutto il carbonio di cui necessitano per la loro crescita e sviluppo. Essa è convertita dai vegetali, con l’intervento della radiazione solare, in una serie di composti organici che sono poi impiegati dalle piante stesse e dagli animali per le loro necessità nutrizionali.
Il carbonio però si ritrova in natura anche allo stato elementare, non combinato, in due forme: la grafite e il diamante. I cristalli di grafite e quelli di diamante si differenziano solo per la disposizione degli atomi di carbonio nel reticolo cristallino, a seconda delle diverse condizioni ambientali di pressione e temperatura in cui vengono a formarsi.
Nel diamante, gli atomi di carbonio, disposti ai vertici di un tetraedro, sono molto vicini e uniti da legami resistenti, responsabili della sua durezza: per questo occorre applicare intense forze per romperli. Nella grafite, invece, ogni atomo di carbonio è legato ad alti tre atomi disposti su uno stesso piano ai vertici di esagoni.
I tre legami sul piano sono forti e quindi gli atomi molto vicini, mentre i legami tra i vari piani sono deboli e possono essere rotti facilmente, spiegando così la grande fragilità della grafite.
Un diamante allo stato grezzo è puro carbonio cristallizzatosi milioni di anni fa nelle zone più antiche e stabili della crosta terrestre, dette cratoni, il cui spessore può superare i 200 km, la temperatura è compresa tra 900 e i 1200°C, e la pressione è di 50 chilobar. Successive eruzioni vulcaniche possono poi averli portati da quella profondità in superficie.
Ma torniamo al nostro discorso, ovvero al “valore” della cenere, e dunque del carbonio.
Una società internazionale svizzera con sede a Coira, Algordanza, ha elaborato un procedimento di laboratorio per tramutare in pietra preziosa il carbonio contenuto nelle ceneri di cremazione delle persone care scomparse.
Sì, avete letto bene. Una volta estratto il carbonio dalle ceneri del proprio caro, la società svizzera lo tramuta in grafite di carbonio. Quest’ultima è sottoposta a condizioni di pressioni e temperatura tali da ottenere diamanti con le stesse caratteristiche delle pietre naturali, con una colorazione blu più o meno accentuata che dipende da quanto borio è presente.
Tale forma di “sepoltura” è possibile, per ora, solo in Svizzera: sarà in grado di superare lo sconcerto della gente e le barriere imposte dalla tradizione religiosa per divenire una comune forma di addio al termine della vita, ribadendo ancora una volta quell’atavica resistenza che proviamo verso la nostra stessa mortalità?
Ai profeti di oggi – e di domani – l’ardua sentenza.
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