Riflessioni sulla riforma della Pubblica Amministrazione. Di Paola Chiesa.

Paola Chiesa
Paola Chiesa

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Dopo avere affrontato il tema degli Open Data sotto molti punti di vista, osservandoli nelle loro molteplici interazioni con la Pubblica Amministrazione e la cittadinanza, con questo articolo ci soffermiamo oggi a considerare alcuni degli elementi salienti della riforma “digitale” della PA, in via di definizione.

Il nostro Parlamento infatti, al fine di promuovere e rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale di cittadini e imprese, con l’art.1 della legge n.124 del 2015, ha delegato il Governo ad intervenire con uno o più decreti legislativi, sulla disciplina contenuta nel decreto legislativo CAD – Codice Amministrazione Digitale del 2005.
E il 20 gennaio 2016 nella seduta del Consiglio dei Ministri, è stato discusso uno schema di decreto del nuovo CAD. Si tratta di una bozza non definitiva, ma sufficiente a rilevarne gli aspetti peculiari, utili appunto al nostro approccio divulgativo sul rapporto tra Pubblica amministrazione e cittadini, passando da trasparenza, open data, partecipazione e innovazione.
Nella relazione illustrativa alla bozza del Decreto si legge che la volontà è quella di spostare l’attenzione dal processo di digitalizzazione ai diritti digitali di cittadini e imprese. Così, con la “carta della cittadinanza digitale” si riconoscono direttamente diritti a cittadini e imprese. Vediamo di seguito alcuni punti più in dettaglio.

Su domicilio digitale e identità digitale: si parla di concetti cardine come domicilio digitale (ad esempio l’indirizzo di posta elettronica certificata) e identità digitale, quale rappresentazione informatica della corrispondenza tra un utente ed i suoi attributi identificativi. Questo significa che tutti i cittadini e le imprese hanno il diritto all’assegnazione di un’identità digitale attraverso la quale accedere e utilizzare i servizi erogati in rete dagli enti pubblici. Inoltre tutti gli iscritti all’Anagrafe nazionale della popolazione residente hanno il diritto di essere identificati dalle pubbliche amministrazioni tramite l’identità digitale nonché di inviare comunicazioni e documenti alle pubbliche amministrazioni e di riceverne dalle stesse tramite il domicilio digitale.
A tal fine, è prevista l’istituzione, la realizzazione e la gestione, a cura di Agid, l’Agenzia per l’Italia Digitale, dell’elenco pubblico “Indice degli indirizzi della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi” che contiene gli indirizzi di posta elettronica certificata da utilizzare per le comunicazioni, l’invio di documenti e lo scambio di informazioni tra pubbliche amministrazioni, gestori di pubblici servizi e privati.
A questi fini si costituisce la base giuridica per implementare Italia Login, la piattaforma di accesso che, attraverso il Sistema pubblico di identità digitale e l’Anagrafe nazionale della popolazione residente, permetterà ai cittadini di accedere ai servizi pubblici con un unico nome utente e un’unica password, ad esempio per le prenotazioni di visite mediche, le iscrizioni a scuola, o il pagamento dei tributi. Il pin unico, in collegamento con l’Anagrafe nazionale, permetterà insomma di superare la situazione attuale nella quale ogni ente pubblico che garantisce servizi online, adotta modalità proprie di registrazione e utilizzo dei servizi, dall’account social, alla prereregistrazione, alla compilazione di schede online.

Sul ruolo dell’Agid: venendo all’Agid, nel disegno del nuovo Cad, essa ha un importante ruolo propositivo, consultivo, programmatico, di coordinamento, e di monitoraggio. Così tra le sue funzioni rientra l’emanazione di regole, standard e guide tecniche, nonché la vigilanza ed il controllo sul rispetto delle norme del codice, anche attraverso l’adozione di atti amministrativi generali.
Esercita inoltre il monitoraggio delle attività svolte dalle amministrazioni in relazione alla loro coerenza con il Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione. Infatti, la programmazione ed il coordinamento delle attività delle amministrazioni per l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, vengono attuati attraverso la redazione e la successiva verifica della messa in atto del Piano triennale, che contiene la fissazione degli obiettivi e l’individuazione dei principali interventi di sviluppo e gestione dei sistemi informativi nelle pubbliche amministrazioni.
L’Agid è altresì competente relativamente al rilascio di pareri tecnici obbligatori e non vincolanti sugli schemi di contratti, accordi quadro e convenzioni per l’acquisizione di beni e servizi relativi a sistemi informativi per determinate soglie economiche.
Interessante la precisazione che i servizi resi dagli enti pubblici sono soggetti a standard e livelli di qualità anche in termini di fruibilità, accessibilità, usabilità e tempestività. Gli standard sono periodicamente aggiornati dall’Agid e resi noti in un’apposita sezione sul sito dell’Agenzia.

Sulla cultura digitale: la promozione della cultura digitale e della ricerca è un aspetto importante che consente di interpretare la portata del disegno di legge. In effetti, al ruolo centrale di Agid nella promozione dell’innovazione digitale del Paese e dell’utilizzo delle tecnologie digitali nell’organizzazione della pubblica amministrazione, corrisponde nella bozza del nuovo CAD una significativa diminuzione del ruolo delle Regioni nel farsi promotrici di azioni volte a realizzare il processo di digitalizzazione amministrativa, coordinato e condiviso tra le autonomie locali.
Il che, di fatto, ha un impatto non trascurabile anche sulla ridotta possibilità di coinvolgere gli stakeholders del territorio, ovvero quei soggetti quali associazioni, imprese, centri di ricerca che costituiscono il tessuto sociale di riferimento di un ente pubblico, in una situazione variegata quale quella italiana, caratterizzata da forti differenze tra i territori delle Regioni e le relative tradizioni, anche in termini di cultura digitale.
E’ auspicabile che tale processo di centralizzazione sia quanto meno una leva per rendere più facilmente attuabili obblighi normativi mai portati a compimento fino in fondo. Ma in questo senso l’abrogazione dell’articolo sulla continuità operativa (50bis), che prevedeva la predisposizione di piani di emergenza in grado di assicurare la continuità delle operazioni di un ente, tra cui il piano di disaster recovery, va nella direzione opposta. Si tratta di un obbligo mai attuato, se non in misura non significativa, e questa poteva essere un’occasione per rilanciarlo, anche in ottica di una cultura digitale che si richiami ad una strategia di lungo periodo.
D’altra parte, la Conferenza permanente per l’innovazione tecnologica, che ha il compito di supportare il Presidente del Consiglio o il Ministro delegato nell’elaborazione delle linee strategiche d’indirizzo in materia di innovazione e digitalizzazione, nella nuova formulazione (art.18) accusa l’assenza della definizione dei criteri per la composizione dell’organo e la mancanza di incisività nell’apertura alla partecipazione di portatori di interessi esterni. Un’altra occasione mancata?

Sulla trasparenza: anche la bozza di un altro importante nuovo decreto legislativo, quello sulla trasparenza, nella interessante analisi di Fabio Chiusi, presenta alcune caratteristiche che lo distanziano non poco dallo spirito del Freedom of Information Act, cioè il riconoscimento della libertà di chiunque di accedere ai dati e alle informazioni in qualsiasi modo prodotte e/o detenute dall’amministrazione pubblica. Le criticità vanno dall’assenza di previsione di sanzioni nei confronti delle amministrazioni inadempienti verso la richiesta di accesso ai dati da parte dei cittadini, alle numerose ed eccessive eccezioni che consentono alle pubbliche amministrazioni di opporsi alla richiesta di rilascio dei dati, alla non gratuità dell’accesso ai dati, al fatto che, “decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta”.
In attesa che le bozze divengano norme effettive (verosimilmente entro luglio 2016), resta il fatto che è necessario che la società civile sia sempre più sensibilizzata sulla necessità di puntare sulle competenze digitali dei cittadini e delle imprese a partire dal territorio periferico e dagli enti locali, creando una cultura dal basso sensibile ai temi della partecipazione, della cittadinanza attiva e della trasparenza amministrativa. Coltivare spirito critico a partire dalla propria comunità di riferimento significa anche stimolare l’erogazione da parte della pubblica amministrazione di servizi con evidenza di risultati e monitoraggio costante, in grado di tradursi anche in una corrispondente elaborazione di valore pubblico.

Per concludere, a proposito di competenze, con la norma UNI 11506:2013, l’Italia per prima in Europa ha recepito il modello e-Competence Framework (e-CF). Si tratta di una norma che cataloga le competenze digitali specialistiche, definendo requisiti di conoscenza, abilità e competenze. Prevede tra l’altro, per la prima volta, una catalogazione delle competenze di chi opera professionalmente nel web. La Pubblica Amministrazione, grazie anche a tali norme, può censire e formare il proprio personale, alimentando così una crescita di competenze.
Le competenze servono per comprendere, analizzare, applicare, migliorare una data situazione. Se la società civile ha bisogno di una PA formata e competente, è altrettanto vero il contrario: la PA ha bisogno di una società civile formata e competente. Non ci sono scuse, se l’obiettivo per tutti è quello del benessere collettivo.

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