Caldissimo. Questa estate rovente – opprimente e infuocata – sembra non voler volgere al termine, e i media come al solito ripropongono i consueti scenari apocalittici su quanto accade in città, ai monti e al mare, spesso con il collaudato metodo del “copia e incolla”.
Eppure, in una stagione così sensibile alle notizie legate al clima, ci si potrebbe distinguere parlando di tutt’altro, e magari cercare di trovare ristoro, almeno con l’immaginazione, pensando invece a chi – e a cosa – è costretto a vivere in condizioni altrettanto avverse fino all’estremo, per quanto opposte.
Parliamo di “creature” non meno inquietanti degli scenari di cui sopra, ovvero di microorganismi e specie animali diffuse nelle regioni polari del nostro pianeta, le cui performance sono altrettanto sproporzionate e al di fuori della media.
Il tutto è stato rivelato dagli studi fatti sulla calotta antartica, grazie anche ai satelliti, che raccontano dell‘esistenza di centinaia di laghi subglaciali, ambienti idrici riconosciuti come ecosistemi metabolicamente attivi, in cui c’è chi sopravvive al “freddo e al gelo”.
Ad oltre 800 metri di profondità dell’antico lago Whillans, ad esempio, ad una temperatura media di -52°C, è ospitato un insieme eterogeneo di forme di vita, tra le quale si rintracciano microbi capaci di riutilizzare nutrienti chimici presenti nell’acqua.
Ma più sorprendente ancora è ritrovarvi animali, soprattutto pesci, di almeno tre specie differenti, a fronte di un habitat così estremo e povero di nutrienti e di micro-invertebrati, base abituale della catena alimentare marina.
Ancora in fase di identificazione definitiva, si tratta evidentemente di una famiglia di pesci antartici che per sopravvivere sotto il punto di congelamento dell’acqua sono stati capaci di sviluppare la produzione di proteine ‘antigelo’, funzionali a mantenere liquido il loro sangue.
Nascosti tra i ghiacci si celano anche virus giganti con più di 30.000 anni, in “letargo” a trenta metri di profondità nel permafrost siberiano, il tipico terreno perennemente gelato dell’estremo nord Europa.
Scoperte di recente e riportate in vita, queste nuove forme giganti, ribattezzate Pithovirus sibericum, sono in grado di produrre più proteine di un batterio e appartengono a uno di due generi conosciuti, Pandoravirus e Megavirus, spesso causa di malattie per esseri umani e animali.
Sebbene il Pithovirus sibericum mostri una struttura del proprio patrimonio genetico e un ciclo di replicazione simile a quelli degli altri grandi virus esistenti, rappresenta il prototipo di una nuova famiglia.
Ritornando quindi alle tentazioni apocalittiche, la domanda sorge spontanea: tali forme di “vita” così incredibili, rappresentano forse un nuovo pericolo per l’uomo?
Gli scienziati assicurano di no. Per ora. L’unico ospite del Phitovirus è un’ameba, e i salti di specie fino agli esseri umani sono praticamente esclusi. (Sospiro di sollievo!).
Eppure, il caldo, potrebbe rivelare una volta ancora alcune sorprese, anch’esse non proprio gradite. La preoccupazione, infatti, potrebbe nascere a causa dello scioglimento dei ghiacciai a seguito dei cambiamenti climatici, con la conseguente “rinascita” dai ghiacci di virus che già in passato sono stati causa di epidemie mortali che potrebbero riaffiorare.
E’ il caso dei corpi mummificati delle vittime di vaiolo, morte in Siberia nel diciannovesimo e ventesimo secolo e minacciate ora dallo scongelamento, con il rischio che il virus della malattia possa tornare a diffondersi nell’ambiente, sviluppando nuovi cicli di contagio…
Che dire? I motivi di potenziale panico derivante dalle previsioni meteo, a breve, medio o lungo periodo che siano, non mancano. Non ci resta che sperare almeno in un rigido inverno, tale da non compromettere lo spessore del permafrost, per dormire tranquilli, finalmente al caldo – non più detestabile – delle nostre morbide, spesse e vaporose coperte imbottite.
– Ilfattoquotidiano.it
– Greenreport.it
– Nationalgeographic.it
– Greenme.it