Serialità, narrazione e social media: il triangolo della comunicazione. Di Natalia Robusti.

Natalia Robusti
Natalia Robusti

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

Per continuare a seguirci, visita la sezione News e collegati ai nostri canali social:

Tutto il problema della vita è questo:
come rompere la propria solitudine,
come comunicare con gli altri.

Cesare Pavese

 

Occuparsi di comunicazione, oggi, non può prescindere da nessuno dei tre concetti anticipati dal titolo: narrazione, serialità e social media. Perché? Perché ciascuna di questa “stringa” di testo è protagonista a suo modo di quella che viene chiamata Analisi delle reti sociali (Social Network Analysis).

Come qualsiasi analisi quali-quantitativa, infatti, anche questa pratica, all’apparenza settoriale, non può prescindere innanzitutto dai punti di vista attraverso cui l’analisi stessa osserva la realtà, ovvero:

quello del monitoraggio messo in opera a monte dell’analisi;

quello dell’inferenza e delle valutazioni a valle dei dati raccolti.

Questo, tenendo a mente che non sempre tali punti di vista coincidono e che, quando parliamo di social media, si “maneggiano” comunque emozioni, o perlomeno quàlia.

Emozioni che, al termine del processo di analisi, sfoceranno inevitabilmente in una narrazione, ovvero nella traduzione dei dati raccolti in un percorso di senso che ne rivelerà, seppure arbitrariamente, il significato.

Questo significato – e qui occorre fare particolare attenzione – non sarà solo contingente, ma si riverberà gioco forza in una sorta di prospettiva predittiva, attraverso la traccia del suo evolversi nel tempo.

Arriviamo all’ultimo dei tag introdotti dal titolo, la serialità…

Quando si parla di comunicazione, a maggior ragione social, gli oggetti del contendere sono quelli fondanti ogni comunità, ovvero le reti di relazioni che legano tra loro individui differenti accomunati da valori e intenti condivisi.

E se la serialità, ovvero il “carattere di ciò che è ordinato in serie”, è una pratica ripetitiva di istanze che fissa nello spazio e nel tempo abitudini e stili di vita, allora questo vale anche per le narrazioni. Ne sono forse anzi alla base, come insegnano i primi racconti condivisi attorno al fuoco dei nostri antenati e le favole narrate ai nostri figli prima di dormire, in un carosello simbolico di attività che acconpagna ogni nostro (santo) giorno.

Questa pratica, infatti – valida sempre e comunque, a qualiasi latitudine e coordinata temporale di ciascuna società – ha come scopo più o meno subliminale quello di ripetere, sincronizzare e radicare culturalmente gli enunciati proposti, ammantandoli in un’aurea di continuità consolatoria e rassicurante.

Il tutto, con ogni evidenza, non può non non riverberarsi nelle attività svolte sui social media. Anzi, ne fa parte intrinseca. Che sia per piattaforma, timing, fascia oraria o tipologia di argomenti selezionati, la ricorrenza, la frequenza e la continuità con cui ciascuno di noi partecipa ai vari social non può che definirsi una pratica seriale, cioè riprodotta nel tempo secondo schemi – o meglio abitudini – non soltanto condivise,ma anche fondate su precise aspettative comunicative, dettate da una sorta di galateo social intra-social.

Là dove tale pratica non è riscontrabile a prima vista, è perché la sua capacità di mimesi è proporzionale solo alla sua diffusione.

I travestimenti si concretizzano a ogni livello: nel messaggio, nel canale, nel contesto, ogni qual volta la capacità sincretica dei contenuti digitali permette agli stessi di interfacciarsi contemporaneamente su più livelli sensoriali, quasi che il messaggio stesso diventasse un media.

La cosiddetta realtà aumentata e le attività di gamification, ad esempio, sembrano essere le frontiere contemporanee di questo nuovo iper-realismo digitale, cosìcché grazie anche alle varie applicazioni proposte ora dall’una ora dall’altra piattaforma, ciascuno di noi non fa che aumentare sempre più le connotazioni del proprio messaggio, rischiando di fagocitare il contenuto vero e proprio.

So Social: traduzione (e tradimento) nella comunicazione digitale.

Da parte mia, in questa serie di articoli inseriti nella rubrica So Social – con i limiti delle mie competenze, gli azzardi creativi che mi sono propri e il “bottino” pluridecennale (ahimé) delle mie espertienze professionali – cercherò di indagare sul come, quando e perché di queste pratiche, affrontandone uno per uno i nuclei, tra cui:

  • la comunicazione sincretica;
  • la traduzione inter e intra semiotica;
  • le soglie comunicative;
  • la serialità nella narrazione;
  • le metriche di analisi del testo, dal “verso” in poi.

Il mio, di “verso”, sarà quello di cercare di dare un senso più creativo e meno automatico al contemporaneo flusso comunicativo che – per densità, frequenza e intensità – viaggia a una velocità che neppure la luce probabilmente è in grado di illuminare…