È pronta la prima mano robotica italiana, stampata in 3D. A progettarla è stato l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) in collaborazione con l’Inail. La sua sperimentazione è già in atto, presso il Centro protesi dell’Inail a Budrio (Bologna).
Cos’altro aggiungere? La mano è così familiare, assodata e naturale da oscurare la sua stessa eccezionalità. Attraverso la presa, l’esplorazione sensoriale e la comunicazione non verbale è possibile dare attuazione a tutte le nostre intenzioni che, grazie alla straordinaria anatomia della mano, si sintetizzano e si compiono come per “magia”.
Parzialmente condiviso con altre specie, è il traguardo evolutivo raggiunto in particolare dalla mano dell’uomo che consente l’esecuzione di movimenti di notevole precisione: senza le mani, la nostra unicità di essere viventi si ridurrebbe soltanto a un proposito irrealizzato.
La mano porge e toglie, racconta, si allaccia ad altre mani o respinge con forza, sente, legge: da un punto di vista ingegneristico, un sistema tanto sofisticato e complesso eppure così sensibile rappresenta senza dubbio una sfida irresistibile, che è stata prontamente raccolta.
L’Italia vanta dunque un prototipo di mano robotica assolutamente innovativa: una protesi unica nel suo genere, tecnologicamente avanzata e in grado di riprodurre l’85% dell’attività di una mano naturale, che è stata realizzata in materiale plastico con alcune componenti metalliche attraverso tecnologie di costruzione additive tramite 3D-printing, risultando resistente e semplice da utilizzare anche grazie a un peso che non raggiunge il mezzo chilo.
Non a caso il professor Antonio Bicchi, direttore del centro ricerche “Piaggio” dell’Università di Pisa, che ha contribuito al progetto e alla sua realizzazione, sintetizza la definizione del prototipo della mano ottenuta con una serie di aggettivi illuminanti: robusta, leggera, flessibile.
Lo sforzo evidente di aderire il più possibile all’esempio umano si ritrova infatti nei dettagli: il modello robotico è privo di ingranaggi e costituito da falangi che ruotano una sull’altra, come accade nelle nostre articolazioni, connesse da un sistema di tendini e legamenti artificiali controllati da un unico motore. Una volta innestata come protesi, l’attività elettrica di superficie dei muscoli naturali residui dell’avambraccio viene registrata da elettrodi e trasmessa tramite un segnale, a sua volta analizzato da un’interfaccia elettronica, che comunica al motore della mano artificiale con risultati eccellenti.
La tecnologia messa a punto consente non solo l’esecuzione dei movimenti delle dita robotiche – come prendere o lasciare un oggetto – ma anche di regolare l’intensità della presa, più o meno energica in relazione alla pesantezza degli oggetti stessi. Il tutto a un costo assolutamente sostenibile: la mano, infatti, avrà il prezzo di uno scooter.
Al di là comunque di tutto, resta il valore assoluto veicolato da questo specifico prototipo: restituire il diritto a un primato evolutivo conquistato. E nella condivisione di tale valore la ricerca non si ferma, puntando a riprodurre le sensazioni tattili per la mano robotica, restituite grazie ad accelerometri sulla punta delle dita in grado di inviare vibrazioni diverse in base alla consistenza della superficie toccata.
Possibile riappropriarsi, per chi ne sia stato privato, della sensazione unica di accarezzare qualcuno? Risponderà il futuro, mentre il presente ci obbliga a provarci.
Per saperne di più:
– Ansa
– Festival della Scienza
– National Geographic.it
– Corriere.it