La formazione accademica: come si diventa professionista ICT

Giulio Destri
Giulio Destri

Otto anni fa iniziava l’avventura del blog #6MEMES, un luogo di conversazione tra tematiche tecnico-scientifiche e temi considerati di tipo umanistico, ispirato alle Lezioni Americane di Calvino.

In questi otto anni molto è cambiato e in maniera sostanziale: la cultura dei dati e del digitale è ormai dominante e i relativi settori di riferimento – comprese le contaminazioni culturali che li riguardano – sono diventati di dominio comune.

Per questo, nel 2022, il progetto #6MEMES ha raggiunto il suo traguardo e salutato i lettori.

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Negli ultimi anni le aziende spesso lamentano carenze nella preparazione che scuole ed università danno ai nuovi professionisti del settore ICT. E, talvolta, le stesse lamentele giungono anche dagli allievi. Ciò comunque non impedisce ai neolaureati in Informatica ed Ingegneria Informatica di trovare rapidamente lavoro, almeno in molte zone d’Italia. E le stime di agenzie internazionali come Modis, confermate dall’AgID (Agenzia per l’Italia Digitale), indicano in alcune decine di migliaia i posti di lavoro nel settore ICT destinati a non essere coperti per mancanza di figure professionali adeguate, da qui al 2020.

Quale è l’obiettivo della formazione accademica “tecnica”?

Una domanda che sorge spontanea è questa: quale è l’obiettivo della formazione accademica “tecnica”? O, in altri termini, quale deve essere la preparazione di un laureato in informatica/ingegneria informatica? Per rispondere devo fare riferimento sia alle mie esperienze accademiche come professore a contratto dal 2003 presso il corso di Laurea in Informatica e, per alcuni periodi, anche presso quello di Ingegneria Informatica a Parma, sia alle mie esperienze come formatore aziendale nel comparto ICT.

Nell’articolo precedente ho trattato il tema dei profili professionali dell’ICT definiti nella normativa UNI11506-11621 e riconosciuti a livello di Unione Europea. Alcuni di tali profili richiedono, oltre alla preparazione teorica, un certo livello di esperienza sul campo e quindi non possono essere rivestiti subito da neolaureati. Ma possono ovviamente esserlo dopo alcuni anni di esperienza lavorativa.

Cosa significa questo?

Chi affronta lo studio di un corso di laurea orientato verso il settore ICT, come Informatica o Ingegneria Informatica, deve essere consapevole che dovrà dedicare una parte del proprio tempo lavorativo (o anche del proprio tempo libero) al continuo aggiornamento, ovvero che lo studio non termina con l’Università, ma prosegue per sempre.

D’altronde l’Università non deve solo formare per i primi ruoli che le persone incontreranno nel mondo del lavoro, ma deve invece formare professionisti, abili e consapevoli, che possano poi crescere gradualmente, integrando lo studio e l’aggiornamento autonomo con l’esperienza sul campo.

Per questo possiamo riassumere le competenze che l’Università deve trasmettere in alcune grandi aree:

AREA TECNICA – per la quale occorrono competenze tecniche di programmazione, sistemiche e metodologie sistemiche. In pratica il neolaureato:

  • deve essere in grado di disegnare e realizzare programmi secondo i paradigmi moderni di programmazione e, soprattutto, deve essere in grado di apprendere rapidamente anche nuovi linguaggi di programmazione; non c’è spazio nel mercato futuro per persone solo abituate al copia e incolla di codice;
  • deve conoscere bene almeno un sistema operativo come Windows o Linux;
  • deve essere consapevole dell’”ecosistema digitale” in cui si troverà ad operare e dei pericoli che si corrono al suo interno e, soprattutto, deve essere consapevole che il software o i sistemi su cui lavorerà sono parte di un enorme intrico di sistemi connessi fra loro in rete.

AREA CULTURALE – per la quale occorrono competenze di cultura scientifica generale e competenze linguistiche. Normalmente sottostimate:

  • una cultura scientifica generale è invece importante, in primis per tutti coloro che operano in settori collaterali all’ICT, come l’automazione industriale e la robotica (ovvero le Operation Technologies o OT) mentre;
  • le competenze linguistiche sono di fondamentale importanza per la comunicazione, sia nella stesura di documenti tecnici, sia nella creazione di presentazioni a clienti e testi commerciali chiari. Non sono tollerabili errori grossolani di italiano in una tesi di laurea o in un report, meno che mai durante un colloquio con un cliente; ovviamente è necessaria anche la buona conoscenza della lingua inglese.

AREA LAVORATIVA – per la quale occorrono competenze econometriche e competenze relazionali e di lavoro in team. In pratica, il neolaureato:

  • deve essere consapevole di come è organizzato normalmente il lavoro entro le aziende in cui entrerà a lavorare e di come inserirsi proficuamente in un team;
  • deve essere consapevole sia dello scopo ultimo dell’ICT (uno strumento di supporto al business e per fare business) sia, soprattutto, degli aspetti economici di un progetto ICT; questo aspetto diventerà fondamentale qualora il neolaureato divenga poi capo progetto o voglia intraprendere una carriera da libero professionista o imprenditore.

Sono sempre necessarie tutte queste competenze? Alcune possono essere create, a fatica, durante il lavoro. Ma in ogni caso se già in possesso del neolaureato, esse sono un plus.

Un altro aspetto che il neolaureato deve ricordare è: essere orgoglioso delle proprie conoscenze e delle proprie potenzialità, ma allo stesso tempo essere consapevole delle proprie carenze e disposto all’apprendimento sul campo. Infatti in alcuni casi i neolaureati si comportano da primedonne, arrivando in aziende e gruppi di lavoro con anni (o decenni) di esperienza alle spalle, e generando un rifiuto da parte degli altri membri del gruppo e la conseguente progressiva emarginazione dall’organizzazione, di solito seguita dalle loro dimissioni o dalla non conferma dopo il periodo di prova.

Ovviamente il neolaureato inserito bene potrebbe, dopo un po’ di tempo, preferire un’altra azienda a quella in cui si trova, per svariati motivi. Così come esistono aziende in cui il lavoro è particolarmente impegnativo e di conseguenza il turn-over è molto alto, con un basso tempo di permanenza delle persone.

In sostanza quale è il punto?

Le aziende italiane del mondo ICT, nonostante molte non usino le metodologie tecniche ed organizzative di ultima generazione, hanno un patrimonio umano di esperienze molto vasto e ricco. Se adeguatamente integrate da una nuova generazione di professionisti e modernizzate con le apposite metodologie (come, per esempio, la organizzazione agile) le aziende italiane si possono proporre sul mercato internazionale. Le aziende italiane possono entrare in competizione con le aziende indiane, meno flessibili, e quelle dell’Europa orientale, i cui costi stanno rapidamente crescendo.

L’Italia può e deve approfittare di questa opportunità di portare lavoro tecnologico in casa nostra. Ma, per sfruttare questa opportunità, è necessario che ci sia presto sul mercato una nuova generazione di professionisti ICT ben preparati. Non ha senso che per aumentare il numero si abbassi la qualità della preparazione. Ciò significa quindi che i giovani che intraprendono la carriera nel settore ICT devono essere disposti all’investimento in uno studio molto intenso durante il periodo accademico. E che le aziende devono essere disposte a modernizzarsi per fare rendere il nuovo capitale umano, anche con retribuzioni adeguate.

Nel prossimo articolo porremo attenzione su una delle questioni più rilevanti del mondo ICT, ovvero la sicurezza dei dati.